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Eluana, liberi di scegliere come base per le opzioni di fine vita

Buongiorno a tutti da parte mia. Io parlerò della forza della semplicità della vicenda di Eluana, che come tutti sapete è un grande caso costituzionale, della «peste del linguaggio», della scompostezza della classe politica, in questo caso, quando ha sollevato conflitti senza precedenti contro una sentenza della Corte suprema di Cassazione.

Risaliamo, come tutti sapete, a oltre ventisette anni fa. Al gennaio del 1992, quando una ragazza aveva avuto modo di percepire un anno prima i pericoli della rianimazione ad oltranza quali sbocchi può avere. Perché io sostengo sempre questo: sono in pochi a sapere queste cose, a essere informati di questo, purtroppo. Lei aveva avuto modo, nello specifico, di vedere questo, quando si è venuta a trovare in una situazione in cui non era più capace di intendere e di volere. Dal momento che anche lei un anno prima – cioè neanche un mese prima del suo incidente – aveva scritto una lettera ai suoi genitori, dove parlava del contesto biografico nel quale lei aveva vissuto. Soprattutto fa presente anche questo. Questa lettera l’abbiamo trovata quindici anni troppo, ma è stato importante che noi abbiamo agito senza la conoscenza di questa lettera. Perché le cose significative di questa lettera sono queste: lei era figlia unica e quindi dice «noi tre formiamo un nucleo molto forte, basato sul rispetto e l’aiuto reciproco». Parla di grandi valori, come il rispetto verso se stessi e degli altri e della famiglia sulla quale lei poteva contare – parole sue – «salda, calda e affettuosa», sulla quale si può contare. Una volta che si è venuta a trovare non più capace di intendere e di volere a seguito di un incidente stradale, in uno stato di coma profondo, è stato automatico per noi darle voce. Ma la sorpresa è stata questa: quella del medico che ci chiede che cosa volevamo. Semplicemente darle voce, dialogare col medico. Lui ci dice: “non c’è niente da dialogare”. Avete sentito com’era la situazione. Quindi noi abbiamo trovato una situazione culturale che non dialogava, perché la ragazza era molto forte, molto determinata e con idee non dico chiare ma chiarissime riguardo la sua vita, che aveva avuto nel contesto familiare un approfondimento su questioni come vita, morte, dignità e libertà. Aveva dei concetti etici filosofici molto forti, anche questi molto determinati. Quindi quando noi abbiamo detto al medico “un momento, qui si tratta di una ragazza che conosce questa situazione, si era espressa”, ha replicato: “No, non c’è niente da dialogare, chiuso l’argomento, io non posso non curare”. Perciò questi pericoli si sono poi verificati anche nel caso di Eluana, come del suo amico. Lo sbocco peggiore che può avere una rianimazione non andata a buon fine, che si dice in termini scientifico-clinici “stato vegetativo permanente”. Pensate voi, questa situazione non ve la sto a descrivere perché ormai più o meno la conoscete tutti. Sentirsi dire poi, una volta creata questa situazione, che non ci sono risposte e non ci sono soluzioni. Dal momento che noi avevamo fatto presente da subito quale sarebbe stata la scelta di Eluana, dal momento che nello specifico il medico si è espresso, lo stato dell’arte della medicina era di poco superiore a zero, con incognite a 360 gradi. Quindi sin dal primo colloquio non potevamo escludere questo sbocco: una volta creato questo sbocco – che non esiste in natura, come vi ho già detto, è lo sbocco di una rianimazione non andata a buon fine – ci siamo

sentiti dire “non ci sono risposte, non ci sono soluzioni”, perché la ragazza in questa situazione non è né una malata terminale, né una morta cerebrale. Questo è da dire: la scelta che avrebbe fatto Eluana di fronte a tale situazione sarebbe stata un semplice “no grazie” all’offerta terapeutica, “lasciate che la morte accada”. Perché lei non aveva nessun tabù della morte – si era espressa – il suo tabù era la

profanazione del suo corpo, quando una persona in questa situazione dipende in tutto e per tutto

da mani altrui. Pensate quindi voi, essere in una situazione del genere e venirne a conoscenza. Non sono poi solo i medici: anche dentro la società c’era una situazione culturale per cui mi dicevano “cosa pretendi? Di che cosa parli?” di fronte a una famiglia che aveva le idee chiare, che avrebbe trovato una soluzione da subito, senza nessuno. È chiaro, era un diritto costituzionale fondamentale , l’ho fatto presente al medico, cui ho detto subito: “scusa eh, se lei era capace di intendere e di volere tu dialogavi”. Non occorre essere costituzionalisti per sapere che la nostra Costituzione non lascia discriminare le persone: tutto lì. Ma trovare dentro la società questa situazione non ce lo saremmo mai sognati: io ricorderò sempre il primo interlocutore. Eravamo due genitori randagi che abbaiavano alla luna: il primo interlocutore che abbiamo trovato era l’allora presidente della Consulta di bioetica di Milano, il professore e neurologo Carlo Alberto Defanti, che ci fa presente quello che avevamo già constatato, cioè che la situazione italiana era quella. Ma poi disse: “forse se lei ha fiducia in noi, viene da noi e vediamo quello che possiamo fare”. È chiaro, questa Consulta non occorre che ve la spieghi cos’è: quindi è lì che si è trovata una soluzione per rivendicare questa libertà e questo diritto costituzionale fondamentale.

