Sebbene la moneta unica goda tuttora di forte sostegno tra la popolazione ellenica, dichiarandosi il 59% dei cittadini convinto che la partecipazione all'UEM resti vantaggiosa per la Grecia176, in passato
più d'una volta i governi greci si sono trovati di fronte alla necessità di prendere seriamente in considerazione la possibilità che il Paese, messo alle strette da una situazione finanziaria disperata o da condizioni di soccorso finanziario ritenute socialmente insostenibili, dovesse dire addio all'Unione Economica e Monetaria.
Ciò è avvenuto in almeno due occasioni: la prima, all'apice della Crisi greca, si presentò nell'Autunno 2011, quando l'allora primo ministro George Papandreou annunciò di voler convocare un referendum affinché fosse il popolo a decidere se accettare le dure condizioni poste dalla Troika per il soccorso finanziario al Paese.
La decisione di sottoporre a referendum, il primo da quello sulla forma di governo del 1974, l'assistenza finanziaria al Paese, rendendo così incerto il salvataggio del Paese e quindi la sua permanenza nell'euro, provocò reazioni durissime tra i partner europei, le opposizioni nazionali e, infine, anche nello stesso PASOK, il partito di Papandreou. Reazioni tanto contrarie derivavano da varie circostanze: era in primo luogo dubbia la legittimità di un referendum avente ad oggetto misure di tipo fiscale votate dal Parlamento, visto che l'art. 44 della Costituzione Greca sembrava escluderla.
La disposizione in esame, infatti, dispone:
The President of the Republic shall by decree proclaim a referendum on crucial national matters following a resolution voted by an absolute majority of the total number of Members of Parliament, taken upon proposal of the Cabinet. A referendum on Bills passed by Parliament 176 Fonte: Flash Eurobarometer 405, European Commission, 2014.
regulating important social matters, with the exception of the fiscal
ones shall be proclaimed by decree by the President of the Republic, if
this is decided by three-fifths of the total number of its members, following a proposal of twofifths of the total number of its members, and as the Standing Orders and the law for the application of the present paragraph provide […]177.
Inoltre, sebbene il sostegno alla moneta unica fosse in quel tempo assai forte tra la popolazione, quest'ultima si era dimostrata in più di un sondaggio nettamente contraria alle dure condizioni imposte al Paese per l'assistenza finanziaria: il rischio di rifiuto era elevato. Tale fattore preoccupava fortemente gli altri Stati dell'Eurozona, dal momento che un fallimento greco avrebbe posto in serio dubbio la sopravvivenza dell'Eurozona e dei propri istituti di credito nazionali, fortemente esposti verso i titoli greci.
Il rischio di una reazione a catena sembrò concretarsi più che mai. Forti pressioni convinsero infine Papandreou a ritirare la decisione di tenere un referendum e accettare d'accordo con l'opposizione del partito Nuova Democrazia le condizioni proposte178.
Lo spettro del Grexit, considerato incombente in caso di rigetto popolare delle dure condizioni di soccorso imposte dall'Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, fu temporaneamente allontanato.
Il fantasma tornò però ad agitare i sonni dei Greci altre volte, ed in particolar modo durante l'Estate 2015, quando il governo guidato da Alexis Tsipras e dal partito Syriza decise nuovamente di convocare un referendum, portando stavolta a compimento la propria intenzione, nel corso delle trattative per il terzo Bailout Plan quando, in assenza di accordo, il default greco veniva ormai considerato imminente.
Questa volta il popolo greco ebbe la possibilità di esprimersi e di rigettare con un voto netto le proposte dei creditori per l'assistenza finanziaria al Paese.
Il sostegno popolare non bastò tuttavia al governo greco il quale, posto di fronte all'ardua scelta tra l'adozione delle misure d'austerità proposte o il default, con conseguente uscita dall'euro e disordine economico e sociale, capitolò proponendo sua sponte un pacchetto di misure del tutto simile a quello proposto dalla controparte, riuscendo così ad ottenere la tranche di prestiti necessaria a dare ossigeno alle finanze pubbliche elleniche.
Questi due episodi ci mostrano come finora, per ben due volte, il governo greco sia stato posto di fronte ad un bivio: accettazione delle condizioni imposte da Unione Europea e Fondo Monetario
177 The Constitution of Greece, Hellenic Parliament, 2009.
178 DONADIO e KITSANTONIS, Greek Leader Calls Off Referendum on Bailout Plan, in The New York Times, 3.11.2011.
Internazionale per l'erogazione di prestiti, oppure default.
