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L’Alternanza Scuola-Lavoro come parte integrante del progetto

Nel documento RicercAzione Volume 8 - Numero 1 (pagine 111-114)

Alternanza scuola-lavoro: un processo per l’inclusione

4. L’Alternanza Scuola-Lavoro come parte integrante del progetto

di vita e strumento dello sviluppo di capabilities

Interessante per la lettura dell’alternanza scuola-lavoro come strumento per l’inclusione è la prospettiva off erta dal Capability

Appro-ach, la cui declinazione in ambito scolastico può consentire la costruzione della scuola di tutti, in grado di garantire l’equità e lo sviluppo delle proprie capabilities.

Il Capability Approach (CA) nasce dalla declinazione in chiave sociale delle teorie ela-borate in campo economico da Amartya Sen (“Sviluppo è libertà”), il cui pensiero è stato ripreso poi da vari studiosi tra cui la fi losofa Martha Nussbaum (2014a; 2014b). L’appli-cazione del modello del CA, nato nell’ambito dello sviluppo umano e della qualità della vita, consente un ripensamento della disabilità, andando oltre il modello medico e racchiu-dendo in sé il modello sociale, nel quale la disabilità è un aspetto della diversità umana.

Centrale è il concetto di libertà di scelta e di ampliamento delle proprie capabilities, cioè delle opportunità che le persone hanno a loro disposizione. Per Sen la diversità è una dimensione costitutiva dell’essere umano;

pertanto, la valutazione delle capacità è ciò che va tenuto in considerazione. Lo sviluppo ha a che vedere con l’ampliamento delle pos-sibilità di scelta date ai soggetti, ossia le loro libertà, rimettendo così al centro la persona piuttosto che soltanto le risorse economi-che. Le opportunità date alle persone sono infl uenzate dai contesti; infatti, «l’idea che sta alla base dell’approccio delle capabilities è che gli assetti sociali dovrebbero tendere ad espandere le capabilities delle persone, ossia la loro libertà di promuovere o raggiungere i beings e doings a cui essi stessi danno valore»

(Biggeri, 2011, p. 5). I contesti quindi avrebbe-ro la funzione di espandere le capabilities sia delle persone singole che come gruppi sociali, e ciò dovrebbe essere anche l’obiettivo delle politiche. Il Capability Approach pone al cen-tro il concetto di diversità come caratteristica che contraddistingue l’umanità, e la disabilità rientra tra le possibili diversità. La disabilità è dovuta a una limitazione delle capabilities, che devono essere sostenute dal contesto sociale affi nché a tutti siano garantite giustizia ed equità. Secondo tale prospettiva, a tutti gli studenti deve essere garantita l’equità delle opportunità formative; in tal senso si deve

prestare particolare attenzione a quelli che sono in situazione di maggiore fragilità come gli studenti con disabilità o che presentano qualsiasi tipo di diffi coltà, inclusa l’apparte-nenza a contesti socio-culturali ed economici svantaggiati. Gli studenti con disabilità, come tutti gli altri, hanno diritto al percorso di ASL come parte integrante del percorso formativo della scuola secondaria di secondo grado, in quanto risulta inserito a pieno titolo all’in-terno del percorso scolastico, al fi ne di poter espandere le loro capabilities e possibilità di scelta, anche in prospettiva della futura vita da adulti. Il contesto di apprendimento lavorativo diventa veicolo di istruzione e di un’esperienza nuova per gli studenti, richiede l’adattamento alle regole proprie di quel contesto.

La costruzione di un’identità adulta, il pen-sami adulto di Mario Tortello (Tortello, 2001), consente sia allo studente con disabilità che ai suoi genitori ed insegnanti la possibilità di fare esperienza di un’occasione di crescita importante, prefi gurando un futuro possibile, ossia cercando di porre già nel presente le basi per la costruzione del futuro. Ciò signifi ca aiutare lo studente a scoprire i propri talenti, i propri punti di forza e di debolezza, per co-struire un futuro possibile, secondo la logica della personalizzazione delle opportunità educative, e in tutto questo diventa centrale l’elemento dell’alternanza in prospettiva futura e come esperienza di passaggio tra la scuola superiore e il mondo del lavoro. L’anello de-bole del percorso di inclusione scolastica e sociale dello studente con disabilità è, infatti, proprio da collocarsi tra la fi ne della frequen-za scolastica e la transizione alla vita adulta:

pochi sono ancora gli inserimenti lavorativi o i percorsi di tirocinio, molti ragazzi vengono confinati all’interno dei Centro Educati-vo-Occupazionali Diurni, contesti segreganti lontani dalle attività comuni e dalla società, lontani anche dall’idea di inclusione. Infatti, il modello inclusivo italiano funziona, tra alti e bassi, per quanto riguarda la scuola, mentre il periodo successivo, destinato alla transizio-ne transizio-nel mondo del lavoro, rimatransizio-ne il momento maggiormente defi citario. Anche il grande

educatore Sergio Neri ricordava sempre che oltre la scuola c’è un’altra parte della giornata e della vita, secondo il quale è necessario fi n dall’infanzia predisporre il percorso, orientan-dolo verso un’adultità possibile ed autonoma.

