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Tragedia senza catarsi: le conseguenze del Grexit

Si è tentato, nel presente capitolo, di comprendere cosa sia esattamente il Grexit e quali catene di eventi possano condurre a tale esito.

Abbiamo constatato come l'uscita della Grecia dall'Eurozona sia uno scenario che, lungi dall'essere impossibile, è giunto ad un passo dal concretizzarsi in almeno due casi.

Abbiamo rilevato l'esistenza di almeno tre differenti vie in grado di condurre ad un simile risultato: due implicano il “dolo” di una delle due controparti di questa vicenda, la terza implica una loro condotta

latu sensu “colposa”.

La dottrina giuridica, politica ed economica si trova da tempo impegnata in una sanguinosa battaglia senza esclusione di colpi in cui molti opinionisti hanno preso posizione tra le fila dell'uno o dell'altro schieramento. Se questo discorso è valido principalmente per la dottrina economica, occorre ricordare come tra i giuristi si sia invece raggiunta una visione quasi unanime nel condannare qualunque tipo di

Grexit come un evento assolutamente lesivo tanto del Diritto

dell'Unione quanto del Diritto Costituzionale greco.

Abbiamo infatti visto come lo scenario ipotizzato da Bootle nel contributo vincitore del Wolfson Economic Prize MMXII, caratterizzato dallo stesso pragmatismo economico e politico che spesso agisce da guida dei policy makers, proponga soluzioni totalmente incompatibili con un ordinamento democratico moderno.

La rapidità e la segretezza necessarie a disinnescare dal punto di vista finanziario la decisione di abbandonare l'Eurozona risultano infatti completamente incompatibili con i tempi medio-lunghi della macchina democratica: la discussione parlamentare, la corretta informazione della popolazione, la convocazione di un referendum, tutti questi elementi di democrazia vengono considerati un ostacolo da evitare a tutti i costi, per evitare che il timore dell'uscita del Paese dall'Eurozona scateni il collasso del sistema bancario greco.

La democrazia, e con essa il diritto di un popolo di prendere decisioni le cui conseguenze si rifletteranno per generazioni, viene sacrificata sull'altare della stabilità finanziaria.

Se da un lato molti, tra i fautori di un Grexit, vedono in tale evento la possibilità di sottrarre la Grecia alle innegabili limitazioni di sovranità

de facto subite negli anni della Crisi, dall'altro pochi realizzano che le

stesse la morte della democrazia.

La prima conseguenza – nefasta – di un Grexit volontario o forzato sarebbe pertanto l'inflizione di un durissimo colpo alla giovane democrazia greca ed al ruolo di difensore della legalità e della libertà che l'Unione Europea vorrebbe attribuirsi.

La fiducia dei cittadini dell'Unione nello Stato greco e nell'UE sarebbe minata per sempre, così come la certezza giuridica dell'ordinamento europeo, piegatosi alle esigenze dei mercati finanziari e degli istituti di credito come erba al vento.

Fatta eccezione per voci isolate quale quella di Bootle, la dottrina concorda nel considerare impossibile una gestione ordinata del Grexit e delle sue conseguenze205.

Il caso di Grexit non concordato tra le parti risulta tra tutti il più drammatico: l'assenza di un accordo minimo sulle modalità di abbandono dell'Eurozona da parte della Grecia porrebbe immediatamente sul tavolo una serie infinita di questioni.

La prima e più scottante sarebbe quella della denominazione delle obbligazioni contratte con elemento estero.

Seguendo la strategia proposta da Roger Bootle, il governo greco, una volta introdotta la nuova valuta secondo un iniziale regime di cambio 1:1 nei confronti dell'euro, dovrebbe lasciarla libera di fluttuare.

Nel caso di un Paese economicamente fragile quale la Grecia, la libera fluttuazione dovrebbe comportare la rapida perdita di valore da parte della Nuova Dracma. Qualora il governo greco riuscisse ad intavolare con successo con i propri creditori delle trattative volte ad ottenere la ridenominazione del debito contratto in euro in nuove dracme, la perdita di valore di queste ultime produrrebbe l'effetto indiretto di un forte alleggerimento del carico debitorio.

Abbiamo però constatato come non sussistano parametri giuridici sufficienti a sostenere una tale proposta: finché il regime giuridico monetario dell'euro sopravvive, il debito estero contratto in euro non potrà essere ridenominato.

L'unica ipotesi di ridenominazione possibile è costituita dallo scenario di totale frammentazione dell'Eurozona e scomparsa dell'euro, dal momento che in esso il regime monetario vigente al momento della stipulazione delle obbligazioni verrebbe a dissolversi.

È pertanto da escludere che il governo greco sia in grado di condurre con successo l'operazione di ridenominazione del debito: mancanza di idonee basi giuridiche, forti perdite economiche tra le file dei creditori, attriti prodotti dalla rottura tra le parti alla base del Grexit sono tutti fattori che portano a prevederne già in anticipo l'inesorabile fallimento. A inizio 2015, prima dell'ultimo bailout, il debito pubblico greco ammontava a 323 miliardi di euro, equivalenti al 177% del Prodotto

205 Vedi supra Nota 190, Op. Cit., la quale a p. 8 afferma in modo netto, riferendosi al Grexit: “An orderly exit is virtually impossible in the current situation”.

interno lordo del Paese206.