Ma noi per avere la risposta concreta – si intende, sempre per la situazione culturale del Paese – abbiamo dovuto attendere quindici anni e nove mesi: 5.750 giorni per trovare nero su bianco

che l’autodeterminazione terapeutica di Eluana non poteva incontrare un limite, anche se ne conseguiva la morte e non aveva niente a che vedere con l’eutanasia. Quindi parla chiaro questa sentenza: nessuno può decidere né al posto né per; bisogna decidere con: dando voce a Eluana decidevamo con Eluana, pensate voi. Poiché, appunto, una volta creata questa situazione loro dicono “bene”. C’erano questi presupposti: sempre quello della situazione culturale del paese, quello della condizione clinica di Eluana, dei convincimenti come vi ho già detto etici, culturali e filosofici ben determinati, ben chiariti sin dall’inizio con i medici e con tutti, fatti presente, che erano quelli. Tutte le sentenze precedenti evocavano cose che veramente non avevano nessun senso per noi. Come devo sottolineare tuttora, anche dopo quasi ventotto anni, tutto quello che è stato contro, che viene argomentato contro questa libertà e questo diritto fondamentale per quanto concerne noi tre, che avevamo una posizione univoca: non ha un senso. Non ha un senso: chiuso l’argomento, non tocca niente. Noi avevamo questo convincimento e come, ho già detto, formiamo questo nucleo molto basato su rispetto e aiuto reciproco. Questi convincimenti andavano rispettati, non chiedevamo niente, meno di chiedere niente. Abbiamo sentito parlare qui della «infantilizzazione»: lo ricordo sempre quanto al medico ho detto “guarda, io non sono all’asilo”. Gli ho detto proprio queste testuali parole, quando lui evocava tutta la sua scienza, la sua coscienza, il Codice deontologico, il giuramento ippocratico, la cultura della vita: tutto questo evocava. Era questa la situazione. Quindi c’erano questi presupposti che vi ho detto un momento fa. Tutte le sentenze precedenti erano state annullate e

da una nuova sezione della Corte d’Appello di Milano, che aveva già detto no tre volte, venivano valutate queste dissertazioni, che poi venivano riprese. Cosa ha fatto, cosa fa la rianimazione in questi casi? Interrompe il processo del morire, crea condizioni di vita estranee al modo di concepire l’esistenza di Eluana e poi condanna a vivere. Peggio di così è che i medici non potessero intervenire. Gliel’ho detto, perché sapete tutti che a cavallo di questo c’è stato il caso inglese di Tony Bland. Gli ho fatto presente: “scusate, siamo in Europa”. Quindi, il caso di Tony Bland: proprio da coloro che avevano interrotto il processo del morire, d’accordo con chi aveva fatto presente questo per Bland, veniva ripreso il processo del morire. Vi ho detto che incide sempre questa situazione culturale. Quindi, la nuova sezione dalla Corte d’Appello di Milano ha verificato e ha emesso un decreto, perché nel frattempo Eluana oltre al tutore aveva anche il curatore speciale, perché non bastava il tutore – si sono cautelati al massimo, era la prima volta che venivano rivendicati questi diritti. Pensate voi che i due rami del Parlamento (qui siamo vicini), una volta che noi avevamo come tutore e curatore speciale la possibilità di far riprendere il processo del morire, sollevarono un conflitto di attribuzione, dicendo che non spettava alla Corte suprema di Cassazione, alla magistratura, dare una risposta a questo tema: spettava al Parlamento. È chiaro che spetta al Parlamento, ma se il Parlamento non aveva risposto, la magistratura non poteva non rispondere alla domanda di giustizia di Eluana, altrimenti andava incontro a una negata giustizia per questo fatto. Bene, quindi hanno sollevato persino questo, per la prima volta in questo caso. Perché è un grande caso costituzionale? Perché non ha avuto l’accesso diretto ma il giudice di legittimità era la Cassazione. La Cassazione ha riconosciuto la legittimità dell’autodeterminazione di Eluana secondo i suoi convincimenti, e chiuso l’argomento: questo ha fatto.

Si è verificato quindi tutto ciò, arrivato alla Corte costituzionale, la quale ha ritenuto inammissibile tutto. Questo per dirvi della situazione culturale che ha trovato questa vicenda e dove l’ha portata questa situazione culturale del paese. Infatti adesso tutte queste istanze vengono portate avanti nel modo dovuto, come è stato fatto nel caso di Eluana: trovano un’altra situazione culturale e grazie non solo alla vicenda di Eluana – ma la vicenda di Eluana ha avuto la sua parte. Abbiamo sentito parlare del caso di Welby, del caso Piludu e di tutti questi casi. Tutti hanno dato un contributo in modo che queste nuove libertà e questi diritti fossero rivendicati. Perché è chiaro, questa era la rivendicazione di una libertà, di un diritto costituzionale fondamentale. Quello che veniva rivendicato allora erano certe cose che al momento attuale, secondo la Costituzione, erano considerate un reato in Italia. Ma le cose si sono evolute ora, come tutti hanno spiegato in questo incontro e continueranno a farlo anche il pomeriggio per spiegare l’evoluzione di tutto ciò. Perché questa accresciuta potenza della scienza medica insomma ha i suoi limiti e bisogna stare attenti: bisogna vedere questa evoluzione. Quindi determinante è stata l’evoluzione culturale che queste vicende hanno portato dentro la società. È questo quello che io voglio far presente quindi adesso, il punto di partenza di questi nuovi riconoscimenti, di questi nuovi diritti e libertà. Già più di un secolo fa Joseph Pulitzer ha detto che «un’opinione pubblica bene informata» – quello che è stato fatto nel frattempo – è come una «Corte suprema»: quindi il Parlamento dovrà legiferare per forza, perché c’è questa questa determinazione della Corte suprema dell’opinione pubblica bene informata.

Matteo Mantero, senatore del Movimento 5 Stelle, dialoga con la