Abbiamo finora ripercorso tappa per tappa la turbolenta storia delle relazioni tra il Regno Unito ed il progetto di integrazione europea, caratterizzata da frequenti colpi di scena e da un costante sentimento ambivalente nei confronti della costruzione europea: la ferma volontà di partecipare al Mercato Unico e alle opportunità commerciali offerte dall'Unione, da un lato, e la diffidenza verso qualsiasi evoluzione della stessa in senso sovranazionale, dall'altro.
Ci siamo poi concentrati sull'andamento delle relazioni anglo-europee negli ultimissimi anni: terminata l'era del blairismo, la scena politica inglese è stata dominata, seppur in uno scenario politico più frammentato che in passato, dalla fazione dei Tories guidati da David Cameron.
Numerosi fattori hanno giocato un ruolo incisivo nell'inasprimento delle relazioni tra Regno Unito ed Unione Europea: il rafforzamento della corrente euroscettica in seno al Partito Conservatore britannico, la quale per la prima volta vanta membri apertamente favorevoli al
Brexit all'interno del Cabinet di governo; l'exploit sul palcoscenico
della scena politica inglese del partito UKIP, fortemente allergico all'Unione Europea, promotore del Brexit e di tematiche di stampo nazionalista e xenofobe; il crescente spostamento del core dell'Unione Europea nell'area dei Paesi euro i quali, duramente colpiti dalla crisi, si sono trovati costretti ad approfondire ulteriormente il loro grado di integrazione, rendendo meno influenti nel decision making dell'Unione i Paesi esterni all'Eurozona.
Tali fattori hanno giocato un ruolo decisivo nel convincere il premier David Cameron a inasprire la propria posizione nei confronti dell'Unione Europea e a promettere, anche per placare le spinte euroscettiche a livello di politica interna, la convocazione entro la fine del 2017 del celebre referendum sulla membership del Regno Unito. Il premier britannico, ben conscio dei gravi danni che il recesso dall'Unione Europea potrebbe arrecare al proprio Paese, ha intrapreso nel frattempo un negoziato con i partner europei allo scopo di ridiscutere l'attuale assetto dell'Unione.
Senza scendere ulteriormente nel dettaglio, rimandando per considerazioni più approfondite circa la “scommessa di Cameron” al paragrafo precedente292, scopo del presente sarà intraprendere,
normativa alla mano, un esercizio di immaginazione volto a immaginare in che modalità potrebbe concretamente delinearsi il temuto Brexit.
Immaginiamo dunque che il negoziato tra Regno Unito e Unione Europea, iniziato formalmente con la lettera inviata il 10 Novembre
2015 da David Cameron al Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk293 e proseguito nel corso delle successive sedute del Consiglio
Europeo, abbia prodotto risultati giudicati deludenti dal governo e dall'opinione pubblica british.
La prima vittima di tale situazione, paradossalmente, andrebbe individuata in David Cameron: la scommessa che avrebbe dovuto liberarlo dalla morsa degli ultraconservatori interni al suo stesso partito, da un lato, e dalla minacciosa ascesa dell'UKIP, dall'altro, si sarebbe rivelata un'arma a doppio taglio. L'opinione pubblica perderebbe fiducia nella capacità del governo di mantenere le proprie promesse e percepirebbe ancor di più l'Unione Europea come un'entità indifferente alle preoccupazioni del Regno Unito.
I sondaggi, che fino ad oggi avevano nonostante tutto mostrato una certa cautela da parte dei cittadini britannici verso la concreta messa in atto del recesso dall'Unione, potrebbero cambiare segno.
Il referendum, la cui convocazione entro il 31 Dicembre 2017 è fissata
dallo European Union Referendum Act 2015, potrebbe
conseguentemente produrre un risultato di portata storica, sancendo la definitiva volontà del popolo inglese di recedere dall'Unione.
Ipotizziamo che il popolo britannico si esprima con un voto nettamente a favore del “Leave”: cosa accadrebbe?
Il referendum sulla permanenza del Regno Unito all'interno dell'Unione Europea è di tipo consultivo: pur caratterizzato da forte valore politico, il suo esito non sarebbe vincolante dal punto di vista giuridico. Nessuna obbligazione ancora pertanto il governo britannico all'orientamento espresso dal popolo attraverso il referendum.
