3. LA RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO: INCERTEZZE E PROSPETTIVE DOPO IL CASO DRASSICH
3.2. CONTRADDITTORIO E IURA NOVIT CURIA: UN CONTRASTO DAVVERO INSANABILE?
Occorre preliminarmente chiedersi se il tema della qualificazione giuridica del fatto possa, ontologicamente, essere oggetto di contraddittorio. E’ di tutta evidenza, infatti, che se a questa domanda si fosse costretti a dare risposta
20 QUATTROCOLO, op. cit., p. 134
21 In questo senso, v., ex plurimis, PARLATO, op. cit., p.5 22 V. cap. 2
23 Si consenta di mettere adeguatamente in luce l’importanza di questo inciso; in effetti, anche nella ultra rigorista impostazione seguita dalla “dottrina Lucchini” ad inizio ‘900 (v. cap. 2), l’unica forma di riqualificazione che si consentiva senza particolari problemi era quella cd. in melius.. Secondo quanto si è visto, invece, non pare né utile né corretto diversificare il tenore delle garanzie in relazione alla maggiore gravità/tenuità della fattispecie ritenuta in sentenza. Anzi, a dirla tutta, pare che la stessa summa divisio riqualificazione in peius - riqualificazione in melius, sia non solo superflua ma edificata su basi malferme; invero, per affermare che una fattispecie è più grave di un’altra, si è accennato doversi guardare a quale delle due è più gravemente punita; ma non vi è accordo nel ritenere che, in questa valutazione, rilevi solo la pena base o piuttosto il trattamento sanzionatorio complessivamente inteso. E davvero poi potrebbero ignorarsi le previsioni, tanto importanti in concreto, della legge di Ordinamento Penitenziario o di altre norme speciali?
160
negativa, qualsivoglia ulteriore considerazione in materia di modifica officiosa del nomen iuris e garanzie dell’accusato diverrebbe un inane esercizio retorico e, in effetti, ci si dovrebbe rassegnare a ritenere che l’imputato, così come non può preventivamente sapere se verrà assolto o condannato, non potrebbe neppure sapere per quale reato rischia di essere condannato. D’altronde, in questa prospettiva, non manca chi è arrivato a dire che finanche l’idea <<di un contraddittorio avente ad oggetto il nomen iuris avrebbe un valore “sovversivo” della regola della soggezione del giudice soltanto alla legge>>.24 Gli elementi per stabilire se quella proposta sia davvero una tesi “sovversiva”, o ad essere eversivo non sia piuttosto il protrarsi di una situazione di chiara inconciliabilità con i diritti umani, accertata dalla Corte EDU, 25 sono invero stati individuati nei capitoli precedenti; per cui si tratta solo, adesso, di trarne le dovute conseguenze. Così, riassumendo quanto si è più ampiamente visto, l’idea tradizionale è che il giudice, perfetto conoscitore del diritto applicabile al caso concreto, possa, ed anzi debba, correggere l’erronea impostazione in diritto della domanda penale secondo il canone latino iura novit curia, principio a cui, del resto, si rifarebbero, più o meno direttamente, l’art. 101 Cost., l’art. 521, I, c.p.p. e l’art. 65 l. Ord. Giud.26 In questo contesto, non solo il contraddittorio sul
nomen iuris non sarebbe necessario ma non avrebbe, a monte, neppure senso,
essendo la quaestio iuris aliena all’orizzonte conoscitivo delle parti.27 Orbene, si è cercato di dimostrare come questa visione sia, quantomeno, semplicistica.28 Il brocardo iura novit curia pare avere una genesi, una storia,
24 VELE, Diversa qualificazione giuridica del fatto e violazione del principio del
contraddittorio, in “ Giur. It.”, 2010, p. 683. Trattasi comunque di posizione assolutamente
minoritaria; v. CAPONE, op. cit., p.5
25 V., supra, par. 1.2. 26 V., supra, ampilus, cap. 2
27 Esprimerebbe tale idea il brocardo latino da mihi factum, tibi dabo ius. <<Da mihi factum è espressione che presuppone uno stato di ignoranza del giudice, superabile grazie ai contributi probatori delle parti. Dabo tibi ius è espressione che presuppone nel giudice uno stato di perfetta conoscenza della norma sostantiva, rispetto alla cui individuazione nessun decisivo contributo parrebbe poter venire dalle parti>>. ( ORLANDI, op. cit., p. 473)
28 Secondo, KOSTORIS, op. cit., p. 2522, si tratterebbe di una <<concezione vetero- illuministrica del giudizio, che, fondandosi sull’idea di una legge per definizione chiara, univoca e completa, porta a considerare l’opera del giudice di riconduzione del fatto alla norma come un’attività puramente meccanica, ricognitiva ed avalutativa; perciò del tutto prevedibile dal giurista, che sin dall’inizio sarebbe in grado si individuare la corretta qualificazione giuridica del fatto; con la conseguenza che eventuali suoi mutamenti operati d’ufficio dal giudice non sarebbero di per sé idonei ad impedire che ciascuna parte sia comunque posta in grado di tutelare adeguatamente i propri interessi>>. Nello stesso senso
161
