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Bioetica, deontologia medica e suicidio medicalmente assistito

Il mio intervento, per necessità e anche per i tempi concessi, si concentrerà sugli aspetti deontologici e se nella deontologia medica c’è la possibilità di poter contemplare anche quest’accompagnamento alla morte nella maniera come lo proponiamo nel nostro manifesto. Io vi dico subito qual è la risposta: la mia tesi è sì, che la deontologia medica va anche in questa direzione e non che ci sia una preclusione tale da impedire l’accoglimento – quindi come ha detto prima la professoressa Borsellino – cioè il compimento della legge 219/2017.

Io comincio dicendo che il paradigma etico che ritroviamo nel codice deontologico fino alla fine del secolo scorso è quello: il paradigma tradizionale della scuola di Ippocrate, che si incardinava sui principi che erano nel giuramento. Questi principi poi si erano concretizzati nel rapporto di tipo “medico-paziente”, che è il nucleo di tipo – appunto – paternalista. Poi vi ho riportato un paio di divieti cardine, come quello «non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale», ma dello stesso peso del divieto è la frase che veniva dopo: «né suggerirò tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo».

Sappiamo già che il secondo divieto è caduto e lo vedremo tra poco. Vi riporto questa sentenza del 1964 della Corte d’Appello di Milano – siamo nel secolo scorso, ma molti di noi qui erano nati e forse erano giovinetti – in cui ripropone nella sua massima né più né meno quello che diceva Ippocrate. Diceva che – per brevità non ve l’ho ripetuta – era un principio deontologico fondamentale, presente nei secoli, che il medico non dicesse la verità e non chiedesse il consenso al paziente per la terapia, in quel caso si trattava di un intervento chirurgico, senza illustrargli niente. E qui siamo nel 1964, che poi è un argomento ripreso anche nel 1975: c’è un congresso di giuristi importante a Milano sempre sulla nozione dei doveri del dottore nell’atto medico.

In questa diapositiva mi sono divertita a ricostruire come è stata l’evoluzione della deontologia in riferimento anche ai cambiamenti, alla rivoluzione medica dal punto di vista tecnico-scientifico. Come vedete sotto vi ho riportato le date del codice deontologico. Vedete che fino al 1995 il codice deontologico è né più né meno che il codice che abbiamo visto. Codice con la forte matrice ippocratica e quindi con il modello di rapporto che delineava né più e né meno che quello tradizionale. Dal 1995 le cose cambiano: nel 1995 cade, si attenua il privilegio terapeutico di dire o meno la verità al paziente, e nel 1998 c’è la svolta. Nel 1998 il Codice non fa più riferimento ai principi dell’etica, ma diventa un Codice costituzionalmente orientato. Nel 1998 fa sue le istanze che erano alla base della legge 833/1978, che istituisce il Sistema sanitario nazionale. Gli Ordini dei medici e i medici diventano, nella loro visione che è propugnata dal Codice, aderenti ai principi costituzionali. Così vediamo che nel 1998 troviamo né più e né meno i principi che troviamo nella legge 219/2017. Nel 1998 tutta la verità va detta paziente; nessun atto medico può essere fatto senza il consenso informato del paziente e di fronte al rifiuto il medico si deve arrestare. Lo diciamo già nel 1998, quasi vent’anni

prima della legge 219/2017. Nel 2006 abbiamo un ulteriore passo che anticipa la deontologia, anticipa il diritto: di questo dobbiamo essere orgogliosi e rivendicarlo. Nel 2006 noi abbiamo un articolo che parla di «direttive anticipate», cioè andiamo anche contro il Comitato nazionale per la bioetica, che sulle disposizioni anticipate parlava appunto di «dichiarazioni» e non dava la vincolatività che invece l’Ordine dei medici, cioè il Codice deontologico, impone con il termine “direttiva”. Direttiva significa che la volontà è cogente e limita l’attività dei medici. Poi abbiamo le sentenze, vedete, che influenzano il Codice deontologico: sono quelle sul caso Englaro, le sentenze del 2007, come la vicenda di Welby, e nel 2019 abbiamo l’ultimo Codice vigente. Nel 2019 troviamo né più e né meno i contenuti che poi vengono trasferiti nella legge 219/2017, anche dal punto di vista lessicale. Quando la legge 219/2017 dice che l’informazione è «tempo di cura», lo ritroviamo: l’aveva già scritto il Codice deontologico. Quindi il Codice delinea il futuro sul fine vita. Il Codice deontologico fa diventare una realtà quella che giuridicamente diventò la legge 219/2017 per quanto riguarda le disposizioni anticipate di trattamento. Quindi potremmo dire che la deontologia attuale è diventata una deontologia “post-ippocratica” o “post-moderna”: è la deontologia che il professor Lecaldano nella sua trattazione tratteggia, dicendo che la preoccupazione della deontologia non è la qualità morale dell’azione ma la sua correttezza, tenendo soprattutto il punto di vista del rapporto tra la professione e la società. In effetti la deontologia può diventare il ponte che unisce professione e società. Ma quello che voglio richiamare di importante è che il Codice deontologico può aprire lo spazio perché si accolga il principio della morte medicalmente assistita. Volevo richiamare l’attenzione sul fatto che nell’articolo 17, di cui ha parlato prima Riccio, per la prima volta non si chiama più «divieto di eutanasia»: il fatto stesso che viene cambiato nome, cioè «eutanasia», appartiene esclusivamente alla dimensione medica. Ovvero un dogma, un principio che era rimasto fermo, intoccabile nell’evoluzione dei codici, lo è stato fino al 2014. Nel 2014 scompare «eutanasia» e viene riportata la definizione del Codice penale di «omicidio del consenziente», cioè il divieto di atti finalizzati alla morte.

Per cui diciamo che da dogma, da comandamento morale che riguardava solo i medici, viene derubricato a reato penale, sotto la legge penale che riguarda tutti quanti: non riguarda più soltanto i medici. Prima il divieto di eutanasia riguardava soltanto la classe medica: ora scompare. Poi nell’articolo 32 compare «doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili», vulnerabili. Quindi nel momento in cui l’ordinanza ci dice che bisogna proteggere i soggetti fragili e vulnerabili, all’interno di quest’articolo può essere ricompresa, intercettata, la domanda di essere aiutati in determinate situazioni.

Ultima considerazione e con questo concludo: quale deve essere il futuro della deontologia medica? È quello sicuramente di interpretare i bisogni delle persone: diventa inevitabilmente la deontologia che può essere l’oggetto del contratto tra professione medica e cittadini. Il Codice – queste son le proposte che penso di dover sottolineate – deve allargare il concetto di salute. Finora abbiamo compreso soltanto la dimensione fisica e quella psichica: dobbiamo ricomprendere – è inevitabile, si va in questa direzione – anche la dimensione sociale. È solo allargando a queste tre dimensioni che possiamo intercettare i bisogni delle persone. La tutela della vita – questo ne viene, ne discende –

non è più solo una tutela della vita biologica ma anche di quella biografica, che hanno pari dignità e pari peso nelle scelte di fine vita.

Il futuro: qual è quello che ci si prospetta davanti? Quello di creare le condizioni deontologiche per costruire una nuova relazione di fiducia tra il medico e cittadino, tra medicina e società.