Ciononostante, l'ipotesi che il governo decida di ignorare l'esito del referendum appare assai improbabile: un simile voltafaccia minerebbe dalle fondamenta la sua credibilità interna ed il suo potere negoziale in Europa, sottoponendo lo stesso partito di maggioranza a spinte centrifughe in grado di frantumarlo.
Se l'emendamento proposto dagli onorevoli Nuttall e Davies (entrambi eletti tra le file dei Tories), volto a proibire nello European Union
Referendum Act 2015 la convocazione futura di una seconda votazione
avente medesimo quesito, è andato incontro a bocciatura, l'organizzazione di un secondo referendum è stata comunque scongiurata nell'Autunno 2015 dallo stesso Cameron, il quale ha pubblicamente dichiarato:
“This choice cannot be undone, if we vote to leave then we will leave”294.
293 Vedi supra Nota 285, Op. Cit.
294 WITHNALL, David Cameron says there will be no second referendum as he sets out 'British model for EU membership', in The Indipendent, 10.11.2015.
L'impegno del governo a rispettare l'esito del voto, qualunque esso sia, appare dunque saldo.
Torniamo dunque al nostro scenario ed ipotizziamo che il referendum si sia già tenuto, restituendo un esito shock: una netta maggioranza di cittadini britannici si è espressa per l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea.
Di fronte a tale volontà popolare il primo ministro britannico, qualunque sia la propria posizione di fronte alla decisione espressa dai propri concittadini, si vedrà moralmente e politicamente (abbiamo visto che il referendum, avendo natura consultiva, non produce effetti vincolanti nei confronti del governo) costretto a dare seguito al voto, attivando la procedura di recesso dall'Unione disciplinata dall'articolo 50 TUE.
Il primo paragrafo di tale clausola, come sappiamo, dispone:
1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie
norme costituzionali, di recedere dall'Unione295.
La norma attribuisce agli Stati membri limpida facoltà di recedere dall'Unione, introducendo però una precisa condizione: la decisione di recedere dovrà essere adottata in modo conforme alle norme costituzionali interne dello Stato interessato.
La decisione delle autorità nazionali di procedere al recesso dall'Unione sarà pertanto presa da ciascuno Stato in modo differente, conformemente alla natura del proprio ordinamento interno ed al rango che nella gerarchia delle fonti detengono le norme che danno copertura alla sua partecipazione all'Unione.
Un esempio ci sarà d'aiuto: la partecipazione della Repubblica Italiana all'Unione Europea avviene sotto la “copertura” di norme costituzionali, in primis dell'articolo 117, 1°comma della Costituzione, il quale ha dato un più sicuro ancoraggio costituzionale alla membership italiana dell'Unione ed alla primazia dell'ordinamento comunitario, a lungo giustificata dal mero richiamo all'art. 11 della legge fondamentale.
L'articolo 117, 1° comma dispone infatti:
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali296.
Rebus sic stantibus, qualora l'Italia volesse attivare la procedura di
recesso dall'Unione ex art. 50 TUE non potrebbe esimersi dall'approvare una legge di rango costituzionale volta a dismettere le
295 Articolo 50, Paragrafo 1, Trattato sull'Unione Europea.
norme interne che riconoscono l'efficacia del Diritto dell'Unione nel nostro ordinamento e al tempo stesso fondano la partecipazione italiana all'Unione Europea.
Il caso del Regno Unito è però assai differente: tale Stato non dispone di una carta costituzionale rigida come quella italiana. La Costituzione del Regno Unito ha natura flessibile: è formata da un insieme di
statutes, decisioni giurisprudenziali e consuetudini aventi natura
costituzionale sedimentatisi nel corso della millenaria storia del Paese. La copertura giuridica della partecipazione del Regno Unito all'Unione Europea va cercata in una norma avente rango di legge: lo European
Communities Act 1972.