Si tratta di una partita assai difficile per i rappresentanti di Atene, schiacciati tra i gravi errori dei propri predecessori, una popolazione esausta e frustrata da misure draconiane che hanno portato la disoccupazione al 24,8%179 ed interlocutori che hanno un peso politico
ed economico enormemente più grande.
L'asimmetria contrattuale, così come la rigidità dei creditori, sono evidenti.
Finora il governo ellenico, di fronte al bivio, ha scelto per due volte di allinearsi alle richieste dei creditori e accettare le durissime misure poste a condizione degli aiuti volti ad evitare il default.
Non è detto, però, che in futuro le cose debbano andare nello stesso modo: qualora in futuro dovessero rendersi necessari ulteriori salvataggi e, pertanto, nuove trattative, i governanti greci potrebbero non essere disposti ad accettare più un'austerità che, nell'opinione di molti economisti e rappresentanti della società civile, sta danneggiando l'economia del Paese più di quanto possa risanarla180.
Nell'ipotesi in cui Atene, stanca di veder patire la propria popolazione a causa dell'austerità, decida di irrigidirsi opponendo fino un fondo un netto rifiuto a richieste dei creditori percepite come sproporzionate, lo scenario di un Grexit volontario verrebbe a prender forma.
Le modalità di concretizzazione del Grexit volontario combaciano esattamente con lo scenario ricostruito nel 2012 da Roger Bootle nel suo “Leaving the Euro: a practical guide”, contributo vincitore del
Wolfson Economic Prize, che già abbiamo incontrato nel corso di
questa ricerca181.
Nel corso del primo capitolo, abbiamo preso atto di come le uniche vie che un Paese dell'Eurozona potrebbe legalmente percorrere per abbandonare quest'ultima siano quella dell'abbandono in toto dell'Unione ex art. 50 TUE o di una modifica dei trattati fondamentali ex art. 48 TUE la quale cancelli qualsiasi traccia della propria partecipazione all'UEM.
Le altre scorciatoie, su tutte quella della Convenzione di Vienna, rischiano di rivelarsi miraggi letali e di schiudere infinite controversie con gli altri Stati membri dalle conseguenze estremamente gravi. Qualora però il governo greco fosse determinato ad abbandonare l'Eurozona, ma non anche l'Unione Europea, la soluzione ex art. 50 TUE sarebbe esclusa a prescindere. Anche la proposta di utilizzare il
Withdrawal Agreement disciplinato dalla norma allo scopo di ottenere 179 Disoccupazione in Grecia e Spagna oltre il 20%. Quali i Paesi europei in
maggiore difficoltà, in Il Sole 24 Ore, 30.6.2015. Articolo disponibile al seguente indirizzo web: www.infodata.ilsole24ore.com/2015/06/30/disoccupazione-in- grecia-e-spagna-oltre-il-20-quali-i-paesi-europei-in-maggiore-difficolta/ 180 RAMPINI, La trappola dell'Austerity: perchè l'ideologia del rigore blocca la
ripresa, Laterza Editore, Roma, 2014, p. 26. 181 Vedi supra, Par. 1.9.
il recesso parziale (dalla sola UEM ma non dall'Unione) presterebbe il fianco alle critiche già espresse nel Capitolo I, implicando un'interpretazione della disposizione tanto estensiva da apparire distorsiva.
L'ipotetico tentativo della Grecia di ottenere una revisione dei trattati che, attraverso l'iter ex art. 48 TUE, le permetta di sciogliere le basi giuridiche che fondano la partecipazione del Paese all'euro verrebbe inevitabilmente a scontrarsi con l'opposizione di tutti i Paesi dell'Unione i cui istituti di credito si trovino fortemente esposti verso titoli greci, i quali farebbero verosimilmente mancare il proprio appoggio in sede di ratifica.
Le probabilità che un trattato modificativo dei testi giuridici fondamentali dell'Unione avente un contenuto tanto controverso raccolga le ratifiche di tutti e ventotto i Paesi membri dell'Unione sono assai scarse.
