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Le alternative alla membership UE: EEA, modello svizzero o terza

Abbiamo finora esaminato nel corso del presente capitolo le possibilità che il Diritto offre ad uno Stato membro il quale decida di abbandonare l'Unione Europea e tracciare da solo il proprio destino. Abbiamo constatato l'assenza, per lungo tempo, nei trattati europei, di una disciplina specifica del recesso.

La lacuna, colmata nel 2009 con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è stata sostituita dall'articolo 50 TUE.

Abbiamo pertanto esaminato tale norma, sottolineandone i pregi, i difetti e gli aspetti tuttora oscuri, per poi ricostruire virtualmente le conseguenze che un evento drammatico quale il recesso di uno Stato dall'UE sarebbe in grado di produrre.

Immaginiamo ora che lo Stato in questione sia riuscito a portare a termine il proprio disegno e che il recesso dall'Unione sia divenuto realtà. Nel corso della nostra indagine è in più punti emerso che un divorzio con modalità “no look behind” (ad esempio un recesso avvenuto in assenza di Withdrawal Agreement, prodottosi alla scadenza infruttuosa del termine biennale concesso alle trattative), con la cessazione di qualunque forma di collaborazione tra lo Stato recedente e l'Unione, non solo sarebbe tutt'altro che conveniente, ma anzi produrrebbe seri danni in capo ad entrambe le parti in gioco.

coi suoi ex partner europei e con le istituzioni della UE, in primis per tentare di mantenersi aperto un accesso – pieno o quantomeno parziale – al suo immenso Mercato Unico, comprendente centinaia di milioni di consumatori. La perdita di una via privilegiata d'accesso allo stesso rischierebbe infatti di tramutarsi per lo Stato recedente in una débâcle economica di proporzioni spaventose.

Ma quali alternative potrebbe trovarsi davanti l'ex Stato membro il quale voglia evitare la strada dell'isolamento completo dall'Unione Europea?

La prima possibilità sarebbe offerta dall'EFTA e dal trattato istitutivo dell'EEA che alcuni Stati membri della prima hanno stipulato con l'Unione Europea, entrato in vigore il 1° Gennaio 1994.

L'EFTA, acronimo di European Free Trade Association, è un'organizzazione internazionale intergovernativa nata nel 1960 per liberalizzare gli scambi tra i Paesi che in quel tempo non volevano o potevano ancora divenire membri delle Comunità Europee, le quali invece procedevano spedite verso un'integrazione economica e politica sempre maggiore.

Di fronte al modello della CEE, fondato pochi anni prima e connotato sin dal principio da una forte spinta sovranazionale, i Paesi promotori dell'EFTA, ed in particolare il Regno Unito, avevano preferito optare per un livello di cooperazione più leggero, non sentendosi ancora pronti per impegnarsi nell'unionismo ambizioso che invece animava il nascente progetto di integrazione europea voluto da Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Testo fondativo dell'EFTA fu la Convenzione di Stoccolma del 1960, oggi sostituita dalla Convenzione di Vaduz nel ruolo di base giuridica dell'organizzazione.

Come afferma l'articolo 2 della Convenzione fondativa dell'EFTA (comunemente detta “Convenzione di Vaduz”):

The objectives of the Association shall be

(a) to promote a continued and balanced strengthening of trade and economic relations between the Member States with fair conditions of competition, and the respect of equivalent rules, within the area of the Association;

(b) the free trade in goods;

(c)to progressively liberalise the free movement of persons; (d) the progressive liberalisation of trade in services and of investment;

between the Member States;

(f) to open the public procurement markets of the Member States;

(g) to provide appropriate protection of intellectual property rights, in accordance with the highest international standards253.

Il progetto nacque dunque con l'obiettivo di liberalizzare gli scambi e propiziare un forte sviluppo commerciale tra i Paesi membri.

Fondatori dell'EFTA furono Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito.

Il progetto ebbe un relativo successo, finché i suoi membri più rilevanti non entrarono gradualmente in quella che sarebbe divenuta l'Unione Europea. L'abbandono di Austria, Danimarca, Portogallo, Svezia e Regno Unito indebolì fortemente l'EFTA, e l'ingresso dell'Islanda e del Liechtenstein non bastò a frenarne il ridimensionamento.

