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PREGIUDIZI DERIVANTI ALL’ IMPUTATO DALLA RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO

3. LA RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO: INCERTEZZE E PROSPETTIVE DOPO IL CASO DRASSICH

3.1. PREGIUDIZI DERIVANTI ALL’ IMPUTATO DALLA RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO

Come anticipato, l’attività di riqualificazione è ontologicamente o stricto

sensu pregiudizievole per l’imputato4 in un duplice senso: in primo luogo, perché davanti ad una imputazione giuridicamente erronea la soluzione in assoluto maggiormente garantista (ancorché scarsamente praticabile5) sarebbe l’assoluzione; in secondo luogo, poiché l’accusa è il parametro su cui si

1 Possibilità del resto ontologicamente preclusa quando, come nel caso Drassich, la riqualificazione sia operata dal giudice di legittimità. V., supra, ampilus, cap. 1 e 2 e, specialmente, par. 2.5.

2 V., supra, ampilus, cap. 1. 3 V., supra, ampilus, cap. 2.

4 In realtà, come si è fatto notare in dottrina, (DE MATTEIS, Diversa qualificazione giuridica

dell’accusa e tutela del diritto di difesa, in “Giurisprudenza europea e processo penale”, a

cura di Balsamo-Kostoris, Giappichelli, 2008, p. 227) <<i mutamenti della qualificazione giuridica possono ledere anche le posizioni processuali del pubblico ministero (e della parte civile), le quali, ancorché non tutelate direttamente dall’art.6 CEDU, devono essere prese in considerazione se veramente si vuole realizzare una “parità delle armi” nel processo che non sia a senso unico a garanzia dell’imputato ma tuteli anche gli interessi (pubblici e privati) sottesi all’accertamento del reato>>. Conf. SCULCO, op. cit., p. 641. Per coerenza con

l’oggetto della presente ricerca, ci si limiterà, tuttavia, ad esaminare il pregiudizio che dall’attività di riqualificazione possa derivare all’imputato.

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costruisce la strategia processuale dell’accusato e <<l’esigenza della difesa dell’imputato […] in tanto è soddisfatta in quanto egli sia in grado di conoscere preventivamente e tempestivamente non solo i fatti, ma le valutazioni che il giudice o il pubblico ministero emette sui medesimi>>.6 Oltre a tali profili, tuttavia, la modifica officiosa ed a sorpresa del nomen iuris in sentenza può determinare per l’imputato anche ulteriori effetti

eventualmente o lato sensu pregiudizievoli. Si tratta cioè di conseguenze che

non discendono sempre, necessariamente e tutte insieme dalla riqualificazione ma che, a seconda delle peculiarità del caso concreto, possono variamente verificarsi. Esse non sono, però, meno significative sotto il profilo teorico o rilevanti da un punto di vista pratico; anzi, dimostrano quale importanza abbia in sede di giudizio l’individuazione, ed eventualmente la modificazione, del qualificante, sub specie di sussumente, normativo. Per maggiore chiarezza, sembra opportuno distinguere a seconda che la “nuova” fattispecie normativa sia più grave (nel senso di più gravemente punita) o meno grave della precedente, ribadendo, tuttavia, che ben spesso anche la cd. derubricazione non rappresenta affatto un vantaggio per l’imputato.7

Partendo dalla cd. riqualificazione in peius 8 l’effetto negativo più ovvio e scontato è rappresentato da un aggravamento del trattamento sanzionatorio complessivamente inteso; non già, dunque, solo l’irrogazione di una pena principale più severa nel genere (detentiva in luogo di pecuniaria), nella specie (reclusione al posto dell’arresto), o nella quantità ( es. 7 e non 6 anni di reclusione) ma anche l’applicazione di pene accessorie non comminate dal legislatore per il reato in principio contestato (es. interdizione perpetua dai pubblici uffici in luogo della interdizione temporanea) ed invece previste per quello ritenuto in sentenza.