Qualora Atene decidesse di recedere unilateralmente dall'Eurozona invocando l'applicabilità della clausola Rebus sic stantibus l'insorgenza di laceranti controversie con i propri partner europei sarebbe assicurata poiché, come precedentemente affermato182, l'applicabilità dell'art. 62
della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati al caso in esame risulta altamente controversa.
In primo luogo, se è vero che la Corte di Giustizia era parsa aprire, decidendo sul caso A. Racke GmBH & Co., all'applicabilità anche nei confronti dell'Unione della clausola ex art. 62 VCLT, un'analisi più attenta del contesto di tale decisione aveva permesso di comprendere come la pronuncia della Corte intendesse riferirsi agli accordi internazionali “esterni”, stipulati tra Unione e Stati terzi, come tali pacificamente soggetti all'applicabilità in toto del Diritto Internazionale.
La stessa Corte di Giustizia, prendendo posizione nelle celebri decisioni sui casi Costa v. E.N.E.L. e Van Gend & Loos, aveva rivendicato l'autonomia dell'ordinamento dell'Unione nei confronti di quello internazionale e la non totale permeabilità al primo (strutturato su rapporti particolarmente complessi e qualificati, di tipo sovranazionale, tra gli Stati cooperanti) del Diritto derivante dal secondo.
La posizione del governo greco, invocante l'applicazione dell'art. 62 VCLT alla propria posizione, verrebbe inoltre a presentarsi come particolarmente fragile e contraddittoria sotto il profilo del par. 2, lett. b) di tale disposizione, dal momento che la prima causa del cambio di circostanze intervenuto a modificare la portata delle obbligazioni in capo alla Repubblica Ellenica risiede proprio nella violazione sistematica delle regole di coordinamento economico e stabilità finanziaria poste alla base della partecipazione al terzo stadio
dell'UEM da parte dei propri governanti.
L'operazione Grexit volontario sarebbe pertanto inevitabilmente destinata a scontrarsi con numerosi profili di illegittimità.
In caso di decisione di abbandonare l'Eurozona il governo greco seguirebbe verosimilmente un iter di uscita analogo a quello indicato da Bootle, adottando tutte le misure utili a limitare gli attriti con i propri partner e a ridurre i danni inevitabilmente derivanti da una tale scelta, sfide caratterizzate da un alto grado di difficoltà.
Seguendo la strategia indicata da Bootle, la decisione di abbandonare l'Eurozona dovrebbe pertanto esser presa da un gruppo ristretto all'interno dell'esecutivo ellenico, costituito dal primo ministro, dal ministro delle finanze, il governatore della banca centrale nazionale ed un ristretto insieme di key officials nel più assoluto riserbo: tanto il Parlamento ellenico, quanto le istituzioni europee e gli altri Stati membri dell'Unione dovrebbero essere tenuti all'oscuro della decisione, quantomeno in un primo momento, allo scopo di tenere calmi i mercati ed evitare fughe di capitali e disastrose bank runs.
Allo scopo di ridurre il rischio di fughe di notizie, la decisione dovrebbe essere adottata con non più di trenta giorni di anticipo rispetto alla data della sua attuazione.
Solo a road map delineata e poco più di una settimana dal giorno del recesso, le autorità nazionali informeranno ufficialmente, ma attraverso canali ancora confidenziali, le istituzioni dell'Unione e gli altri Stati membri della decisione presa.
Una manciata di giorni prima del giorno stabilito, da fissare possibilmente in un giorno festivo o in un fine settimana (per agevolare l'operazione questa dovrebbe avvenire possibilmente in un momento di chiusura dei mercati azionari) le autorità nazionali dovrebbero finalmente annunciare pubblicamente ai cittadini greci la decisione presa.
L'introduzione immediata di controlli temporanei alla circolazione di capitali si renderebbe altresì necessaria, per evitare che i cittadini in preda al panico prendano d'assalto gli sportelli, comportando il dissanguamento del sistema bancario nazionale attraverso prelievi di massa, oppure che ingenti quantitativi di capitali abbandonino il Paese. Per comprendere i danni che il fenomeno del bank run può arrecare al sistema bancario sarà sufficiente considerare come, durante lo stallo negoziale tra governo guidato da Alexis Tsipras e creditori della Grecia, nel solo weekend compreso tra Venerdì 19 e Domenica 21 Giugno 2015, i prelievi effettuati presso le banche greche ammontarono a circa due miliardi di euro183.