Attualmente l'organizzazione conta solo quattro membri: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

L'EFTA è dotata di un'autorità di sorveglianza, l'EFTA Surveillance

Authority, e di un tribunale incaricato della risoluzione delle

controversie interne all'organizzazione, l'EFTA Court.

Nonostante la perdita di peso dell'organizzazione, quest'ultima svolge oggi un ruolo essenziale per la prosperità di tre dei suoi quattro membri: Islanda, Norvegia e Liechtenstein.

Questi tre Stati membri dell'EFTA e l'Unione Europea hanno infatti sottoscritto nel 1994 l'accordo istitutivo della European Economic

Area (EEA),

L'EEA è un ambizioso progetto di cooperazione commerciale, il quale unisce i mercati di Islanda, Norvegia e Liechtenstein al Mercato Unico europeo, realizzando il c.d. Spazio Economico Europeo254 e

permettendo quindi a tre Stati non aderenti all'Unione Europea di accedere al mercato di quest'ultima.

L'accordo istitutivo dell'EEA dispone l'incorporazione, da parte dei trentuno Stati firmatari, di parte del Diritto dell'Unione: in primis la legislazione relativa alle quattro libertà fondamentali, anima del Mercato Unico (circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali), prevedendo altresì cooperazione in altri settori oggetto di politiche dell'Unione, quali la ricerca e lo sviluppo, l'educazione, la

253 Articolo 2, Convention establishing the European Free Trade Association, Vaduz, 21.6.2001.

254 La Confederazione Svizzera, pur essendo membro dell'EFTA, non ha aderito all'iniziativa dell'EEA, preferendo impostare le proprie relazioni con l'UE su un binario bilaterale.

politica sociale, l'ambiente, la protezione dei consumatori, il turismo e la cultura, come illustrato fin dall'art. 1, par. 2, del trattato255.

Conseguentemente, la partecipazione di uno Stato membro dell'EFTA all'EEA risulterà condizionata all'adozione da parte di questo di cospicui insiemi di norme europee: non solo lo Stato interessato sarà tenuto ad implementare l'intera normativa UE relativa alle quattro libertà fondamentali, ma vedrà altresì fortemente influenzata dalle evoluzioni del Diritto europeo anche la propria legislazione interna relativa alle materie di cooperazione elencate nel paragrafo 2 del primo articolo del trattato istitutivo dell'EEA.

Per garantirsi l'accesso al mercato unico europeo, i tre Stati EFTA firmatari dell'accordo di Bruxelles hanno pertanto accettato di fare propri ampi settori del Diritto dell'Unione e di farvi convergere la propria legislazione interna in numerose materie precedentemente regolate “in libertà”.

Al contrario di quanto accaduto nell'Unione Europea, nel caso dell'EFTA gli Stati membri non hanno ceduto alcuna porzione di sovranità alla propria organizzazione che pertanto, lungi dal potersi considerare sovranazionale, si connota al contrario per una natura puramente intergovernativa.

L'EEA è dotata di una struttura istituzionale assai leggera, nata principalmente per offrire un punto di incontro stabile tra le autorità dei tre Stati EFTA che vi partecipano e quelle rappresentative dell'Unione. Le stesse autorità dell'EEA definiscono quest'ultima una

struttura a due pilastri, i cui organi principali sono: l'EEA Council,

l'EEA Joint Committee, l'EEA Joint Parliamentary Committee e l'EEA

Consultative Committee256.

Tali organi riflettono tutti la struttura a due pilastri dell'EEA: in essi si incontrano infatti da un lato i diplomatici di Islanda, Liechtenstein e Norvegia e, dall'altro lato, i loro omologhi dell'Unione Europea, rappresentata dal Servizio Europeo per l'Azione Esterna, il suo corpo diplomatico.

Scopo dell'EEA è quello di creare una base giuridica omogenea tra Paesi UE e i tre membri EFTA firmatari, al fine di costituire uno spazio economico unico, privo di barriere.

