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Le policy educative europee e l’emergenza del fenomeno

Nel documento RicercAzione Volume 8 - Numero 1 (pagine 92-95)

È l’alternanza scuola-lavoro uno strumento contro la dispersione? Una rifl essione a

1. Le policy educative europee e l’emergenza del fenomeno

Early School Leavers

La dispersione scolastica e formativa ha ricevuto un’attenzione speciale all’interno delle policy europee a partire dal Consiglio di Lisbona, per la posizione signifi cativa che l’e-ducazione occupa nel quadro dello sviluppo economico e della competitività del mercato del lavoro in Europa (Consiglio Europeo di Lisbona, 2000) .

Le comunicazioni della Commissione Europea, nei tre lustri successivi, hanno rinfor-zato l’enfasi sul ruolo dell’educazione non solo per l’economia ma anche per obiettivi come la cittadinanza attiva, lo sviluppo personale e il benessere (Commissione Europea, 2010) (Commissione Europea, 2013).

La dispersione formativa riduce le opportu-nità di entrare nel mercato del lavoro, accresce

la probabilità di disoccupazione, povertà, pro-blemi di salute e diminuisce la partecipazione ad attività politiche, sociali e culturali con il risultato di marginalizzare una parte attiva della popolazione (Commissione Europea, EACEA, Eurydice & CEDEFOP, 2014).

Fronteggiare la dispersione è così divenu-to un obiettivo prioritario dell’Agenda 2020 e gli Stati Europei sono stati invitati a ridurre la proporzione degli Early School Leavers (ESL) al di sotto del 10% per il 2020 (Commissione Europea, 2013).

Diversi Stati Europei hanno messo in ope-ra la Raccomandazione del Consiglio Europeo (2011) di adottare una strategia globale per aff rontare l’Early School Leaving, una strategia che coinvolga tutte le aree e le policy di inter-vento e gli stakeholders, che copra tutti i livelli dell’educazione e che utilizzi un approccio bilanciato tra attività di prevenzione, intervento e compensazione1.

1 Le politiche di prevenzione sono indirizzate a ridurre il rischio di dispersione prima che il problema abbia inizio.

Le politiche di intervento si pongono l’obiettivo di evitare la dispersione migliorando la qualità dell’istruzione e formazione a livello delle istituzioni educative, reagendo ai segnali di allarme precoce e fornendo sostegno mirato

RICERCAZIONE - Vol. 8, n. 1 - June 2016 | 93

Alcune policy e strategie sono comuni in molti paesi: promuovere l’accesso e qualifi -care il sistema prescolastico; accrescere la fl essibilità e la permeabilità dei percorsi edu-cativi (una strategia pensata per intervenire sui fattori strutturali dei sistemi educativi che contribuiscono alla dispersione); introdurre il counseling orientativo e il supporto linguistico per studenti con diversa madre lingua; raff or-zare le reti con le famiglie e con i soggetti del territorio (strategie pensate per supportare gli individui e i gruppi a rischio); la creazione di Second Chance School o percorsi alternativi, che utilizzano diff erenti approcci pedagogici, ed off rono agli studenti la possibilità di acce-dere ad altri percorsi formativi o qualifi che per l’ingresso nel modo del lavoro, e, molto spes-so, il reinserimento nel Vocational Education and Training2 (VET) di coloro che hanno fallito i percorsi di istruzione secondaria.

Tutto ciò è avvenuto in linea con e sotto la spinta di politiche europee che hanno ridi-segnato le istituzioni educative come luogo che off re ai giovani gli strumenti per “navigare”

adeguatamente in una società complessa e in un mercato del lavoro in continua evoluzione, una formazione capace di rinnovarsi costan-temente per poter rimanere competitiva e d’altro canto capace di off rire ai ragazzi un pensiero critico per promuoverne e raff orzare

la partecipazione e cittadinanza democratica (Consiglio Europeo, 2009).

