2. IL POTERE DI RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO.
2.5. IL FONDAMENTO E LA DISCIPLINA DELLA RIQUALIFICAZIONE
2.5.4. ALTRI CONTESTI GIURISDIZIONAL
Benché il problema della riqualificazione giuridica venga normalmente affrontato con esclusivo riferimento alle principali scansioni processuali290 - giudizio di primo grado, di appello e di Cassazione - il potere del giudice di attribuire al fatto un diverso nomen iuris può manifestarsi anche in altri contesti giurisdizionali, originando controversie teoriche e difficoltà pratiche, a volte non minori di quelle che si sono affrontate nelle pagine precedenti. Si tratta, è intuitivo, di ipotesi tra di loro affatto diverse e che, infatti, diverse questioni pongono; tutte, però, sono, accomunate dall’assenza di indici normativi espliciti che attribuiscano o regolino il potere di riqualificazione. Se, però, il problema del fondamento giuridico di suddetta potestà, salvo talune eccezioni che si vedranno, può considerarsi risolto, nel senso che il potere di riqualificazione sarebbe consustanziale alla giurisdizione, 291 il nodo della disciplina delle modifiche del nomen iuris in tali “altri” contesti procedimentali non può essere sciolto con formule trancianti e va, piuttosto,
288 Non a caso tale soluzione viene invocata dagli autori più “garantisti”. V., infra, cap. 3. 289 QUATTROCOLO, op. cit., p. 271.
290 Costituisce, in questo senso, una lodevole eccezione il citato studio di QUATTROCOLO che, invece, dedica agli altri contesti giurisdizionali le pp.150 e ss del proprio testo.
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scandagliato, ermeneuticamente, tenendo presenti le peculiarità di ciascun ambito in cui la suddetta modifica avvenga.
Per continuità espositiva col precedente sottoparagrafo, si inizia dal giudizio di rinvio.
a) GIUDIZIO DI RINVIO
Qui pare necessario distinguere a seconda che il giudizio di rinvio sia stato disposto proprio per verificare la solidità del riscontro probatorio del fatto alla luce del nuovo nomen iuris individuato dalla Cassazione, oppure per qualsiasi altra ragione. Nel primo caso, sembrerebbe logico ritenere che il giudice del rinvio sia vincolato alla qualifica normativa stabilita dalla suprema Corte, se non altro per effetto del disposto dell’art.627, III, c.p.p. in forza del quale <<il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa>> e, sicuramente, il titolo del reato è una, anzi è la, questione decisa dalla sentenza di annullamento. A tale ricostruzione si potrebbe opporre che così si svilirebbero gli spazi del contraddittorio riconosciuti alle parti e per assicurare i quali, anzi, si sarebbe scelto di ripudiare la meno garantita via della rettificazione: che senso avrebbe disporre un nuovo giudizio avente ad oggetto la questione del
nomen iuris se essa non potesse più essere discussa? A tale obiezione è, però,
agevole controreplicare. A ben vedere, il giudizio di rinvio non avrebbe ad oggetto la questione della riconducibilità del fatto al nomen iuris individuato dalla Corte regolatrice ma piuttosto, presupposta ed ormai immodificabile la qualifica attribuita dalla Cassazione, la congruità del quadro probatorio alla luce di quella, e non di altre, qualifiche. Capovolgendo i termini del consueto dibattito in materia di diritti di difesa e potere di riqualificazione officiosa, qui il contraddittorio sarebbe solo probatorio e non dialettico. Con la conseguenza che, se tale verifica, anche dopo la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, di cui supra, desse esito negativo, non apparendo il “nuovo reato” come provato al di là di ogni ragionevole dubbio, l’imputato andrebbe assolto con sentenza, ovviamente, a sua volta ricorribile per Cassazione. E la stessa cosa dovrebbe dirsi se, all’esito della nuova eventuale istruzione, il fatto si appalesasse come diverso; infatti, secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente maggioritarie, nel giudizio di rinvio i meccanismi modificativi
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ed integrativi dell’imputazione di cui agli artt.516 e ss. c.p.p. sarebbero inapplicabili.292
Se, invece, il giudizio di rinvio fosse disposto in accoglimento del ricorso dell’imputato non vertente sul tema della qualificazione e nella sentenza non si facesse menzione alcuna della questione, 293 occorrerebbe ulteriormente distinguere. Qualora il punto annullato della sentenza impugnata avesse connessione essenziale con quello della qualificazione giuridica, il giudice del rinvio potrebbe, effettivamente, considerare anche l’aspetto del nomen iuris e, se lo ritenesse opportuno, mutarlo; se, invece, il punto relativo all’individuazione del titolo di reato non avesse neppure indiretta attinenza al punto annullato (ad esempio, rinvio al giudice di merito solo per la rideterminazione della pena), la potestà di riqualificazione dovrebbe ritenersi preclusa al giudice del rinvio, in quanto il punto della sentenza impugnata, non cassato, sarebbe passato in giudicato, o, quantomeno, sarebbe insuscettibile di riconsiderazione.294 Varrebbe insomma, mutatis mutandis, lo stesso principio per cui il giudice del rinvio non potrebbe dichiarare la prescrizione del reato che sia intervenuta dopo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento con rinvio, se tale pronuncia avesse lasciato impregiudicata la questione della penale responsabilità dell’imputato per quel fatto.