Ciò comporta, in capo ai tre Paesi EFTA partecipanti all'EEA

a general obligation to follow newly adopted pieces of EU secondary legislation. It is notable that at the same time they do not have the right to participate in EU decision-mqking, and their involvement is 255 Articolo 1, par. 2, Agreement on the European Economic Area, stipulato in data 17.3.1993 a Bruxelles.

256 STANDING COMMITTEE OF THE EFTA STATES, SUBCOMMITTEE V ON LEGAL AND INSTITUTIONAL QUESTIONS, The basic features of the EEA Agreement, 1.7.2013.

limited to decision-shaping at the early stages of the EU legislative process […] for instance contributions to a variety of expert committees assisting the European Commission257.

Quanto sottolineato nelle righe precedenti integra esattamente il cuore della questione: a prima vista, l'adesione all'EFTA potrebbe apparire come una soluzione assai appetibile per uno Stato fuoriuscito dall'Unione Europea facendo uso della procedura ex art. 50 TUE. Seguendo tale strategia, lo Stato in questione potrebbe infatti entrare in un'organizzazione dotata di una struttura più leggera ed organismi meno influenti, e gestire in modo più autonomo le proprie politiche. La membership EFTA permetterebbe poi allo Stato fuoriuscito dall'Unione di aderire al trattato istitutivo dell'EEA, che gli schiuderebbe le porte del Mercato Unico Europeo così come avvenuto per Islanda, Liechtenstein e Norvegia, i quali vi hanno in tal modo trovato accesso pur rimanendo saldamente fuori dall'Unione258.

Ad uno sguardo più attento, però, tale opzione mostrerà tutti i propri limiti: come abbiamo rilevato, la partecipazione all'EEA comporta infatti un impegno continuato al recepimento, da parte dei Paesi EFTA che vi partecipano, di rilevanti porzioni di normative europee, non solo nel settore delle quattro libertà poste a fondamento del mercato unico, ma anche in numerose materie oggetto di politiche comuni dell'Unione. Ciò allo scopo di garantire un livello di omogeneità normativa sufficiente a garantire che l'apertura del Mercato Unico Europeo a Islanda, Liechtenstein e Norvegia non provochi problemi. La rimozione di potenziali asperità giuridiche si estende anche all'interpretazione delle norme: l'EEA Agreement richiede infatti che l'interpretazione delle norme in esso contenute e sostanzialmente riproducenti normative dell'Unione avvenga secondo un criterio di omogeneità. Conseguentemente, nonostante la formale indipendenza dei due tribunali, l'influenza delle pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nell'operato della EFTA Court è de facto notevole. Gli articoli 105, 106 e 107, contenuti nel Capitolo III, Sezione I,

“Homogeneity” del trattato istitutivo dell'EEA, istituiscono infatti

meccanismi volti a favorire il coordinamento a tale scopo tra la Corte di Giustizia dell'Unione, l'EFTA Court e gli altri organi giurisdizionali dei tre Stati EFTA partecipanti all'EEA.

Riprendendo quanto accennato in precedenza, a questo punto dell'esposizione uno sguardo attento dovrebbe aver individuato le ragioni per cui uno Stato recedente dall'Unione Europea difficilmente

257 ŁAZOWSKI, Withdrawal from the European Union and Alternatives to Membership, in European Law Review, Vol. 37(5), 2012, p. 523.

258 L'Islanda avanzò la propria candidatura all'ingresso nella UE nel 2009, all'apice della crisi finanziaria che aveva colpito duramente il Paese nordico. Nel 2015, tuttavia, l'Islanda decise di ritirare la propria candidatura.

potrà trovare interessante l'ipotesi di adesione all'EFTA allo scopo di sottoscrivere l'EEA Agreement.

Tale strategia permetterebbe sì, allo Stato in questione, di garantirsi una via d'accesso al Mercato Unico Europeo, ma ad un costo estremamente alto: in primo luogo, il recepimento passivo di consistenti e progressivi insiemi di normative europee, in assenza di significativa voce in capitolo nel law making di tali atti; in secondo luogo la forte, continuativa influenza che la Corte di Giustizia dell'Unione continuerebbe ad avere sulle decisioni dei giudici nazionali dello Stato receduto, avendo per di più perso quest'ultimo ogni diritto a far sedere un giudice dotato della sua cittadinanza nel collegio della Corte avente sede in Lussemburgo.