Occorre dunque pensare a percorsi di inclusione sociale insegnando anche le abilità necessarie per lavorare; in tal senso proprio i percorsi di ASL consentono la generalizzazio-ne dell’apprendimento in un nuovo ambiente, diff erente dal contesto scolastico. In ottica ICF, è importante saper creare un contesto lavorativo specifi co, nel quale siano presenti facilitatori e vengono rimosse ed eliminate il più possibile le barriere. I facilitatori possono essere sia ambientali sia umani, come la pre-senza all’interno dell’azienda di un tutor che conosca la specifi cità del ragazzo che verrà inserito e le strategie necessarie per con-sentire il successo dell’esperienza. Inoltre, la dimensione pratica, legata al learning by doing che avviene all’interno dei contesti lavorativi permette anche ai giovani con disabilità l’ap-prendimento attraverso esperienze concrete, modalità per loro più idonea di apprendimento e maggiormente motivante.

Centrale risulta anche il coinvolgimento della famiglia nel progetto educativo del fi glio, così come dell’équipe socio-sanitaria che lo segue, dando risalto al lavoro di rete, fondamentale per l’accompagnamento alla vita adulta. Il coinvolgimento delle famiglie è fondamentale perché sappiano accompa-gnare il fi glio con un progetto di vita realisti-co, creato per quanto possibile insieme alla persona con disabilità; facendo in modo che essa divenga consapevole in prima persona dei propri punti di forza e di debolezza per la costruzione di un progetto di vita reale, attra-verso lo sviluppo dell’autoconsapevolezza. È importante inoltre consentire allo studente, durante e alla conclusione dell’esperienza, la possibilità di espressione dei suoi vissuti, per rielaborare l’esperienza e farla diventare così parte integrante della propria identità.

La possibilità di sperimentare un ruolo lavorativo consente un’occasione di matu-razione personale importante, così come la

RICERCAZIONE - Vol. 8, n. 1 - June 2016 | 113

possibilità di coinvolgimento in un contesto sociale meno “protetto”, nel quale non sono presenti insegnanti o genitori. Nel già richia-mato “Pensami adulto” rimangono delle parole di riferimento per chi si prende cura educativa dei ragazzi con disabilità: per loro l’incontro con il mondo del lavoro richiede una mediazione e un’attenzione ancora maggiori, soprattutto perché i fallimenti negli inserimenti lavorativi non sono da ascrivere alla mancanza delle abilità strumentali, specifi che del lavo-ro che si andrà a svolgere, ma piuttosto di quei prerequisiti come la capacità di sapersi relazionare con le persone e di sapersi adat-tare alle regole e norme proprie del contesto lavorativo.

L’accesso ad un’identità adulta, il posses-so di una possibile autonomia di vita, la piena partecipazione alla società sono possibili sol-tanto, in tutte le persone e non soltanto con quelle con disabilità, quando si ha un ruolo attivo nella società; questo si realizza anche tramite lo svolgimento di un’attività lavorativa.

Tutti abbiamo bisogno di costruire un’i-dentità, comprese le persone con disabilità.

La costruzione del progetto di vita è una tappa fondamentale dell’esistenza, tanto per le persone cosiddette “normali” che per quelle con disabilità. Per i secondi, però, tale processo non avviene come gli altri in maniera automatica, ma vi è bisogno di un accompagnamento continuo nel percorso verso la vita adulta, e ciò si costruisce già a partire dalla scuola dell’infanzia, divenendo poi cruciale nei momenti di transizione tra ordini di scuola, soprattutto con la fi ne della scuola e l’ingresso nel mondo del lavoro. Il fatto di poter inserire il percorso di ASL già all’interno della scolarità, prevedendo questo passaggio che è comune a tutti gli studenti della scuola secondaria di secondo grado, consente di avere un’opportunità in più di cre-scita all’interno di un contesto di vita normale.

Il ruolo sociale che fornisce il lavoro consente di evitare le derive della considerazione della persona adulta con disabilità come eterno bambino e, come tale, bisognoso per tutta la vita di cura e assistenza, in una posizione

passiva e vittimistica. Lepri (2011) individua sei immagini della persona con disabilità: l’errore della natura, il fi glio del peccato, il selvaggio, il malato, l’eterno bambino e la persona; oggi permangono all’interno della nostra società soprattutto quella dell’eterno bambino e del malato.