b) UDIENZA PRELIMINARE
L’attività di riqualificazione in udienza preliminare non dovrebbe presentare particolari problematiche rispetto al quadro descritto nel giudizio di primo grado. Infatti, nonostante l’assenza di una previsione analoga a quella di cui all’art. 521 c.p.p., la giurisprudenza ritiene esercitabile tale potere anche senza un’espressa norma attributiva, come, del resto, si è più volte visto. Piuttosto, la
292 In questo senso, QUATTROCOLO, op. cit., p. 268
293 Se vi si facesse, opererebbe il meccanismo di cui all’art. 627, III, c.p.p. e la soluzione sarebbe quella, del vincolo, per il giudice del rinvio, al nomen iuris individuato dalla Cassazione.
294 Sull’annullamento parziale del capo di sentenza, v., per ampie considerazioni, CAPRIOLI,
op. cit., p. 58 e ss. Il problema sta nell’esatto significato da attribuire al termine “parti”
nell’art. 624, I, c.p.p. La norma prevede infatti che, <<se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con quella annullata”. Orbene, per “parti” vanno intesi solo i capi o anche i punti? <<L’opinione più volte ribadita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è che siano parti […] tanto i capi quanto i punti della sentenza e che in relazione ad entrambi i suddetti nuclei decisionale si formi il giudicato>>. Così, CAPRIOLI,
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problematica del fondamento del potere di riqualificazione giuridica merita di essere brevemente ripresa, in chiave lato sensu storica, perché l’orientamento sopra citato si deve, principalmente, ad una pronuncia della Cassazione che si è basata proprio sulla fisionomia dell’udienza preliminare, pur dovendo risolvere una questione concernente il procedimento incidentale de libertate.295 Il riferimento è, naturalmente, alla già citata296 sentenza S.U. 22/10/1996 n.16, Di Francesco. Effettivamente, prima di tale arresto giurisprudenziale, non era mancata qualche pronuncia delle sezioni semplici297 che in assenza di una previsione normativa esplicita analoga al 521, I, c.p.p., aveva negato al giudice il potere di riqualificare il fatto; ed anche in dottrina, all’orientamento maggioritario, incline invece a riconoscere questa prerogativa, si era contrapposta qualche voce critica. 298 Le Sezioni Unite, richiamando espressamente la dottrina prevalente, rigettavano, tuttavia, fermamente tale tesi e, oltre a quanto a suo tempo ricordato, affermavano che se <<dare una diversa riqualificazione giuridica del fatto vuol dire, in ultima analisi, applicare esattamente la legge, vuol dire jus dicere, non può non riconoscersi, come ritengono numerosi voci della dottrina, che nella udienza preliminare debba farsi luogo all’interpretazione analogica della norma dell’art.521 c.p.p. in quanto tale norma esprime un valore che non può non essere di portata generale>>. Come si nota in letteratura, <<l’apparato argomentativo predisposto in quell’occasione dalla composizione plenaria del Supremo Collegio, pare aver efficacemente orientato le sezioni semplici nell’affrontare le successive questioni legate alla riqualificazione del fatto nell’udienza preliminare, perché non costano esempi di pronunce contrarie>>.299