Alla luce di tali considerazioni, la posizione di uno Stato receduto dall'Unione Europea e confluito attraverso l'EFTA nell'EEA verrebbe ad essere sensibilmente peggiore della precedente, rientrando comunque questo nel cono d'ombra del Diritto dell'Unione Europea, pur avendo perso qualsiasi titolo a prendere parte alla sua formazione. Difficilmente, pertanto, uno Stato potrebbe optare per una posizione che si presenta de facto come deteriore rispetto a quella precedentemente detenuta.

La principale alternativa alla membership dell'Unione, una volta scartata l'opzione EEA, è offerta dal c.d. “Modello Svizzero”, il quale riflette l'assetto delle relazioni intessute tra l'UE e la Confederazione Elvetica. Quella tra Europa e Svizzera è una cooperazione molto importante: in Svizzera risiede almeno un milione di cittadini europei, e oltre ad essi altri 230'000 cittadini dell'Unione appartengono alla categoria dei lavoratori transfrontalieri.

L'UE, occupando il 64,5% del commercio estero elvetico, rappresenta il principale partner commerciale della Svizzera, mentre quest'ultima è destinataria del 7,7% delle esportazioni europee259.

Le relazioni tra UE e Svizzera sono improntate ad un modello bilaterale puro, il quale è stato preferito dalla Confederazione nonostante la sua appartenenza all'EFTA, la quale avrebbe potuto garantirgli facile accesso all'EEA.

Il quadro delle relazioni tra Unione Europea e Svizzera è oggi offerto da un mastodontico panorama di decine di accordi bilaterali, ciascuno dei quali attinente ad una specifica materia ed amministrato da un proprio Joint Committee composto da rappresentanti delle due parti. Questo corpus normativo può essere suddiviso in tre macro-insiemi: il

Free Trade Agreement e due pacchetti di accordi: il Bilaterals I ed il Bilaterals II.

Tra i numerosi accordi stipulati, un posto rilevante è occupato da

259 EUROPEAN EXTERNAL ACTION SERVICE (EEAS), EU Relations with Switzerland, informazioni disponibili al seguente link:

quello che introduce la libera circolazione delle persone: i cittadini svizzeri possono così godere di diritti di circolazione in larga misura simili a quelli dei cittadini dei Paesi membri dell'EEA.

Come l'entità degli scambi tra Europa e Svizzera lascia intendere, le materie oggetto di cooperazione sono molte: dal regime di movimento dei lavoratori e dei cittadini elvetici ed europei si arriva fino al traffico aereo, all'agricoltura ed all'ingresso della Svizzera nell'area Schengen. Seppur in misura minore rispetto a quanto visto per l'EEA, anche alcuni accordi bilaterali tra Unione Europea e Svizzera impongono l'applicazione di parti dell'Acquis Comunitario nelle relazioni intercorrenti tra le parti firmatarie.

Ciononostante, l'evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione apparirà rilevante in questa sede solamente per le materie nelle quali la Svizzera si sia impegnata ad applicare porzioni di

Acquis; in tal caso, l'impatto di tali evoluzioni giurisprudenziali

sull'interpretazione degli accordi bilaterali verrà stabilito dai Joint

Committees competenti.

Il modello di cooperazione bilaterale ha pregi e difetti: ad esempio, se da un lato esso appare meno impegnativo dell'EEA per uno Stato desideroso di mantenere il più possibile intatta la propria sovranità nazionale, dall'altro lato esso è un modello integrativo di tipo statico, che necessità frequenti protocolli modificativi e manca totalmente di organicità.

Ciononostante, neanche questo modello potrebbe essere giudicato ideale da uno Stato che, fresco di recesso dall'Unione Europea, cerchi di recuperare sovranità e indipendenza. Come mai?

Sebbene meno esposto dell'EEA, neppure il modello delle relazioni bilaterali “alla elvetica” appare immune dall'influenza del Diritto dell'Unione Europea: se è vero che i Paesi EFTA partecipanti all'EEA e a Schengen hanno dovuto impegnarsi a recepire circa due terzi dell'Acquis Comunitario260, abbiamo sottolineato come numerosi

accordi di partnership conclusi tra Unione Europea e Svizzera prevedono il recepimento da parte della seconda di normative prodotte dalla prima.