un significato molto più complesso di quanto prima facie appaia;29 il principio di legalità veicolato dall’art. 101 Cost. non sembra affatto postulare che al giudice venga attribuito il potere di riqualificare officiosamente il fatto ma solo gli impedisce di condannare l’imputato per un reato che egli ritenga non venire in rilievo nel caso di specie;30 la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, infine, deve essere esercitata nelle forme e nei limiti individuati dalla normativa processuale.31 Ma soprattutto, è il postulato logico su cui si basa la visione più tradizionale a non parere in grado di reggere l’impatto della riflessione critica.32 <<La separazione fra factum e ius è assai più sfumata di
quanto le citate formule [iura novit curia e da mihi factum, tibi dabo ius, ndr.] lascino intendere. Già da tempo si è posto l’accento sulla relazione di strutturale e reciproca dipendenza che intercorre fra quaestio iuris e quaestio
facti>>.33 Come dimostrato dall’ermeneutica giudiziale, il ragionamento del giudice ha carattere circolare e la tradizionale figura del sillogismo, pur continuando ad avere una parziale utilità per la ragion pratica, ha scarso valore gnoseologico. <<Il giudizio non è un percorso lineare che dalla premessa maggiore, certa e condivisa ( vale a dire, la norma generale e astratta) previene alla conclusione (sentenza) passando per il termine medio (il fatto). Esso [è,
ndr.] piuttosto il risultato di un progressivo raffronto tra il termine superiore e
quello intermedio, un procedere per tentativi dove il fatto e la norma sono pensati insieme e si delimitano vicendevolmente; una sorta di trial and error dove la norma, almeno in prima battuta, è posta ipoteticamente per evidenziare gli aspetti rilevanti del fatto, mentre le conoscenza fattuali sono dal giudice impiegate per “trovare” – magari fra molte possibili – la “giusta” soluzione
CAIANIELLO, Mutamento del nomen iuris, op. cit., p.169 secondo cui nell’art. 521 c.p.p. si coglierebbe <<una concezione meramente meccanicistica, avalutativa e meramente ricognitiva dell’operazione che il giudice compie, riducendo il fatto storico ad una previsione generale ed astratta prevista dal legislatore>>.
29 V., supra, ampilus, par. 2.3. 30 V., supra, ampilus, par. 2.1. 31 V., supra, ampilus, par. 2.1. e 2.5. 32 V., supra, ampilus, par. 2.2.
33 ORLANDI, ibidem. Sul punto si v. anche, UBERTIS, op. cit., p. 70-76 per il quale <<se il giudizio sulla quaestio facti non può mai essere di “puro fatto” perché strutturato in riferimento a coordinate giuridiche, quello sulla quaestio iuris è necessariamente legato al “fatto” pure nella misura in cui, anche nella analisi della norma che si ritiene applicabile, si risente della “tensione” alla giustizia concreta propria dell’ordinamento. […] Per la relazione tra […] fatto e diritto, tra quaestio facti e quaestio iuris si può parlare soltanto di una distinzione metodologica tra i due termini della coppia, funzionale alle varie esigenze che, in differenti momenti, vengono in rilievo nell’ambito processuale>>. In argomento, v. amplius, par. 2.2
162
normativa>>.34 A ciò si aggiunga che i fatti oggetto di una quaestio facti non sono bruti ma giuridicamente qualificati; essi non valgono in se ma per ciò che li fa valere il parametro giuridico di rilevanza: la norma.35 Per riprendere una risalente esemplificazione kelseniana, se l’uccisione di un uomo a colpi di fucile sia un omicidio, l’esecuzione di una sentenza capitale o l’episodio di uno scontro bellico, possono dirlo solo e soltanto delle norme giuridiche. Se tutto questo è vero, appare perfino condivisibile riconoscere al giudice il potere di riqualificare il fatto, perché il confronto dialettico tra le parti potrebbe ben fare affiorare il carattere erroneo, latamente inteso, della determinazione giuridica effettuata dal pubblico ministero; ma è altrettanto evidente come non solo non sia eversivo ma anzi sia necessario ricondurre tale operazione al confronto dialettico tra le parti. Se si afferma, infatti, che fatto e diritto sono le volute di un’indissolubile spirale, non si può non <<ritenersi connaturata allo statuto del fatto giuridico, la facoltà delle parti di incidere direttamente sulla determinazione della sua qualificazione, quale profilo concettualmente autonomo, seppur non materialmente indipendente, dalla
quaestio facti>>.36 Del resto davanti allo <<straordinario susseguirsi di leggi penali, al continuo proliferare di fattispecie criminose, alla difficile delimitazione e alle parziali sovrapposizioni dell’ambito di applicabilità di molte fra queste>>37perché privare il giudice dell’apporto conoscitivo delle parti, anche in relazioni alla questione di diritto?38 Fermo restando che, alla fine, spetterà al giudice, come è doveroso, l’ultima parola sulla individuazione della fattispecie applicabile, senza che nessun vincolo gli derivi dalla scelta compiuta dall’accusa o dalle argomentazioni delle parti.