Questo era ripartito tra differenti categorie di detentori: il 60% risultava costituito da prestiti erogati alla Grecia dai suoi partners dell'Eurozona. Di questa fetta, ammontante a 195 miliardi di euro, 142 erano stati assicurati alla Grecia attraverso l'EFSF, antenato del MES; i restanti 53 miliardi erano invece frutto di prestiti bilaterali. I Paesi più esposti alle sorti del debito Greco risultavano essere la Germania (per 56 miliardi), la Francia (per 42 miliardi), l'Italia (per 37 miliardi), la Spagna (per 24 miliardi) e l'Olanda (per 11 miliardi). Il 15% del debito risultava alla data di tale rilevazione detenuto dal settore privato, il 10% dal FMI ed il 6% dalla BCE.

Tale assetto, seppur lievemente alterato dalle novità sottese all'ultimo

bailout arrivato nell'Estate 2015, rappresenta ancora con un buon

livello di fedeltà la ripartizione estera del debito pubblico greco. Alla luce di questi elementi, risulta ancor più difficile immaginare come Paesi tanto esposti potrebbero accettare la proposta greca di ridenominare in Nuove Dracme obbligazioni precedentemente contratte in euro, operazione che a causa dell'istantanea perdita di valore della nuova valuta greca causerebbe loro perdite dell'ordine di decine di miliardi di euro, e che per di più poggerebbe su basi giuridiche assolutamente aleatorie.

Si sente spesso affermare, nel dibattito politico, che la rinnovata conquista della sovranità monetaria potrebbe permettere alla Grecia di far riguadagnare competitività alla propria economia attraverso la crescita delle esportazioni, favorita dalla forte svalutazione della propria valuta nazionale.

I dubbi che invece tale strategia, alla quale si vorrebbero attribuire risultati miracolosi, produca vantaggi insufficienti a bilanciare gli svantaggi determinati dall'uscita dall'Eurozona sono invece forti. Il settore dell'export greco ottiene da tempo performance insufficienti rispetto alle proprie potenzialità, tanto da essere stato anche oggetto di ricerche specifiche da parte della Commissione Europea207.

Il costo del lavoro non può però essere considerato responsabile di tale scarsa competitività, dal momento che i salari medi (e conseguentemente il costo del lavoro) risultano oggi i più bassi dell'Unione Europea, subito dopo quelli lettoni e lituani.

Le esportazioni greche si concentrano inoltre nel campo dei prodotti agricoli, olio in primis, settore caratterizzato da una domanda rigida, o

anaelastica.

Le ragioni alla base della performance deludente delle esportazioni greche non vanno pertanto cercate tanto nella politica monetaria,

206 Grecia e debito: la posta in palio è il futuro dell'UE, in EuNews.it, 5 Febbraio 2015.

207 BÖWER, MICHOU, UNGERER, The Puzzle of Greek Missing Exports, in Economic Papers 518, European Commission, Bruxelles, June 2014, p. 2.

quanto nella struttura rigida dei mercati sui quali queste fanno leva e nei cronici limiti della locale classe dirigente, incapace di promuovere uno sviluppo incentrato sulla meritocrazia208.

Nell'estrema ipotesi in cui invece Atene dovesse decidere di abbandonare l'Eurozona attraverso la drastica via del recesso in toto dall'Unione Europea ex art. 50 TUE lo scenario che verrebbe a concretizzarsi sarebbe persino più fosco: focalizzandosi sulle sole conseguenze giuridiche ed economiche, i danni inflitti al Paese dalla perdita dell'accesso al mercato unico europeo annullerebbero qualsiasi beneficio attribuito alle esportazioni dalla svalutazione della nuova valuta.

La Grecia, acquisito il nuovo status di Paese terzo, si vedrebbe costretta a far accedere i propri prodotti ad uno dei più grandi mercati mondiali, nonché il più vicino, solo dietro pagamento di elevati dazi, dovendoli inoltre adattare alle sofisticate normative europee senza più poter partecipare alla loro redazione.

In conclusione, gli effetti positivi che alcuni opinionisti attribuiscono al Grexit si incentrano sull'assunto che la ritrovata sovranità monetaria permetta al governo greco di attuare politiche inflazionistiche in grado di ridare energia all'export, nella speranza che quest'ultimo ed il turismo trainino l'economia nazionale verso una nuova fase di crescita. Abbiamo tuttavia constatato come i risultati positivi – meramente ipotetici – inseguiti da tale strategia debbano scontrarsi con una serie di variabili e circostanze che rischiano di indebolirli fortemente, se non annullarli in toto.

Se a queste riflessioni aggiungiamo l'ormai acclarata insostenibilità giuridica dell'operazione Grexit tanto dal punto di vista dell'ordinamento costituzionale greco quanto di quello europeo, ed oltre a quelli economici ci soffermiamo a quantificare i “danni” democratici e giuridici, ecco che il bilancio complessivo della vicenda complessivamente intesa rischia di divenire ancor più negativo, se non apertamente inaccettabile.