L'introduzione di controlli alla circolazione di capitali si scontra però col fermo divieto di limitazione della stessa contenuto nell'art. 63, par.
183 Grecia: FT, oggi almeno un miliardo prelevato da banche, in ANSA.it, 22.6.2015.
1 TFUE, il quale dispone:
1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi184.
La libertà di movimento dei capitali è una delle quattro libertà fondamentali sulle quali è costruito il Mercato Unico Europeo e, come tale, qualsiasi sua violazione è presa in considerazione molto seriamente dalla Commissione Europea.
Esistono tuttavia ipotesi nelle quali è lecito e possibile limitarla, ipotesi la cui disciplina è rinvenibile nell'art. 65, par. 1, lett. b) TFUE.
Tale disposizione introduce la possibilità di “adottare misure
giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”185.
Esiste un unico precedente storico di misura governativa limitante la libera circolazione di capitali all'interno dell'Unione riconosciuto come legittimo dalla Commissione Europea: quello della crisi cipriota del 2013. In quel caso infatti, la Commissione dovette prendere atto
“of temporary restrictions on the free movement of capital, including capital controls, imposed by the Republic of Cyprus as part of a series of measures to prevent the significant risk of uncontrollable outflow of deposits which would lead to the collapse of the credit institutions and to the immediate risk of complete destabilisation of the financial system of Cyprus186”.
La Commissione fu mossa a qualificare le misure come legittime proprio a causa di quest'ultima circostanza: il rischio immediato di destabilizzazione del sistema finanziario cipriota, la quale avrebbe indirettamente messo in pericolo la tenuta dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza nella piccola repubblica mediterranea.
Non vi è dubbio che, nell'ambito di una più ampia operazione di abbandono dell'euro da parte della Grecia, il tentativo di evitare una disastrosa emorragia di capitali da parte delle autorità locali attraverso l'introduzione di limitazioni alla libera circolazione di capitali potrebbe effettivamente integrare l'ipotesi derogatoria ex art. 65, par. 1, lett b) TFUE.
Ciò nonostante, la denuncia da parte della Commissione per violazione dell'art. 63 TFUE potrebbe essere resa più probabile dal fatto che questa verrebbe ad inserirsi nel quadro di un'operazione di abbandono dell'euro condotta completamente al di fuori dei canali legali, essendo
184 Art. 63, par. 1 TFUE.
185 Art. 65, par. 1, lett. b), TFUE.
186 Statement by the European Commission on the capital controls imposed by the Republic of Cyprus, European Commission Press Release, 28.3.2013.
come abbiamo visto pressoché impossibile garantirle una copertura giuridica credibile.
Molto dipenderà dal grado di conflittualità tra partner europei con cui si verificherà il Grexit in questione. Un'operazione “concordata” potrebbe indurre le istituzioni europee ad essere più comprensive, mentre un'operazione puramente unilaterale (quale quella suggerita da Bootle) rischierebbe di creare gravi conflittualità.
Infine, secondo il piano suggerito dal vincitore del Wolfson Economic
Prize 2012, nel giorno stabilito per l'abbandono dell'UEM la nuova
valuta dovrebbe essere introdotta con un cambio di 1:1 nei confronti dell'euro, permettendole in seguito di far fluttuare liberamente il proprio valore.
È stato sottolineato in dottrina come l'abbandono dell'euro e l'introduzione di una nuova valuta implicherebbero importanti interventi normativi, di natura potenzialmente anche costituzionale, all'interno dello Stato uscente.
A livello giuridico, per portare avanti tali riforme occorrerebbero sicuramente provvedimenti normativi aventi ad oggetto: un euro
termination act, relativo all'abbandono dell'euro quale valuta
nazionale; un atto di riassegnazione alla banca centrale del potere di emissione della moneta; un atto di adozione della nuova valuta (es.
Nuova Dracma) e, infine, un atto di fissazione del tasso di cambio di
quest'ultima.