Da questi dati risulta allora confermata l’ipotesi delineata all’inizio di tale ricerca e cioè che il canone del contraddittorio argomentativo previsto dall’art. 111, II Cost e 6 CEDU (quale aspetto del più ampio concetto di fair hearing)39 si applica anche alla queastio iuris. Dunque, l’imputato dovrà essere messo
34 ORLANDI, ibidem
35 Sul punto, per tutti, TARUFFO, La prova dei fatti giuridici in “Trattato di diritto civile e commerciale”, già diretto da Cicu – Messineo, continuato da Mengoni, Giuffrè, 1992, p. 75, per il quale <<è la norma […] che funziona come criterio di selezione nel senso di individuare tra gli infiniti accadimenti del mondo reale, quelli che assumono la rilevanza specifica per la sua applicazione>>.
36 QUATTROCOLO, op. cit. p. 67. 37 ORLANDI, ibidem
38 D’altronde, <<il giudice penale non tanto “sa” il diritto, quanto piuttosto lo deve “trovare” dopo aver diligentemente ascoltato le ragioni delle parti>> (ORLANDI, op. cit., p. 61)
163
nelle condizioni di poter interloquire e confrontarsi dialetticamente in ordine al profilo giuridico dell’addebito, senza che il potere del giudice di riqualificare il fatto possa conculcare codesto diritto.40 A ben vedere, inoltre, può desumersi una conclusione ulteriore, e forse ancor più pregnante, e cioè che nella tematica in esame il principio del contraddittorio rileva anche nel senso forte di cui all’art. 111, IV Cost, e cioè come contraddittorio nella formazione della
prova. Infatti, come già ricordato,41 la sussunzione del fatto storico entro diversa fattispecie, potrebbe aprire orizzonti probatori prima del tutto inesplorati e ciò perché, anche il mutamento del solo titolo di reato comporta sempre che il fatto contestato sia visto, in alcuno dei suoi elementi, sotto una diversa luce, come non più costitutivo o diversamente costitutivo; e basterà l’alterazione delle connessioni funzionali tra gli elementi del fatto contestato per far guardare alla res iudicanda in una differente prospettiva, che condiziona le opzioni dell’approfondimento istruttorio e la lettura dei suoi risultati. Dati probatori indiscussi ma irrilevanti, quanto a contributo ricostruttivo, fin quando si verta su un certo nomen iuris, <<possono ben acquistate rilevanza probatoria rispetto al tessuto delle connessioni funzionali sotto le quali un altro nomen iuris è in grado di sintetizzare gli elementi dell’imputazione in fatto>>.42 Certo, nel processo penale oggetto di prova sono sempre e solo43 fatti,44 ma tali fatti sono, lo si è appena visto, fatti
40 Diritto che, come si dirà, dovrà essere assicurato in ogni grado del processo. V., infra,
amplius.
41 V., supra, amplius, par. 2.4.
42 RAFARACI, op. cit., pp. 299-300. Nello stesso senso, con immagine evocativa, ZACCHÈ,
op. cit., p. 786: <<la qualificazione dell’illecito rappresenta l’unità di misura, la lente
attraverso cui avviene la determinazione del fatto principale […] se si sostituisce la lente, cambiano pure i punti oggetto dell’indagine, con il risultato che temi secondari o inesplorati nell’ottica di un’ imputazione, potrebbero assumere un’ altra luce in un diverso contesto>>. Il passo è citato anche da CASIRAGHI, op. cit. p. 118. In senso analogo, KOSTORIS, op. cit. p.