A ben guardare, però, il problema “della pena più grave” non si ferma alle conseguenze immediate della pronuncia, perché dall’aggravamento del nomen

iuris << può derivare una serie di ricadute a pioggia, più o meno strettamente

collegate al profilo della pena>>.9 Ad esempio, se l’imputato avesse riportato in precedenza una condanna per il reato x ed in un successivo processo l’imputazione y venisse riqualificata in x, in caso di affermazione di responsabilità per tale secondo reato, la recidiva da semplice diverrebbe

6 DE LUCA, op. cit., p. 241

7 Cfr. QUATTROCOLO, op. cit., p. 133

8 Per un’analisi dettagliata sugli effetti pregiudizievoli per l’imputato derivanti dalla riqualificazione in peius v. QUATTROCOLO, op. cit, p. 136 e ss.

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reiterata con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 99 c.p., l’aumento di pena non sarebbe di un terzo ma fino alla metà. Ancora, il più grave reato ritenuto in sentenza potrebbe impedire, ai sensi dell’art. 164, u.c., c.p. l’applicazione della sospensione condizionale della pena per superamento dei limiti stabiliti dall’art. 163 c.p. o, all’opposto, obbligare il giudice alla revoca di una sospensione condizionale precedentemente concessa per effetto della previsione di cui all’art. 168 c.p. Da ultimo, la riqualificazione potrebbe determinare la sussunzione del fatto in una fattispecie ostativa alla concessione di amnistia o indulto, applicabili, invece, per il reato originario.

Infine, connesso al profilo lato sensu sanzionatorio, è il piano dell’esecuzione penale in cui la sussunzione sotto diversa e più severa fattispecie può essere egualmente, o persino maggiormente, dannosa rispetto a quanto sinora visto. E’ noto, difatti, come ai sensi dell’art. 656, V, c.p.p10 il pubblico ministero che abbia emanato l’ordine di esecuzione debba contestualmente emettere decreto di sospensione di suddetto ordine allorquando si tratti di eseguire cd. pene detentive brevi, ovverossia pene privative della libertà personale per un periodo di tempo non superiore, a seconda dei casi dettagliatamente previsti da tale norma, ai 3, 4 o 6 anni di detenzione; il meccanismo è stato pensato dal legislatore onde consentire al condannato di richiedere l’accesso alle misure alternative alla detenzione previste dalla legge di Ordinamento Penitenziario11 o dal Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope,12direttamente dallo status libertatis, senza costringerlo a fare ingresso nel circuito penitenziario e ad esporsi, così, al contagio criminoso che ivi sovente si produce.13 Tale congegno, tuttavia, non opera per i delitti contemplati dal comma 9, e cioè: per i reati in relazione ai quali l’articolo 4 bis l. Ord. Pen. subordina l’accesso alle misure detentive ad una serie di articolati e stringenti presupposti; per il delitto di incendio boschivo (art. 423 bis c.p.); per il delitto di furto pluriaggravato (comb. disp. art. 624 e 625 c.p.) e per i delitti di furto in abitazione e furto con strappo (art. 624 bis c.p.). Orbene, la riqualificazione in peius, a causa della quale l’imputato per un reato non

10 Nel testo riformato dalla l. 165/1998 e successive modificazioni.

11 Il riferimento è, principalmente, all’affidamento in prova ai servizi sociali (art. 47 l. Ord. Pen.) ed alla detenzione domiciliare (art. 47 ter l. Ord. Pen.)

12 Trattasi dell’affidamento in prova a comunità terapeutica per tossicodipendenti (art. 91 d.p.R. 309/1990)

13 In questo senso, CAPRIOLI, op. cit., p. 157; CANEPA – MERLO, Manuale di diritto

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ostativo si veda infliggere una pena detentiva14 per un reato ostativo, ha conseguenze dirompenti: essa significa, in concreto, aprire al condannato le porte del carcere. Meccanismo simile quanto agli effetti, si verifica pure nell’ipotesi in cui, a causa dell’aggravata qualificazione giuridica del fatto, il giudice irroghi una pena che superi i limiti quantitativi posti dal suddetto art. 656, V, c.p.p.; anche qui, niente sospensione dell’ordine di esecuzione e via libera alla carcerazione.

Passando ora ad esaminare profili diversi da quello propriamente sanzionatorio, si deve considerare come la riqualificazione in peius possa produrre ulteriori, e non meno perniciosi, effetti. Ad esempio, nel caso in cui il reato per cui si proceda sia perseguibile a querela della persona offesa e manchi tale condizione di procedibilità, il giudice ben potrebbe riqualificare a sorpresa il fatto e ricondurlo ad una fattispecie procedibile d’ufficio, condannando così l’ignaro imputato. Senza contare l’ipotesi, verificatasi proprio nel caso Drassich, in cui il reato originario sarebbe prescritto ma, in luogo della declaratoria di estinzione del medesimo, giunga la condanna per una più grave figura criminosa.