c) PROCEDIMENTO DE LIBERTATE
295 Su cui, infra, lett. c) di questo sottopar. 296 V., supra, all’inizio di questo par.
297 Il riferimento è, principalmente, a CASS. PEN. SEZ. VI. 2826/1993
298 Emblematicamente, HINNA DANESI, Rapporti tra il pubblico ministero ed il giudice per
le indagini preliminari, in Quaderni del CSM 1989, II, p. 276, per il quale <<al Giudice per
l’udienza preliminare non è consentito, nel momento in cui emette il decreto che dispone il giudizio di mutare la qualificazione giuridica del fatto>>. Per altro anche tale A. riconosceva che <<analogo divieto non sussiste, qualora dalla diversa qualificazione giuridica scaturisca la sua incompetenza>>. Nello stesso senso MANZIONE, sub art. 425 c.p.p., in AA.VV,
Commento al nuovo codice di procedura penale, diretto da Chiavario, IV, Utet, Torino,
1990, p. 656
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Quanto appena detto per l’udienza preliminare vale, a fortiori, per il procedimento de libertate; d’altronde, l’analizzata sentenza è stata resa – lo si è ricordato - proprio in sede di incidente cautelare. Eppur tuttavia, talune peculiarità di tale scansione procedimentale rendono necessarie, innanzitutto, due ulteriori considerazioni. Da un lato, l’individuazione del nomen iuris che dovesse essere fatta al termine di tale procedimento, eventualmente anche dalla Corte di Legittimità, non sarebbe idonea a vincolare, ed a rigore nemmeno ad influenzare, il giudice del merito, visto che sia l’oggetto del giudizio cautelare sia il materiale conoscitivo su cui il giudice della cautela delibera, sono diversi da quelli rilevanti nel processo principale;300 dall’altro, lo stesso giudice della cautela, di norma il giudice per le indagini preliminari, non è solitamente influenzato dalla cristallizzazione dell’accusa in un atto imputativo ma fa i conti con un addebito ancora fluido e tendenzialmente perfettibile. 301 Ciò detto, vanno distinti due diversi momenti in cui, astrattamente, la riqualificazione nella fase cautelare è possibile: quando il giudice per le indagini preliminari deve decidere sulla domanda di applicazione di misura cautelare proveniente dal pubblico ministero; quando il cd. tribunale della libertà sia chiamato a statuire sull’impugnazione presentata avverso il provvedimento del giudice che abbia applicato o meno la misura. In relazione al primo momento, il giudice, che deve deliberare in merito alla concessione della misura cautelare richiesta, <<nel verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dovrà spingersi fino a controllare la corrispondenza tra i fatti allegati dal pubblico ministero ed una fattispecie che consente l’applicazione di una misura restrittiva>>.302 Tuttavia, onde non consentire facili aggiramenti del principio della domanda cautelare, uno dei cui precipitati è il divieto per il giudice di applicare una misura più grave di
300 In questo senso appare non condivisibile la posizione assunta da CASS. PEN. SEZ. I 9091/2010 che ritiene rispettato il diritto dell’imputato ad interloquire sulla qualificazione giuridica del fatto, in ossequio ai principi statuiti dalla Corte EDU nel caso Drassich, poiché nel procedimento de libertate era stata prospettata la possibilità di sussumere il fatto entro la fattispecie che poi venne, effettivamente, ritenuta più congrua dal giudice del merito. Cautela e merito, sono, però, contesti così diversi che la garanzia della previa informazione e del contraddittorio dovrebbe essere garantita nel processo, a nulla rilevando gli spazi di interlocuzione apertisi in altri contesti. In questo senso, amplius, SCULCO, op. cit.,p. 641-
642.
301 Ciò non toglie, v. cap. 1, che anche, se non soprattutto, durante le indagini preliminari i diritti di difesa della persona sottoposta all’indagine vadano tutelati e che dunque egli debba essere informato degli eventuali mutamenti dell’accusa per cui si proceda.