2511: <<una modifica della qualificazione giuridica retroagisce (del tutto fisiologicamente) sulle componenti fattuali, nel senso che non può essere disgiunta da un nuova valutazione delle medesime, per verificarne la compatibilità con la nuova configurazione in punto di diritto; il che, verosimilmente, potrà aprire nuovi fronti di discussione su profili storici della medesima vicenda trascurabili e trascurati alla luce della precedente definizione giuridica, ma divenuti importanti alla luce della nuova>>In tema v. anche, ex plurimis, CAPONE, op.
cit. p. 63 e ss.; QUATTROCOLO, op. cit. p. 67; CASIRAGHI, ibidem.
43 La conoscenza del fonti normative, intese quali disposizioni da cui ricavare norme, è infatti presupposta in capo al giudice penale. V. par.2.3.
44 In particolare, ex art.187 c.p.p: <<sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità, alla determinazione della pena e delle misure di sicurezza. Sono, altresì, oggetto di prova i fatti da cui dipende l’applicazione di norme processuali. Se
164
giuridicamente rilevanti,45 cioè fatti normativamente qualificati; inoltre e soprattutto, nel processo penale, la regiudicanda, ossia il tema del giudizio, si scompone in due sottotemi, dato che la colpevolezza implica valutazioni di fatto e di diritto: quello “storico” concernente il fatto attribuito all’imputato e quello di “valore giuridico” concernente la riconducibilità del fatto ad una fattispecie penale. Pertanto, <<il tema della prova nel processo penale, è il tema dell’accusa e, quindi, anche della qualificazione giuridica del fatto>>.46 Se, dunque, in ogni caso di diversa qualificazione giuridica, pur avendo essa sempre ad oggetto le medesime circostanze di fatto contestate, si appalesa almeno un nuovo elemento costitutivo di una diversa fattispecie, che la parte non ha potuto contrastare con le opportune richieste di prova,47 sarebbe riduttivo confinare il diritto di difesa alla mera interlocuzione in iure, senza accompagnarvi anche la possibilità di chiedere l’assunzione delle prove che si rendessero necessarie alla luce della nuova qualificazione.48 Tutto ciò, allora, dimostra che nonostante le differenze che certamente esistono tra factum e ius, non si possa prescindere dalla adozione di un metodo di accertamento unitario: il contraddittorio. Piuttosto, tali diversità possono rilevare nelle individuazione delle forme e del contenuto con cui il confronto dialettico sul
vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante da reato>>.
45 Ciò vale, innanzitutto e prioritariamente per i fatti che si riferiscono all’imputazione, per i quali l’operatività del meccanismo di sussunzione descritto al par. 2.2 è di intuitiva evidenza; ma vale anche per le altre “tipologie” di fatti di cui al citato art. 187 c.p.p.; infatti tali fatti fanno ingresso nel processo e devono essere provati proprio perché giuridicamente rilevanti, in quanto, a seconda dei casi, richiamati, più o meno direttamente, dalle norme giuridiche che disciplinano gli istituti della punibilità, della dosimetria sanzionatoria, dell’applicazione delle misure di sicurezza, ecc.
46 QUATTROCOLO, op. cit. pp. 67-68 47 V. CAPONE, op. cit. p. 63.
48 Cfr. KOSTORIS, ibidem. In argomento, v. anche SCULCO, op. cit., p. 636 per la quale, <<la sentenza, così come l’atto di accusa costituisce il risultato di una valutazione nella quale accertamento del fatto e individuazione della norma, seppure elementi sceverabili, entrano in stretta correlazione dando luogo al giudizio complessivo che confluisce, appunto, nella decisione del giudice. Pertanto, detta diversità di disciplina non può ritenersi la soluzione più opportuna considerato che il diritto di difesa, per essere pienamente realizzato, deve potersi esercitare su ciascuno dei temi che formano oggetto della valutazione del giudice e non soltanto sulla ricostruzione del fatto contestato. Del resto, è quasi superfìuo osservare come le argomentazioni difensive che è opportuno e utile spendere nel contraddittorio tra le parti non sono le medesime laddove, pur rimanendo invariato il fatto, muti il titolo di reato, potendosi invero valorizzare, a seconda del tema giuridico intorno al quale si verte, elementi di prova di volta in volta diversi>>.
165
profilo giuridico della regiudicanda deve essere realizzato.49 In questo senso di grande interesse è esaminare le posizioni assunte sul punto dalla giurisprudenza, sia della Corte EDU che della Cassazione.
3.3. L’ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA DELLA