• Non ci sono risultati.

Nel corso del presente capitolo abbiamo analizzato, con taglio giuridico ma tenendo in conto le tante variabili che disegnano ogni giorno la realtà fattuale determinando il destino dei Paesi europei, l'ipotesi dell'uscita di uno Stato membro dall'Unione Europea.

Abbiamo esaminato il quadro normativo vigente prima del Trattato di Lisbona, privo di una clausola esplicitamente dedicata al recesso, e studiato i problemi di applicabilità262 che il Diritto Internazionale

incontra in tale ipotesi.

Superata la tappa di Lisbona, abbiamo scoperto che oggi il Diritto primario europeo offre una esplicita clausola di recesso: l'articolo 50 TUE.

Tale norma offre la possibilità di ottenere il recesso dall'Unione sia attraverso la stipulazione di un Withdrawal Agreement in grado di dare un livello minimo di certezza giuridica alle tante questioni sollevate dal recesso, sia – falliti i negoziati – facendo scadere il termine biennale decorrente dalla notificazione ex articolo 50, par. 2 TUE, attraverso la quale lo Stato in questione informa il Consiglio europeo circa la propria volontà di recedere.

La via per uscire dall'Unione Europea pertanto c'è, ed è riscontrabile

“nero su bianco” all'interno del Trattato sull'Unione.

La nostra indagine ci ha però ammoniti in più punti circa la natura impervia di questo sentiero. Se ad una prima lettura la procedura di uscita dall'Unione potrà apparire relativamente “semplice” e paradossalmente soggetta a minori ostacoli formali rispetto all'iter ex art. 49 TUE, riservato ai nuovi Stati desiderosi di accedere all'Unione, la realtà è più complessa.

Il livello di integrazione tra gli Stati membri dell'Unione, in primo luogo tra quelli dell'Eurozona, è andato approfondendosi così tanto da rendere il recesso un processo particolarmente complicato, e dall'esito

incerto. Ciò dovrebbe mettere in guardia i numerosi opinionisti, politici, blogger e sedicenti giornalisti che ogni giorno sventolano la possibilità dell'uscita dall'Unione Europea come soluzione a tutti i mali, nonché come un risultato che da certi discorsi sembrerebbe quasi potersi ottenere schioccando le dita.

La realtà è ben diversa: pur incrinato da numerosi punti deboli e da una governance spesso non all'altezza delle sfide che il complesso mondo odierno pone all'Europa, il progetto di integrazione europea è stato il più grande motore di pace, sviluppo economico socialmente sostenibile, scambi culturali e apertura mentale cui il mondo abbia assistito negli ultimi secoli.

Centinaia di milioni di vite vengono ormai influenzate ogni giorno dall'Unione Europea e dal Diritto che essa produce: una breve riflessione sulle nostre stesse vite potrà mostrarci quanto nel giro di pochi decenni siano andati intensificandosi i nostri rapporti con cittadini di altri Paesi dell'Unione, le possibilità di viaggiare liberamente attraverso confini un tempo sorvegliati da trincee, le questioni di interesse pan-europeo, le possibilità di studiare e lavorare in tutta l'Europa.

Tutto questo mentre fino a non molto tempo fa i cittadini sovente nascevano, vivevano e morivano confinati nella loro stessa città. Pensiamo al milione di bambini che dal 1987 ad oggi sono nati da coppie di cittadini europei conosciutesi svolgendo il progetto

Erasmus263, agli ingenti finanziamenti offerti dall'Unione Europea alle

nostre comunità locali, spesso vitali ed altrettanto frequentemente sprecati.

Ancor prima di soffermarci su tutti questi bellissimi elementi, lanciamoci però nella riflessione originale alla base del progetto europeo: l'Europa è nata per unire, per ora soprattutto dal punto di vista economico, ma auspicabilmente un giorno anche a livello politico, i popoli del continente che più di tutti aveva conosciuto la guerra nel corso della Storia.

Un continente che, persino nelle fasi più cupe della propria Storia, non ha mai smesso di essere un insieme di vasi comunicanti, un crocevia di culture, arte e vita: una comunità di destino.

Ecco perché, ancor prima di soppesare col bilancino la convenzienza di qualsiasi argomentazione geopolitica, giuridica o economica, l'uscita dall'Unione Europea non può che presentarsi come una scelta difficile, un passo che nessun governante potrà compiere senza adeguata riflessione e consapevolezza della propria responsabilità storica. Pur con le sue grandi criticità, ed anche se solo recentemente abbiamo assistito ai primi veri tentativi di colmarne il “deficit democratico”, l'Unione Europea rimane la più ambiziosa costruzione politica,

263 SEVERGNINI, Quel milione di bambini nato da coppie Erasmus, in Il Corriere della Sera, 8.10.2014.

giuridica, economica, culturale e sociale tentata dall'Uomo: il primo vero tentativo, fin dai tempi della Pace di Vestfalia, di dimostrare che il mondo non deve necessariamente essere un insieme di Stati a sovranità assoluta e che un'unione sovranazionale di popoli è possibile.

Oltre a tali considerazioni di tipo ideale, numerosissimi fattori di tipo giuridico, economico e geopolitico spingono la Storia in un senso contrario all'isolazionismo. L'Unione Europea è, pur in una fase di difficoltà economica, uno dei principali mercati al mondo, e di certo rappresenta tuttora quello in cui i consumatori vengono maggiormente tutelati. Anno dopo anno, sempre più materie si dimostrano ormai difficili da regolamentare efficacemente a livello di singoli Stati, ed una soluzione può elaborarsi solo a livello europeo o internazionale (si pensi ad esempio al fenomeno del riscaldamento globale responsabile del “Climate Change”).

L'evoluzione dell'economia finanziaria fino ad una dimensione globale ha reso ormai impossibile giungere ad una sua efficace regolamentazione attraverso i limitati poteri legislativi di uno Stato, sia esso irrilevante o di grande peso internazionale.

Solo un'Europa unita, inoltre, parlando con una voce coerente e unica, sarà in grado di avere voce in capitolo nei fascicoli scottanti che caratterizzeranno il mondo multipolare di domani.

Per queste ed altre ragioni, la scelta di uscire non può e non deve essere presa alla leggera.

Certo, la scelta di restare parte dell'Unione non può essere fatta ad ogni costo: è evidente che le crepe che essa mostra ogni giorno, emerse ad esempio nelle palesi iniquità nella gestione della crisi greca o nella persistente inconsistenza della sua Politica Estera, nell'urgente necessità di rafforzarne la legittimazione democratica ne mettono a dura prova l'azione, il sostegno popolare e, in fin dei conti, la sopravvivenza.

Occorre però sottolineare che, se diverse tra queste criticità trovano le proprie cause nell'operato delle istituzioni europee, spesso la reale causa della crisi attualmente attraversata dall'Unione Europea affonda le proprie radici proprio nell'egoismo degli Stati membri i quali, abbagliati dal miraggio di una grandeur ormai perduta da tempo, appaiono incapaci di sviluppare un orizzonte mentale in grado di produrre politiche che vadano veramente nell'interesse di tutti i cittadini europei.

Capitolo 4

“Separati in casa”: l'Europa e lo spettro del Brexit