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Terminata l'analisi delle soluzioni che il Diritto ha offerto prima e dopo le riforme di Lisbona agli Stati intenzionati a terminare la loro membership dell'Unione, procediamo ora ad un esame dettagliato del recesso tramite Withdrawal Agreement.

Questo iter concordato, che incontra la sua disciplina di base nei paragrafi 2, 3 e 4 dell'art. 50 TUE, rappresenta senz'altro la soluzione ottimale che uno Stato membro dovrebbe seguire qualora, pur intenzionato ad abbandonare l'Unione Europea, desideri garantire alla propria cittadinanza una fase di transizione il meno burrascosa possibile.

Se inoltre la lettera dell'art. 50, par. 3 TUE introduce formalmente il c.d. “Recesso unilaterale”, l'abbandono dell'Unione Europea tramite accordo è senza dubbio la soluzione più in armonia con lo spirito dei trattati, le cui norme andrebbero coniugate col principio di leale

cooperazione tra Unione e Stati membri ex art. 4, par. 3 TUE.

Una condotta negoziale intransigente e ostruzionistica, volta a solo a dilazionare le trattative sul recesso o a provocarne il fallimento, sarebbe infatti del tutto in contrasto con tale principio, incaricato di reggere le relazioni tra Unione e Stati membri. Ciò sia ove a intraprendere un comportamento sleale sia lo Stato recedente, sia qualora a provocare dolosamente o colposamente il fallimento delle trattative sia la condotta negoziale della UE.

intenzionato a recedere saranno i rappresentanti del proprio governo, ci si è posti il dubbio riguardo chi, dall'altra parte, debba gestire le trattative in nome dell'Unione. Dubbio fortunatamente risolto dallo stesso articolo 50 TUE, che al paragrafo 2 specifica che

“L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 218, paragrafo 3 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo”228

Come precedentemente accennato, i negoziati avvengono in modo del tutto analogo a quelli volti alla conclusione di accordi tra l'Unione ed i Paesi terzi, disciplinati dal Titolo V della Parte V del Trattato sul Funzionamento dell'Unione, che contiene l'articolo 218, paragrafo 3. Dispone quest'ultimo:

“La Commissione […] presenta raccomandazioni al Consiglio, il quale adotta una decisione che autorizza l'avvio dei negoziati e designa, in funzione della materia dell'accordo previsto, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell'Unione”229.

Il Consiglio, ascoltate le raccomandazioni della Commissione, provvede pertanto alla nomina di una squadra di negoziatori, la quale abbozzerà con lo Stato interessato un Withdrawal Agreement, sulla base degli orientamenti formulati dal Consiglio Europeo.

La bozza di accordo raggiunta dalle parti viene quindi sottoscritta, in nome dell'Unione, dal Consiglio, il quale delibera sul testo a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento Europeo. Opportunamente, il paragrafo 4 della clausola di recesso specifica che, nel corso di tali deliberazioni, i rappresentanti dello Stato recedente nel Consiglio e nel Consiglio Europeo non partecipano ai lavori.

Nella delibera con la quale decide la conclusione dell'accordo, il Consiglio vota a maggioranza qualificata secondo la definizione che di quest'ultima si dà nell'articolo 238, par. 3, lettera b) del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea230: l'accordo sarà pertanto

concluso con l'assenso del “72% dei membri del Consiglio

rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65% della popolazione di tali Stati”231.

Al momento della propria entrata in vigore, il Withdrawal Agreement produrrà l'effetto di far cessare l'applicazione dei trattati europei all'ormai ex Stato membro, certificandone l'uscita dall'Unione.

228 Articolo 50, par. 2, Trattato sull'Unione Europea.

229 Articolo 218, par. 3 Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.

230 Secondo quanto stabilito dall'articolo 50, par. 4 del Trattato sull'Unione Europea. 231 Articolo 238, par. 3, lett. b) Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.

Allo scopo di smantellare completamente la cornice giuridica della partecipazione di uno Stato membro all'Unione Europea, sarà però necessaria anche la rimozione dal Diritto primario comunitario di ogni riferimento normativo alla membership dello stesso.

Come opportunamente sottolineato in dottrina, la natura di accordo internazionale del Withdrawal Agreement impedisce a quest'ultimo di modificare direttamente i trattati europei, rendendo necessaria la parallela stipulazione di un trattato di revisione degli stessi ex art. 48 TUE. Per rendere possibile un coordinamento ottimale tra i due testi, sarebbe opportuno far sì che i due trattati entrino contemporaneamente in vigore.

A complicare ulteriormente la situazione vi è il rischio che, a loro volta, altri Stati membri approfittino della necessità di stipulare un trattato modificativo ex art. 48 TUE per mettere in discussione altre regole fondamentali della casa europea, mettendo in atto una sorta di “assalto alla diligenza”, dietro la minaccia esplicita o implicita di rallentarne o ostacolarne apertamente l'iter di ratifica.