Il rapporto tra formazione, competitività e mercato del lavoro è però assai complesso e tutt’altro che lineare, come mostra il fenomeno della sovra-istruzione3 ad esempio, e frutto di un diffi cile equilibrio tra domanda proveniente dal mercato del lavoro e off erta di formazione (ISFOL, 2014; Reyneri & Pintaldi, 2013)

In tutte le realtà europee lo scollamento tra i modelli di istruzione e la realtà umana e lavorativa mostra più sfaccettature.

Ross e Leathwood (2013), nell’editoriale al numero speciale Problematizing Early School Leaving dell’European Journal Education chiaramente identifi cavano gli elementi comu-ni di questo scollamento negli Stati Europei:

le traiettorie educative degli individui sono ir-regolari e discontinue, così come l’evoluzione degli interessi e delle motivazioni all’appren-dimento nel tempo; c’è un disallineamento continuo tra i profi li di competenze in uscita e il set di competenze richieste dal mondo del lavoro, perché i requisiti si spostano di conti-nuo; quasi sempre l’organizzazione scolastica procede per cicli progressivi scarsamente articolati e orientati a quelli successivi, che spingono la stragrande maggioranza dei gio-vani a proseguire nei livelli ulteriori di istruzione anche quando sono scarsamente interessati,

agli alunni o gruppi di studenti a rischio di dispersione scolastica. Le politiche compensative rispondono allo scopo di aiutare coloro che hanno lasciato la scuola prematuramente per reinserirli nel sistema di istruzione, off rendo percorsi alternativi o complementari che permettano loro di acquisire le qualifi che non raggiunte (Con-siglio d’Europa, 2011) in http://eur-lex.europa.eu/legal-content.

2 Per non incorrere in confusione, poiché queste prime considerazioni riguardano più ampiamente il quadro europeo del VET è necessario sottolineare che in prospettiva europea il VET comprende tutti i tipi e livelli di educazione vocazionale: al di là dell’organismo compente ad erogare il VET o al tipo di governance specifi co, il VET può riferirsi al livello della scuola secondaria, post-secondaria o terziaria, in setting formali o non formali, incluse misure attive del mercato del lavoro; può essere indirizzato ai giovani e agli adulti e può avere come focus principale di apprendimento la scuola, l’azienda o una forma mista di entrambe (l’apprendistato); inoltre il termine riguarda anche le scuole tecniche e professionali. In Italia, invece, il Vocational and Education Training è associato alla Formazione Professionale di base, la cui competenza è riservata alle regioni e alle province autonome (gli IeFP), a cui ci si riferisce in Europa con il termine IVET (Initial Vocational and Education Training) (CEDEFOP, 2014).

3 Il fenomeno della sovra-istruzione è diff uso in tutti i paesi europei. In Italia appare in forte crescita ed è legato a un innalzamento dell’off erta di forza lavoro qualifi cata in presenza di un rallentamento delle dinamiche del lavoro e una riduzione dei posti destinati a persone in possessi di qualifi che elevate. Questa situazione porta i datori di lavoro ad assumere soggetti più istruiti per posizioni più basse, le quali a loro volta diventano indisponibili per coloro che hanno il profi lo corrispondente, costretti a loro volta a rivolgere la loro attenzione verso qualifi che meno elevate, in un circolo vizioso che allarga il fenomeno della sovra-istruzione anche ai profi li formativi meno elevati. Questa dinamica ha come eff etto un impoverimento del contenuto professionale dell’occupazione e una depressione della competitività del sistema produttivo nazionale (ISFOL, 2014).

laddove le condizioni di partenza lo consen-tano; si dà per scontato che tutti vogliano studiare per lavorare e che la scuola si fondi su un modello meritocratico inesistente. Tutto ciò ha portato in parte a ridimensionare l’idea che livelli più alti di istruzione comportino una relativa maggiore occupabilità, perché la man-canza di quest’ultima è legata al fallimento del mercato del lavoro nel generare una domanda ampia e soddisfacente.