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quella indicata dall’organo di accusa,303 non sembra che il meccanismo della riqualificazione possa essere usato per derogare al suddetto divieto. Detto altrimenti, se il pubblico ministero ha basato la propria richiesta sulla contestazione di un reato punito con una pena che non consente l’applicazione di una data misura, il giudice non potrebbe, ricondotto il fatto ad un illecito più gravemente sanzionato e per il quale dunque quella misura sarebbe teoricamente possibile, applicare la cautela suddetta. Per il resto, vista anche la genericità della terminologia usata dall’art. 291, I, c.p.p., che parla di “elementi su cui la richiesta si fonda” senza ulteriori specificazioni, il giudice procedente od il giudice per le indagini preliminari non dovrebbero soggiacere a vincoli di sorta nella <<indicazione delle norme di legge che si assumono violate>>.304Lievemente più complicata è, invece, la seconda ipotesi. Infatti, se è vero che <<l’ ampio effetto devolutivo che caratterizza i rimedi de
libertate305 non potrà che riportare l’attenzione del tribunale della libertà sulla
corretta sussunzione sotto fattispecie astratta>>, 306 è anche vero che <<l’intervento giurisdizionale di riqualificazione p[uò] determinare in capo al destinatario della misura effetti negativi non contemplati dallo schema cautelare, regolato tanto in sede genetica quanto in sede impugnativa, dal principio della domanda cautelare>>. 307 Il problema è particolarmente presente nel riesame in cui opera pacificamente il divieto di reformatio in
peius.308 In tale sede, pertanto, se non può escludersi che il potere di
qualificazione possa estrinsecarsi anche in senso peggiorativo, si deve ammettere che la qualifica più grave <<rimanga confinata nella sfera argomentativa del provvedimento senza poterne investire l’ambito dispositivo>>.309 Pur di un certo qual sapore compromissorio, tale soluzione sembra poter adeguatamente contemperare il potere di riqualificazione, e le istanze di legalità formale che esso sottende, ed i connotati garantistici del divieto di riforma peggiorativa giacché nel nostro ordinamento <<il divieto di
303 In questo senso, su tutti, GREVI, Misure Cautelari, in “Compendio di procedura penale”,
op. cit. p. 427.
304 Art. 292, II, lett. b)
305 Come ricorda, QUATTROCOLO, op. cit., p. 167, ciò non vale solo per il riesame, costruito come gravame puro, ma anche per l’appello cautelare, <<nel quale il thema decidendum è sì delimitato dall’iniziativa di parte, senza però vincoli derivanti dalle alternative proposte dall’appellante nei motivi formulati>>.
306 QUATTROCOLO, ibidem 307 QUATTROCOLO, ibidem
308 Cfr. GREVI, Misure Cautelari, op. cit. p. 473 309 QUATTROCOLO, op. cit., p. 168
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riforma in peggio si concentra sulle conseguenze immediate della decisione, ossia sul dispositivo, senza incidere sul compendio motivazionale, dal quale possono discendere effetti lato sensu peggiorativi>>.310
d) PROCEDIMENTI SPECIALI
Un cenno conclusivo merita, infine, l’ analisi del potere di riqualificazione nei procedimenti speciali. In tali contesti, infatti, codesta prerogativa, <<può assumere significati e conseguenze particolari, sia a causa delle preclusioni ai poteri di impugnazione frequentemente previste dal legislatore con riguardo ai riti alternativi, sia in virtù della potestà di controllo che il giudice spesso vanta sulla verifica dei presupposti per l’introduzione del giudizio speciale>>.311 Ciò premesso, va subito segnalato che i problemi maggiori sono posti da quei riti alternativi che prevedono la caducazione della fase dibattimentale, in quanto per i procedimenti speciali che, viceversa, saltano l’udienza preliminare per passare direttamente al dibattimento trova piana applicazione l’art. 521 c.p.p.
E’ questo il caso del rito immediato e del giudizio direttissimo, per i quali, tuttavia, vanno fatte alcune ulteriori considerazioni.
Ai sensi dell’art. 453, I, c.p.p. condizione di ammissibilità del giudizio immediato è l’evidenza della prova, nella valutazione della quale nulla vieta al giudice per le indagini preliminari di procedere alla riqualificazione giuridica del fatto.312 In tal caso, però, il giudice dovrà verificare che cotanta evidenza probatoria concerna anche gli elementi del fatto che hanno assunto rilevanza
alla luce della nuova fattispecie e che prima, cioè quando il pubblico
ministero ha avanzato la richiesta con riferimento alla precedente qualifica normativa, erano giuridicamente irrilevanti. Se tale vaglio da esito positivo, il giudizio può essere senz’altro disposto, a meno che la nuova fattispecie non rientri nel novero di quei reati per i quali, ai sensi dell’art. 550 c.p.p. deve procedersi mediante citazione diretta a giudizio, nel qual caso, dovrà essere disposta restituzione degli atti al pubblico ministero perché questi eserciti l’azione penale nelle forme previste dal summenzionato art.550 c.p.p.