Il fondamento della partecipazione greca all'Unione Europea si incontra nell'art. 28 della Costituzione ellenica, mentre la questione della valuta nazionale è disciplinata nell'art. 80, par. 2 della stessa, il quale afferma:
2. The minting or issuing of currency shall be regulated by law187.
L'introduzione della Nuova Dracma potrà pertanto avvenire attraverso l'approvazione di una legge ordinaria, non avente rango costituzionale. Nel caso di un Paese economicamente fragile, quale la Grecia o un altro Paese dell'Europa mediterranea, la valuta sarà con ogni probabilità destinata a svalutarsi rapidamente, perdendo gran parte del proprio valore in tempi rapidi.
Se da un lato la svalutazione potrebbe agevolare l'export ellenico, particolarmente rilevante soprattutto nel settore elaiotecnico, dall'altro la medesima porrebbe con urgenza la delicata questione della denominazione del debito che, a differenza di quanto sostenuto da Bootle, rischierebbe di trascinare il Paese in pericolose sabbie mobili,
187 Art. 80, par. 2, The Constitution of Greece, English Version, Greek Parliament, 2009.
come autorevolmente segnalato in dottrina188 e sostenuto in
precedenza189 nel corso della presente indagine.
Se la ridenominazione delle obbligazioni contratte tra connazionali greci in Nuove Dracme pare infatti pacifica, la denominazione delle obbligazioni implicanti la presenza di un elemento estero rimarrebbe con ogni probabilità in euro, data la sopravvivenza del precedente regime monetario.
I numerosi creditori del Paese eserciterebbero certamente una feroce resistenza di fronte ad una proposta di ridenominazione di tali obbligazioni in ND da parte di Atene.
In caso di mancata ridenominazione del debito contratto con elementi esteri, in seguito ad una forte e probabile svalutazione valutaria il peso delle obbligazioni contratte in euro diventerebbe schiacciante.
Bootle suggerisce poi ai governanti del Paese recedente di intraprendere tutte le azioni possibili per rassicurare i mercati circa la solidità finanziaria nazionale ed i partner europei sul fatto che almeno una parte del debito verrà ripagato, sulla base dell'assunto per cui la ridenominazione dello stesso in una Nuova Dracma svalutata abbia già comportato una forte riduzione de facto dello stesso.
Tali assunti appaiono piuttosto ingenui, avendo constatato quanto la ridenominazione del debito costituisca un processo colmo di insidie. Si pone poi un'altra questione spinosa: quella della produzione fisica delle monete da porre in circolazione.
Produrre un ammontare di monete e banconote sufficiente a far funzionare l'economia di un Paese europeo è operazione assai complessa e vistosa, richiedente molti mesi di tempo e difficilmente compatibile con la segretezza caratterizzante il piano di Leaving the
euro: a practical guide.
La produzione di nuova moneta dovrebbe pertanto essere disposta, con la massima priorità, solo nel momento di annuncio dell'abbandono dell'euro. Le autorità nazionali dovrebbero continuare a consentire la circolazione dell'euro in territorio greco per molti mesi, predisponendo in parallelo l'introduzione graduale della nuova moneta fisica.
Il piano suggerito dal contributo vincitore dal Wolfson Economic Prize
MMXII ricostruisce in modo sufficientemente verosimile i passi che un
governo costretto ad adottare la decisione di abbandonare l'euro sarebbe tentato di percorrere, in un contesto di Realpolitik, allo scopo di gestire la transizione in modo da limitare il più possibile i danni alla propria economia.
L'attuazione di tale piano confligge però al massimo grado con i cardini di un ordinamento democratico quale quello greco: l'idea che
188 MEYER, Legal Options of a Withdrawal from Euro and the Reassignment of Monetary Sovereignity, in European Business Law Review, Vol. 25(5), 2014, p.674
un ristretto gruppo di potere all'interno del governo di Atene possa ritenersi legittimato a prendere decisioni così gravi tenendo all'oscuro la popolazione e senza consultare la Βουλή των Ελλήνων, il Parlamento nazionale, appare assai discutibile, nonché suscettibile di provocare disordini.
Come è stato correttamente osservato in dottrina, “such a step would
amount to an economic coup d'État”190, destinato a influenzare il
futuro del Paese e dell'Unione Europea per generazioni.
Non sembra inoltre esistere, come abbiamo visto, una via per abbandonare la sola Eurozona compatibile con i trattati, al di fuori della revisione degli stessi ex art. 48 TUE; le altre vie indicate sono scorciatoie, ciascuna delle quali affetta da vizi di legittimità, le quali non possono che condurre a scenari di forte attrito con le istituzioni