Lo Stato recedente deciso ad optare per una partnership con l'UE improntata al modello svizzero dovrebbe con ogni probabilità negoziare anch'esso l'accettazione di standard e normative prodotte dall'Unione, avendo però ormai perso qualsiasi influenza nel processo di decision making della stessa.

Lo Stato recedente, per quanto ipoteticamente rilevante dal punto di vista geopolitico ed economico, verrebbe inoltre a trovarsi in una situazione di grande asimmetria contrattuale al momento di negoziare accordi internazionali con un gigante economico e politico quale è

260 MILLER, Leaving the EU, Research Paper 13/42, Library of the House of Commons, London, 2013, p. 20.

l'Unione.

Appare pertanto improbabile, alla luce di quanto appena osservato, che uno Stato recedente dall'Unione decida di optare per una posizione deteriore rispetto a quella goduta in precedenza, incapace come tale di fornirgli un forte upgrade di sovranità.

Posizione deteriore determinata, nel caso del modello svizzero, da una evidente asimmetria di potere contrattuale e dalla forte influenza che l'Unione, la sua legislazione e la giurisprudenza della Corte di Giustizia continuerebbero a riversare sullo Stato in questione.

Nel corso di questo paragrafo abbiamo esaminato le principali alternative che verrebbero ad occupare i pensieri di uno Stato che, pur recedendo dall'Unione, desideri continuare ad intessere relazioni diplomatiche e commerciali con la stessa, ed in particolare mantenersi una via d'accesso al suo Mercato Unico: l'EEA ed il modello svizzero. Entrambi i modelli, pur con alcuni pregi (il progresso economico portato a Islanda, Liechtenstein e Norvegia dall'accesso al Mercato Unico, nel primo caso, ed il maggiore margine di manovra teoricamente concesso alla sovranità nazionale, nel secondo), presentano tuttavia criticità che potrebbero renderli inadatti ad uno Stato il quale, appena receduto dall'Unione, cerchi una maggiore indipendenza dalla stessa ed un esercizio più pieno della propria sovranità.

Entrambi i modelli esaminati vedono infatti un'attrazione de facto dei Paesi interessati dalla partnership nel “raggio gravitazionale” dell'Unione Europea: pur formalmente indipendenti dalla stessa, sono loro, e non l'UE, a dover recepire cospicue razioni di Acquis

Comunitario, senza influire sensibilmente nella procedura decisionale

della normativa europea.

Quale rotta potrebbe scegliere pertanto lo Stato recedente?

Se da un lato l'isolazionismo propugnato da alcuni puristi della sovranità nazionale assoluta appare nel mondo d'oggi più che mai irrealizzabile e forse persino distopico, è anche vero che ciascuno Stato, per posizione geografica e Storia proprie, potrebbe optare per una differente strategia: rafforzare le relazioni economiche e diplomatiche con eventuali ex colonie, optare per una politica di riposizionamento regionale o privilegiare partnership storiche, e così via. Saranno la Storia, la posizione, i capitali e le risorse di un Paese a orientarlo verso la strategia più adatta alle proprie peculiarità.

Prima di guardare lontano o studiare soluzioni fantasiose non bisognerà però dimenticare che la soluzione, forse, si cela proprio sotto il nostro naso. L'articolo 50, par. 2 TUE definisce infatti il Withdrawal

Agreement come “accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione”261.

Il futuro delle relazioni di un Paese membro con l'Unione Europea

potrebbe quindi iniziare proprio lì dove termina la sua membership: nel

Withdrawal Agreement.

L'unica via che, come anticipato, appare fortemente criticabile e difficilmente realizzabile nel mondo multipolare ed interconnesso del XXI secolo è quella del neo-isolazionismo.

Questo, pur apparendo seducente a nostalgici e frange di popolazione ormai ciniche e disilluse, cela dietro la rassicurante immagine dei “bei

vecchi tempi” una pericolosissima malattia.

Un male che, paradossalmente, solo l'integrazione europea riuscì a guarire: il nazionalismo.