Qualora il Withdrawal Agreement assuma invece la forma di “accordo di natura mista” (disciplinante tanto il recesso quanto le modifiche ai trattati necessarie a tener conto della cessazione della membership dello Stato interessato), per la sua entrata in vigore sarà necessaria la ratifica di tutti gli Stati membri dell'Unione. Sia che abbia la forma di accordo internazionale, sia che assuma l'aspetto di un accordo misto, il

Withdrawal Agreement entrerà a far parte della sfera del Diritto

dell'Unione, come tale sottoposto alla giurisdizione della Corte di Giustizia ed ipoteticamente oggetto di controversie relative alla validità della sua sottoscrizione e approvazione, ex art. 263 TFUE. Inoltre, a partire dalla sua entrata in vigore, i tribunali nazionali dei restanti Stati membri potranno invocare la Corte di Giustizia dell'Unione allo scopo di ottenere una pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE avente ad oggetto tale accordo, mentre i tribunali dello Stato ormai uscito dall'Unione potranno fare altrettanto solo ove si siano visti attribuire tale potere in sede di redazione dell'accordo232.

L'accordo sul recesso di uno Stato membro, stipulato tra la parte uscente ed il Consiglio dell'Unione, andrebbe a formare parte del Diritto primario dell'UE, essendo gli accordi conclusi dall'Unione con soggetti terzi parte integrante del Diritto della stessa ex art. 216 TFUE. Riguardo ai contenuti necessari del Withdrawal Agreement, il punto di riferimento normativo è offerto dal paragrafo 2 dell'articolo 50 TUE, il quale considera l'accordo come “volto definire le modalità del recesso,

tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione”233.

Il parametro normativo si dimostra pertanto piuttosto scarno, ed incapace di conseguenza di fornire indicazioni sufficienti circa il

232 Vedi supra Nota 222, Op. Cit., p. 528.

contenuto minimo che tale accordo dovrebbe avere.

Tale circostanza presenta però anche degli elementi positivi: come strumento particolarmente flessibile, il Withdrawal Agreement può assumere una vastissima gamma di contenuti, ed è anzi auspicabile che ad esso le parti ricorrano per regolare qualsiasi possibile fonte di controversia possa loro derivare dall'evento del recesso: sorte degli ex dipendenti dell'Unione dotati di cittadinanza dello Stato recedente; status delle agenzie o istituzioni dell'Unione aventi sede nel territorio dello Stato uscente; eventuali questioni relative alla denominazione del debito; concessioni particolari nei confronti dello Stato uscente nonché dei suoi cittadini e prodotti; destino dei progetti di ricerca e innovazione destinatari, nel Paese recedente, di finanziamenti europei; eventuale rimborso parziale degli ultimi contributi versati dallo Stato uscente nel bilancio dell'Unione; eventuale predisposizione di normative transitorie per i settori oggetto di normativa europea, in attesa di futura legislazione nazionale.

Questi sono solo alcuni dei possibili contenuti che il Withdrawal

Agreement potrà assumere, ed è anzi auspicabile che ne assuma altri

ancora, dal momento che ogni questione in esso regolata costituirà una possibile fonte di controversia giuridica, politica ed economica in meno. La presenza di un Agreement e la sua completezza possono anzi essere considerate condizioni essenziali perché le future relazioni tra l'Unione ed il suo ormai ex Stato membro prendano avvio in modo pacifico e possano rivelarsi proficue e costruttive per entrambe le parti. La gestione del recesso di uno Stato membro è gestita dall'Unione Europea facendo in primis affidamento sui propri organi di natura intergovernativa: perni dell'iter ex art. 50 TUE sono il Consiglio Europeo, incaricato di dare ai negoziatori gli orientamenti che ne guideranno l'operato, ed il Consiglio, incaricato di concludere l'accordo in rappresentanza dell'intera Unione.

Il ruolo della Commissione Europea, che nel dettato dell'articolo 50 nemmeno viene citata, appare estremamente debole, essendo questo limitato all'invio di mere raccomandazioni al Consiglio nella fase di nomina, da parte di quest'ultimo, dei negoziatori.

Il gap democratico che affligge l'intera procedura di recesso risulta

parzialmente colmato dal controllo che, indirettamente, i parlamenti

nazionali esercitano sull'operato dei rappresentanti dei propri governi all'interno del Consiglio e del Consiglio Europeo e, in primis, dal Parlamento Europeo, il quale ha il potere di approvare o respingere la bozza di accordo stipulata prima del voto definitivo del Consiglio, detenendo un implicito potere di veto.

3.4 L'ipotesi del recesso unilaterale e la verifica di una sua