Tale atto legislativo permette, attraverso il primo paragrafo del suo articolo 2, il recepimento all'interno dell'ordinamento britannico dell'Acquis Comunitario contenuto nei trattati europei e nella normativa derivata. Dispone infatti l'articolo 2, Paragrafo 1 dello
European Communities Act 1972:
2.-(1) All such rights, powers, liabilities, obligations and restrictions from time to time created or arising by or under the Treaties, and all such remedies and procedures from time to time provided for by or
under the Treaties, as in accordance with the Treaties are without further enactment to be given legal effect or used in the United Kingdom shall be recognised and available in law, and be enforced,
allowed and followed accordingly [...]297
Altra norma di cruciale importanza, ai fini del nostro discorso, è costituita dal paragrafo 4 del suddetto articolo 2. Tale disposizione conferisce infatti al Diritto dell'Unione Europea avente effetto diretto la primazia sul Diritto britannico:
(4) The provision that may be made under subsection (2) above includes, subject to Schedule 2 to this Act, any such provision (of any such extent) as might be made by Act of Parliament, and any
enactment passed or to be passed, other than one contained in this
Part of this Act, shall be construed and have effect subject to the
foregoing provisions of this section298.
Non vi è dubbio, pertanto, che lo European Communities Act 1972 è l'ancora che impedisce al Regno Unito di prendere il largo ed abbandonare l'Europa, dando fondamento giuridico alla sua partecipazione al progetto comunitario ed all'efficacia del Diritto prodotto dall'Unione all'interno del suo ordinamento nazionale.
La decisione di recedere dall'Unione in conformità con le proprie
297 Articolo 2, Paragrafo 1, European Communities Act 1972. 298 Articolo 2, Paragrafo 4, European Communities Act 1972.
norme costituzionali (come richiesto dal primo paragrafo dell'articolo 50 TUE) andrebbe adottata, nel caso del Regno Unito, attraverso un
Act of Parliament abrogante lo European Communities Act 1972299.
A questo punto, il governo britannico non incontrerebbe più ostacoli nell'attivazione della procedura ex articolo 50 TUE: passo successivo sarebbe la notifica della decisione di recesso al Consiglio Europeo, secondo quanto prescritto dall'articolo 2 della clausola.
La notifica in questione avrebbe duplice effetto: da un lato darebbe il via ai negoziati tra l'Unione e lo Stato recedente, dall'altro innescherebbe il countdown biennale scaduto il quale (in assenza di proroga) i trattati europei cesserebbero in ogni caso di applicarsi allo Stato in questione.
Il paragrafo 2 dell'articolo 50 TUE dedica molta attenzione alle modalità di conduzione dei negoziati: stabilisce infatti che le trattative andranno condotte secondo la disciplina contenuta nell'articolo 218, par. 3 del TFUE.
In termini pratici ciò significa che, espressi in sede di Consiglio Europeo gli orientamenti generali del negoziato, la Commissione avrà il compito di stilare delle raccomandazioni rivolte al Consiglio, il quale adotterà la decisione autorizzante l'inizio dei negoziati designando altresì il negoziatore o la squadra di negoziatori destinati a rappresentare l'Unione Europea.
Nel corso dell'intera fase del negoziato il Regno Unito continuerebbe ad essere un membro a tutti gli effetti dell'Unione (salve le limitazioni nell'esercizio di alcuni diritti derivanti dall'art. 50, par. 4 TUE).
Appare tuttavia significativo che le trattative in questione vengano condotte da parte dell'Unione secondo la stessa disciplina regolante la conclusione di accordi a livello internazionale, id est con Stati terzi: l'art. 218, par. 3 è collocato infatti nel Titolo V – dedicato agli accordi internazionali – appartenente alla Parte quinta del Trattato sul funzionamento dell'Unione, rubricata “Azione Esterna dell'Unione”. Il negoziato sul recesso del Regno Unito verrà quindi portato avanti, a partire dalla decisione del Consiglio che ne autorizza l'inizio, da una delegazione rappresentante il governo di Londra, da un lato, e dalla squadra di negoziatori nominati dal Consiglio ex art. 218, par. 3 TFUE, dall'altro.
Le trattative avranno lo scopo di produrre un Withdrawal Agreement, un accordo disciplinante le numerosissime questioni sollevate dal recesso e delineante il quadro delle future relazioni tra l'Unione e lo Stato receduto, in questo caso il Regno Unito.