Il progetto di vita, parte integrante del P.E.I., riguarda la crescita personale e sociale dell’alunno con disabilità e ha quale fi ne prin-cipale la realizzazione in prospettiva dell’innal-zamento della qualità della vita dell’alunno con disabilità, anche attraverso la predisposizione di percorsi volti sia a sviluppare il senso di autoeffi cacia e sentimenti di autostima, sia a predisporre il conseguimento delle competen-ze necessarie a vivere in contesti di esperienza comuni. Come aff erma Ianes, «Progetto di vita è innanzitutto un “pensare” in prospettiva futura, o meglio un pensare doppio, nel senso dell’“immaginare, fantasticare, desiderare, aspirare, volere” e contemporaneamente del preparare le azioni necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i tempi, valutare i pro e i con-tro, comprendere la fattibilità» (Ianes, 2009, p. 44). La costruzione del progetto di vita comincia, infatti, da queste componenti fon-damentali e la sua realizzazione può passare anche attraverso l’esperienza dell’ASL. Ianes ricorda come il lungo viaggio per diventare adulti «comincia da qui, da questa prima per-cezione di “possibilità” Ma per iniziare questo viaggio, è necessario che qualcuno ci creda, che qualcuno immagini questa possibilità, che qualcuno cominci a “dare il permesso” di crescere e di cambiare. A sé, come genitore, e al proprio fi glio» (Ianes, 2009, p. 45).

Il PEI-Piano Educativo Individualizzato diventa progetto di vita nel momento in cui prefi gura un futuro possibile, un’autonomia basata proprio sull’assunzione di un ruolo lavorativo attivo all’interno della società. È questa una sfi da importante ma necessaria per i docenti: uscire da una prospettiva pro-gettuale incentrata esclusivamente sulle ma-terie scolastiche, per elaborare progettazioni di più ampio respiro, con indicazioni per lo sviluppo di autonome vite adulte. Nella

pro-spettiva che il progetto di vita di tutti gli alunni è responsabilità dell’intera comunità scola-stica quale contesto educativo e formativo, e non soltanto degli insegnanti specializzati per le attività di sostegno, la formulazione del PEI-Piano Educativo Individualizzato di-venta progetto di vita. Gli insegnanti possono benefi ciare, infatti, rispetto ai familiari di un maggiore distacco emotivo.

Il percorso dell’ASL consente di realizzare delle esperienze concrete di sperimentazione di capacità relazionali, di regolazione emoti-vo-aff ettiva, di ruoli lavorativi di vita adulta;

in un contesto di apprendimento comunque protetto, permette di mettersi alla prova, prefi gurando percorsi di adultità possibile.

Le persone che circondano l’alunno con disabilità faticano ad immaginarlo oltre la fi ne dell’anno scolastico e del percorso di studio.

Infatti, “immaginare i propri alunni da grandi non è facile. Immaginare adulti i propri fi gli ancora meno. Se poi sono disabili, questo pensiero si blocca, si accartoccia nella paura”

(Ianes, 2009, p.45).

Nel PEI-progetto di vita degli alunni con disabilità si deve prevedere uno spazio appo-sito nel quale si prevede dettagliatamente la programmazione dell’ASL per gli alunni con disabilità, prevedendo percorsi personalizzati di accompagnamento prima, durante e dopo l’esperienza stessa: «Le capacità e le compe-tenze del “job integrator” si misurano su piani assai diff erenti, anche se complementari, che vanno dalla lettura socio tecnica dell’impresa all’analisi ergonomica di una mansione; dalla valutazione dello studente con disabilità alla predisposizione di un progetto personalizzato (compreso l’affi ancamento concreto durante l’inserimento). Altri elementi importanti della professionalità sono un’adeguata conoscenza del quadro normativo e, più in generale, il pos-sesso di qualità gestionali per realizzare buone collaborazioni con la rete degli interlocutori chiamati in gioco in un progetto-percorso

dalla scuola al lavoro» (Montobbio & Navone, p. 27). Montobbio, che si è occupato di inse-rimento lavorativo di adolescenti con disabilità intellettiva, ritiene che «non c’è speranza di una identità reale senza l’assegnazione di un ruolo sociale attivo nel mondo degli adulti.

L’unica vera riabilitazione, in senso psico-sociale, per adolescenti ed adulti, consiste nell’assegnazione [...] di un ruolo lavorativo»

(Montobbio, 1992, p. 68).

5. Conclusioni e prospettive future

Nel documento RicercAzione Volume 8 - Numero 1 (pagine 111-114)