I sistemi di istruzione e formazione sono ben lontani dalla possibilità di risolvere una crisi che sembra non avere fi ne e di fronteg-giare, laddove riesca a raggiungere gli obiettivi di innalzamento dei livelli di istruzione e delle qualifi che nella formazione professionale, l’alta disoccupazione dei giovani (Lettmayr, 2011).

Una prima conseguenza di questa rifl es-sione è che il fenomeno della disperes-sione scolastica e formativa è importante non per-ché dalla dispersione consegue uno scarso sviluppo economico o perché è responsabile degli alti livelli di disoccupazione giovanile, ma perché attraverso questo fenomeno si perpetuano e si riproducono le ineguaglianze sociali e i processi di marginalizzazione di una fetta importante della popolazione4.

Una seconda rifl essione che ne consegue è che la formazione da sola non può garantire la tenuta e la continuità sociale di un sistema e dei suoi cittadini, come sostituto di un wel-fare che viene progressivamente meno. In un contesto di scolarizzazione crescente, com’è quello che si delinea all’interno dei paesi della UE, occorre insistere sulle condizioni di accesso alla formazione e occorre ripensare

la funzione formativa in generale perché la formazione possa realmente rappresentare un fattore di sviluppo e non un fattore ulterio-re di stratifi cazione sociale e disuguaglianza (Margiotta, 2012).

Se il peso accordato alla formazione è così grande, come chiave per il riconoscimento di un diritto di cittadinanza, non si deve allora dimenticare che la formazione tende a “cade-re verso l’alto”, cioè a concentrarsi dove c’è già, per cui da formazione si genera nuova formazione, ma dove la formazione viene meno, come nei drop out, la mancanza di formazione produce eff etti depauperativi nel tempo, che sfociano nella marginalità, nella devianza, nel lavoro precario e non qualifi cato.

Il passaggio sancito dal welfare al learnfare5 deve tutelare un’adeguata formazione per tutti a monte, una formazione che incontri bisogni, caratteristiche, progetti dei giovani e permetta di metterli in campo in un eff ettiva dimensione di cittadinanza (Margiotta, 2012).

Il valore dell’educazione dunque non è, o meglio non è soltanto, strumentale al per-seguimento di uno sviluppo economico (che peraltro non può da solo automaticamente garantire) ma risiede nella possibilità che que-sto off re a ogni individuo di avere gli strumenti per il proprio sviluppo personale e sociale, secondo una visione di sviluppo umano che riconosce a ciascuno la dignità e la libertà di perseguire un proprio progetto di vita e di avere piena cittadinanza nella società di cui fa parte (Sen, 1999).

4 In uno studio longitudinale, Black e colleghi (Black, Polidano, Tabasso & Tseng, 2011) hanno riscontrato che quando un percorso formativo di un giovane subisce un arresto, un’interruzione temporanea e una fuoriuscita dal sistema formativo, più è lungo il tempo che passa prima di un rientro in un percorso di formazione, all’interno di qualsiasi canale formativo, più aumenta la possibilità di rimanere fuori per sempre, e dalla formazione e dal mondo del lavoro.

5 Il termine learnfare è mutuato dai contesti anglosassoni, dove fa riferimento ai programmi di reinserimento scola-stico per quei giovani che ricevono una forma di contribuzione se frequentano la scuola e completano gli studi.

Margiotta, nella sua rivisitazione del concetto, suggerisce che il learnfare in chiave europea può essere ampliato da questa sua accezione ed essere sviluppato come welfare attivo e abilitante, fondato sull’idea di formazione come diritto individuale, che consenta a tutti di raggiungere il possesso di quelle capacità di accesso alla par-tecipazione attiva alla società, attraverso dispositivi che garantiscano tanto i diritti di accesso che di successo, nonché la libertà sostanziale di scelta nei percorsi formativi (Margiotta, 2012, p. 136).

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2. Vocational Education and Training

Nel documento RicercAzione Volume 8 - Numero 1 (pagine 92-95)