Come sottolineato più volte nel corso della nostra indagine, la missione dei negoziatori sarà estremamente complessa. Nell'accordo si dovrà dare risposta a problematiche giuridiche, politiche ed economiche
299 MILLER, Leaving the EU, in Research Paper 13/42, House of Commons Library, London, 2013, p. 9.
estremamente complesse, quali: la scelta del trattamento da riservare al Diritto dell'Unione trasposto nel corpus juris britannico e l'eventuale opportunità di una disciplina transitoria; il tentativo di mitigare gli effetti del recesso nelle numerose materie coperte da politiche comuni europee, quali l'Agricoltura, la Pesca, l'Ambiente, l'Occupazione; definire lo status dei cittadini europei residenti nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti nel territorio dell'Unione.
Queste domande, e molte altre ancora, dovranno trovare una risposta nel Withdrawal Agreement. Le parti saranno infatti ben consapevoli che ogni fallimento nella ricerca di un compromesso comporterà l'insorgenza di lacune giuridiche e controversie in grado di infliggere serissimi danni all'economia ed alla credibilità tanto del Regno Unito quanto dell'Unione Europea.
Altra questione sul tavolo dei negoziatori sarà la definizione del quadro delle relazioni future tra il Regno Unito e l'Unione300.
Durante la fase delle trattative, la Gran Bretagna continuerà ad avere status di membro a pieno diritto dell'Unione, fatte salve le limitazioni nell'esercizio dei propri diritti di voto in seno al Consiglio Europeo ed al Consiglio disciplinate dal paragrafo 4 dell'articolo 50 TUE.
Volendo tradurre in termini reali il dettato della norma, calandola nello scenario immaginato in questa sede, essa ci direbbe:
Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio Europeo e del Consiglio che rappresenta il Regno Unito non partecipa alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio Europeo e del Consiglio che lo riguardano301 [n.d.a.: i rappresentanti del governo inglese non
partecipano alla deliberazione degli orientamenti negoziali generali in sede di Consiglio Europeo, alla decisione del Consiglio volta a nominare i negoziatori e autorizzare le trattative né, tantomeno, a quella che conclude l'accordo in rappresentanza dell'Unione].
Il paragrafo 3 dell'articolo 50 TUE concede alle parti un termine biennale per la conclusione del Withdrawal Agreement. I quesiti cui quest'ultimo dovrebbe dar risposta sono però a tal punto numerosi e complessi da indurre un osservatore esterno a chiedersi se il tempo a disposizione delle parti sia sufficiente a permetter loro di raggiungere un compromesso esauriente.
Tale timore è solo parzialmente sfatato dalla possibilità, prevista nel paragrafo 3, di prorogare il termine per i negoziati ove il Consiglio Europeo, votando all'unanimità e in accordo con lo Stato interessato, adotti una decisione in tal senso. Basterà la contrarietà anche solo di uno tra gli Stati membri a bloccare la proroga dei negoziati.
Il recesso, concretizzato dalla cessazione dell'applicazione dei trattati
300 Vedi infra, Par. 4.4.
europei allo Stato membro, potrà prodursi in due circostanze.
In primo luogo, ove il Regno Unito ed i negoziatori dell'Unione abbiano raggiunto un compromesso prima della scadenza del termine biennale, si avrà una bozza di accordo: il Withdrawal Agreement così stilato entrerà in vigore una volta sottoscritto dal Regno Unito e dal Consiglio. Perché la votazione sia valida, quest'ultimo dovrà esprimersi a maggioranza qualificata302, previa approvazione del
Parlamento europeo.
Il criptico tenore testuale dei paragrafi 3 e 4 dell'art. 50 TUE fa sorgere a questo punto un dubbio: quale condotta dovranno tenere i membri del Parlamento Europeo eletti nei collegi britannici? Sebbene il paragrafo 4 imponga l'astensione nella votazione delle decisioni che li riguardano dei soli delegati britannici in sede di Consiglio e Consiglio Europeo, in dottrina vi è chi sostiene che, per coerenza, il medesimo trattamento debba applicarsi anche ai settantatré eurodeputati eletti nel Regno Unito303.
L'entrata in vigore del Withdrawal Agreement avrà l'effetto di far venir meno l'applicazione al Regno Unito, dei trattati europei.
Sebbene il Regno Unito goda già, attualmente, di un regime giuridico peculiare (si pensi ai quattro Opt-Out citati) è improbabile che in sede di negoziato i rappresentanti del governo di Londra decidano di optare per una brusca rottura con Bruxelles, e viceversa: è probabile che il
Withdrawal Agreement contenga una disciplina transitoria volta a
impedire incertezza giuridica e lacune normative, e che si tenti di tracciare le linee per una cooperazione futura, specie dal punto di vista economico-commerciale.
