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L'ipotesi del recesso unilaterale e la verifica di una sua percorribilità

Abbiamo ormai realizzato come l'articolo 50 TUE offra, per la prima volta, una via espressa agli Stati membri dell'Unione Europea i quali desiderino porre fine alla propria membership.

Abbiamo quindi riflettuto sulla struttura di questa clausola, evidenziando come una lettura della stessa conforme allo spirito dei trattati e, in particolare, al principio di leale cooperazione ex art. 4, paragrafo 3 TUE, giochi fortemente a favore di una soluzione mutualistica della questione, attraverso la cooperazione tra le parti volta alla conclusione di un Withdrawal Agreement in grado di dare una patina di ordine ad un evento di per sé fortemente traumatico. Ciononostante, la norma non prevede quest'ultimo come unico esito della procedura di uscita: l'articolo 50 TUE rende possibile un finale alternativo: il recesso unilaterale dall'organizzazione in mancanza di accordo.

La questione relativa all'esistenza e percorribilità pratica di tale finale alternativo ha suscitato un profondo dibattito dottrinale, delineatosi secondo due correnti principali: da un lato coloro i quali, facendo leva sui paragrafi 1 e 3 della clausola, sostengono che gli Stati membri sono titolari di un diritto di recesso unilaterale attivabile alla scadenza del termine biennale per le trattative ex art. 50 TUE234 (ove le parti del

negoziato non optino per una sua proroga); dall'altro lato coloro i quali, partendo da un'interpretazione della norma complessivamente intesa e più sensibile allo spirito dei trattati, affermano che gli Stati membri hanno sì diritto di decidere unilateralmente il recesso secondo i propri meccanismi costituzionali interni ma dovranno, in seguito, inserire le loro pretese nella procedura negoziale stabilita dall'articolo 50 TUE. Il diritto sul recesso, in questa seconda visione, si riduce ad un diritto sulla decisione di recedere, il cui esito viene però rimesso all'andamento delle trattative tra Stato recedente e Unione.

Il cuore della questione risiede nel paragrafo 3 della clausola, il quale dispone:

“I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prolungare tale termine”235.

234 Vedi supra Nota 221, Op. Cit., p. 152.

La rilevanza qualitativa e quantitativa dei contenuti che il Withdrawal

Agreement dovrebbe assumere pone però seri dubbi sull'adeguatezza

del termine che la disposizione assegna alle parti allo scopo di trovare un accordo: di fronte a nodi tanto complessi ed equilibri delicati, due anni di trattative saranno sufficienti a giungere ad un compromesso adeguato?

Qualunque sia la risposta che si intende dare a questa domanda, l'introduzione di un termine svolge in ogni caso un'importantissima funzione: impedendo che i negoziati possano prolungarsi illimitatamente, il termine biennale assegnato diminuisce fortemente il rischio che uno Stato membro possa abusare della clausola di recesso allo scopo di ottenere concessioni particolari dai suoi partner europei dietro la minaccia di abbandonare l'Unione.

Una semplice lettura della clausola ex articolo 50 TUE permetterà al lettore di prendere atto dell'esistenza nel Diritto dell'Unione della possibilità teorica che la procedura in esame si concluda non con un

Withdrawal Agreement, bensì con un nulla di fatto in grado di condurre

ugualmente all'abbandono dell'Unione da parte dello Stato membro. Tale fallimento negoziale potrà derivare tanto da un comportamento “doloso” dello Stato recedente o dell'Unione, restii a lasciare alcuno spazio a concessioni, quanto da un comportamento “colposo” delle parti, le quali si dimostrino non in grado di condurre un negoziato fruttuoso, facendo scadere invano il termine biennale, eventualmente facendo eccessivo affidamento sulla sua proroga.

La concessione di una proroga al termine negoziale è infatti un fattore estremamente aleatorio, sul quale il negoziatore esperto non farà eccessivo affidamento: il paragrafo 3 dell'articolo 50 TUE la condiziona infatti ad un accordo raggiunto tra Stato interessato e Consiglio europeo, avendo quest'ultimo deliberato all'unanimità. Basterà pertanto la contrarietà anche solo di uno tra i ventotto Stati membri a rendere tale proroga impossibile e provocare di conseguenza l'uscita improvvisa dello Stato interessato, a trattative ancora lontane dal concludersi ed in assenza di una cornice giuridica minima, idonea a evitare disordini.

Se pertanto quello del recesso unilaterale sembra essere, almeno secondo parte della dottrina ed un'interpretazione letterale, uno scenario teoricamente possibile, numerose considerazioni di tipo pratico rendono fortemente preferibile la stipulazione di un

Withdrawal Agreement, volto a regolare le svariate questioni

economiche, politiche, giuridiche e commerciali scatenate dal recesso e fornire una base giuridica alla successiva fase di transizione.

Vi è concordia in dottrina nel denunciare i limiti del recesso unilaterale e auspicare, nell'applicazione dell'art. 50 TUE, il ricorso da parte delle parti ad una sincera cooperazione e, in sostanza, la conclusione di un

Sostiene al riguardo Lazowski:

Taking into account the existing levels of legal and economic integration (not to mention interdipendence), it would be in the interests of both sides to provide an adequate legal basis for withdrawal and future relations. […] At stake would be the rights of citizens ans companies benefiting from the internal market, the ex- Member State included. Bearing this in mind, it is hard to imagine a departing Country proceeding with a “no looking back” walkout236.

Anche Athanassiou, pur dando per pacifica ex art. 50 TUE la configurabilità del recesso unilaterale ad opera di uno Stato membro, sembra ritenere il recesso negoziato di gran lunga più percorribile, e di certo più in linea con lo spirito dei trattati:

Negotiated withdrawal from the EU would not be legally impossible even prior to the ratification of the Lisbon Treaty, and […] a unilateral withdrawal would undoubtedly be legally controversial; […] while permissible, a recently enacted exit clause is, prima facie, not in harmony with the rationale of the European unification project and is otherwise problematic, mainly from a legal perspective237.

Anche Hofmeister si colloca nella stessa linea di pensiero, non nascondendo il proprio scetticismo verso la sostenibilità di un recesso unilaterale in assenza di Withdrawal Agreement:

Moreover, withdrawal should be made contingent upon the successful conclusion of a detailled withdrawal agreement. This would guarantee an orderly process of withdrawal […] avoiding the risk that parties may find themselves in a legal vacuum238.

Sembra pacifico pertanto che un recesso puramente unilaterale, privo di accordi e animato da un approccio “no look behind” porterebbe allo Stato recedente problematiche più gravi di quelle che possano verosimilmente aver motivato la stessa decisione di abbandonare l'Unione, come scopriremo a breve239.

236 ŁAZOWSKI, Withdrawal from the EU and alternatives to membership, in European Law Review, Vol. 37(5), 2012, pag. 527.

237 ATHANASSIOU, Withdrawal and Expulsion from the EU and EMU, in Legal Working Paper Series No. 10, European Central Bank, 2009, p. 4.

238 HOFMEISTER, 'Should I stay or should I go?' - A Critical Analysis of the Right to Withdraw from the EU, in European Law Journal, Vol.16 (5), September 2010, p. 600.