Per quanto attiene al rito direttissimo, presupposto fondamentale perché possa procedersi in tal senso è, ai sensi dell’art. 449, III, c.p.p., che l’arresto in
310 QUATTROCOLO, op. cit., p. 169 311 QUATTROCOLO, op. cit., p. 172-173 312 Cfr. QUATTROCOLO, op. cit., p. 174
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flagranza di reato sia stato convalidato durante l’apposita udienza. Orbene, tale convalida può non avere luogo anche nel caso in cui il giudice ritenga che il fatto non rientri in una di quelle fattispecie menzionate dagli artt. 380 e 381 c.p.p., che consentono, appunto, di procedere all’arresto in flagranza. In questo caso, la misura precautelare non sarà convalidata ed il rito alternativo sarà inibito, a meno che l’imputato non presti il propri consenso alla celebrazione del direttissimo. Ancora, qualora il giudice ritenga il fatto da qualificarsi come reato per cui l’arresto in flagranza è previsto solo come facoltativo ai sensi dell’art. 381 c.p.p., si dovrà verificare <<anche il rispetto dei criteri dettati dal legislatore per l’esercizio discrezionale del potere coercitivo, con possibile conclusione negativa sul punto>>.313
Passando ad esaminare i riti alternativi che, a vario titolo, non prevedono la celebrazione del dibattimento, il primo punto di riferimento è il giudizio abbreviato. Qui, pur non essendovi una norma che ricalchi espressamente l’art. 521 c.p.p., esiste un indice testuale che consente, con sicurezza, di ritenere pienamente operativo il potere di riqualificazione: è l’art. 443, III. La norma prevede, infatti, che il pubblico ministero non possa appellare le sentenze di condanna a meno che non si tratti di sentenze modificative del titolo del reato. Per altro, anche in grado d’appello, il giudice potrà procedere a modificazione del nomen iuris sulla scorta delle previsioni di cui all’art. 597, III c.p.p.
Fisionomia del tutto peculiare assume invece il tema della qualificazione giuridica del fatto nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, nell’alveo, per altro, della rilevante eccentricità di questo rito alternativo. Qui, infatti, espressamente, l’art. 444, II, c.p.p. subordina la possibilità di emettere sentenza di cd. patteggiamento ad un previo vaglio sulla correttezza della qualificazione giuridica del fatto. E tuttavia, pur essendo tenuto al controllo sul punto, il giudice <<non vanta il potere di intervento diretto normalmente esercitato in sede di deliberazione nel giudizio ordinario>>.314 Detto altrimenti, o il giudice ritiene corretta la qualificazione e, se non vi ostano le altre ragioni previste dall’art. 444 c.p.p., applica la pena, o, la reputa errata, e respinge il negozio processuale. Tertium non datur. Il
giudice non può riqualificare il fatto. Pur dopo alcune incertezze
giurisprudenziali,315 si è ritenuto che sia di pertinenza anche della Corte di Cassazione, << il vaglio di legittimità sul nomen iuris inserito dalle parti
313 QUATTROCOLO, op. cit., p. 178 314 QUATTROCOLO, op. cit., p. 187
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nell’accordo delibato dal giudice con la sentenza applicativa della pena stabilita richiesta>>.316 Con sent. Cass. Sez. Un. 5/2000, la Suprema Corte ha, infatti, riconosciuto <<l’ inderogabilità della funzione giurisdizionale di controllo sulla corretta sussunzione del fatto, essendo tale tema, in definitiva, sottratto alla libera negoziazione delle parti>>.
Soluzione non dissimile si ritiene, infine, essere operativa per il procedimento per decreto penale di condanna. Davanti alla richiesta del pubblico ministero, il giudice pare posto dinnanzi ad una secca alternativa: accoglierla, se ne condivide tutti gli elementi, compresa la qualificazione giuridica del fatto; rigettarla e restituire gli atti al pubblico ministero, qualora non aderisca a taluno di essi. Da ciò deriverebbe una radicale inibizione del potere di mutamento del nomen iuris. Sul punto la giurisprudenza pare così granitica da escludere addirittura che il giudice possa addivenire alla riqualificazione al fine di pronunciare declaratoria di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p., norma pure espressamente richiamata dall’art. 459 c.p.p. Il rito monitorio pare, dunque, quello in cui maggiore sia la compressione del canone iura novit
curia. 317
316 QUATTROCOLO, ibidem
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3. LA RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO: INCERTEZZE E