A prescindere da qualunque considerazione di natura ideale, il grado di integrazione economica e giuridica tra l'ordinamento di uno Stato membro e l'ordinamento comunitario è talmente avanzato da spingere fortemente le parti alla ricerca di un compromesso.
La seconda circostanza in grado di produrre la cessazione dell'applicazione dei trattati al Regno Unito è costituita invece dalla scadenza del termine biennale previsto per i negoziati, senza che il
Withdrawal Agreement abbia visto la luce.
La scadenza infruttuosa del termine biennale – decorrente dalla notificazione ex art. 50, par. 2 TUE – produce, in assenza di proroga, l'effetto di far cadere l'applicazione dei trattati europei allo Stato in questione, terminandone ex abrupto la membership.
L'ipotesi di un recesso unilaterale, conseguentemente al comportamento latu sensu “doloso” o “colposo” delle parti, ci restituisce uno scenario fortemente drammatico: l'ordinamento
302 La maggioranza qualificata in questione è quella disciplinata nell'articolo 238, paragrafo 3, lettera b) TFUE.
303 ŁAZOWSKI, Withdrawal from the European Union and Alternatives to Membership, in European Law Review, Vol. 37(5), 2012, p. 528.
britannico, pur geloso delle proprie prerogative, verrebbe a soffrire enormi lacune normative (non dimentichiamo che sono passati ben 43 anni dall'ingresso del Regno Unito nell'Europa unita), creando un'incertezza giuridica senza precedenti, mentre la cessata partecipazione della Gran Bretagna alle politiche comuni europee produrrebbe enormi danni economici.
Preoccupazioni analoghe304 possono incontrarsi persino in
documentazioni interne a Westminster, curate dalla House of
Commons allo scopo di fornire ai parlamentari britannici informazioni
utili ad adempiere consapevolmente ai propri doveri istituzionali. Il recesso in assenza di Withdrawal Agreement si conferma pertanto come un'ipotesi teoricamente possibile, ma tanto insidiosa da rendere l'idea di una sua percorribilità pratica scarsamente attraente per entrambe le parti coinvolte dall'iter ex art. 50 TUE.
La clausola di recesso trova la propria chiusura nel paragrafo 5, in forza del quale lo Stato che abbia completato con successo la procedura di recesso non potrà godere, qualora si sia pentito, di alcun canale preferenziale di ritorno nell'Unione.
L'addio all'Unione Europea non si configura necessariamente come un viaggio di sola andata: i trattati non precludono il ritorno allo Stato che, receduto, abbia successivamente deciso di ripristinare la propria membership. La ratio del paragrafo 5 sta però nell'avvertire l'eventuale Stato recedente che, qualora in futuro decida di tornare sui propri passi, non godrà di alcun trattamento di favore, dovendo ripetere ab initio la procedura di adesione all'Unione dettata dall'articolo 49 TUE.
Applicato allo scenario oggetto di esame, il paragrafo 5 funge da monito: avverte infatti il Regno Unito che gli ex Stati membri non godono di canali preferenziali e che, una volta receduto dall'Unione, questi non potranno farvi ritorno se non attraverso il ricorso alla procedura dettata dall'articolo 49 TUE.
Rimandando al prossimo paragrafo qualsiasi riflessione circa la posizione che, in caso di recesso, il Regno Unito potrebbe assumere nei confronti dell'Unione, ed al successivo una stima delle conseguenze che il Brexit potrebbe produrre, possiamo fin da ora anticipare qualche conclusione.
Come già esposto a livello teorico nel Capitolo III del presente lavoro, il recesso dall'Unione Europea è un fenomeno che, seppur disciplinato dai trattati, agisce rescindendo legami giuridici, economici, politici e
304 “It would not be possible to withdraw from, say, the Common Agricultural Policy overnight without causing enormous disruption for farmers. Transitional arrangements for an alternative regime to be put in place would have to form part of the withdrawal agreement. Similar projects would have to be dealt with in relation to projects, joint ventures etc, for example in the field of research, which are being funded by the EU as part of a long-term programme”. Tali
preoccupazioni si ritrovano espresse nel Research Paper 13/42 curato da Vaughne