Se, però, tutto sommato, dalla riqualificazione in peius, ci si aspetterebbero ricadute come quelle appena sintetizzate, potrebbe apparire sorprendente notare come un non dissimile scenario riguardi anche l’ipotesi opposta, la cd. riqualificazione in melius. Ora, rispetto ad essa, sembrerebbe prima facie inusuale, se non illogico, parlare di effetti pregiudizievoli; d’altronde, si dice, a seguito di una derubricazione del reato il giudice è solito irrogare una pena più lieve. Ciò è senz’altro vero, ma il passaggio da un nomen iuris più grave ad uno meno grave, come può produrre conseguenze favorevoli all’imputato, altrettanto facilmente è in grado di far derivare esiti a lui svantaggiosi. Ad esempio, si ipotizzi la riqualificazione dell’accusa di concussione (art. 317 c.p.) in violenza sessuale (art.609 bis);15essa sarebbe, teoricamente, una derubricazione, perché il primo delitto è punito con la reclusione da 6 a 12 anni ed il secondo con la reclusione da 5 a 10 anni; tuttavia una condanna per concussione non è ostativa alla concessione di misure alternative alla

14 Magari pure quantitativamente e qualitativamente eguale a quella che sarebbe stata irrogata per l’illecito di cui al capo di imputazione.

15 Non si tratterebbe di un’ipotesi così bizzarra come apparentemente potrebbe sembrare; secondo la giurisprudenza maggioritaria, infatti, tra le “altre utilità” che il pubblico ufficiale può costringere a farsi indebitamente dare o promettere dalla vittima, rientrano a pieno titolo le prestazioni sessuali. Sul punto v., amplius, ROMANO, I delitti contro la pubblica

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detenzione16 mentre una per violenza sessuale sì, essendo quest’ultimo reato espressamente menzionato dall’art. 4 bis, 1- quater, l. Ord. Pen. A rimanere nell’esempio, peraltro, anche il passaggio inverso potrebbe rivelarsi dannoso per l’imputato; infatti, pur consentendogli un accesso più facile agli istituti premiali, latamente intesi, previsti dalla legislazione penitenziaria, determinerebbe un aggravio di pena, sia quanto a sanzione principale (come visto, più alta, a meno che non si ritenesse integrata l’ipotesi aggravata di cui all’art. 609 ter c.p. il cui excursus edittale è identico a quello previsto dall’art. 317 c.p.) sia quanto a pena accessoria (interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre per la violenza sessuale l’interdizione sarebbe applicata solo nei riguardi del pubblico ufficiale che fosse un insegnante o un dipendente di istituzioni frequentate da minorenni e che nell’ambito di tale attività avesse commesso il reato ai sensi dell’art. 609 nonies c.p.). Ma, anche senza scomodare la disciplina dell’esecuzione penale, effetti peggiorativi della derubricazione sono più frequenti di ciò che si pensi. Si immagini la riconduzione del fatto, originariamente sussunto in una fattispecie delittuosa, ad una norma incriminatrice contravvenzionale; accanto alle indubbie conseguenze favorevoli al reo che si produrrebbero, (pena più tenue,17 termini di prescrizione più brevi,18 praticabilità dell’oblazione19) ve ne sarebbe anche uno potenzialmente nocivo: l’indifferenza dell’elemento soggettivo. Ai sensi dell’art. 42., IV, c.p., infatti, <<nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa [corsivo nostro]>>. Orbene, si ipotizzi che nel processo sia stato contestato all’imputato un delitto punibile esclusivamente a titolo di dolo ma il pubblico ministero abbia raggiunto la piena prova solo del carattere imprudente della condotta tenuta dall’accusato; questi non potrebbe che andare assolto… a meno che il giudice non riqualificasse il fatto e lo riconducesse ad una contravvenzione, punibile, invece, appunto, anche a titolo di colpa.

E si potrebbero porre moltissimi altri casi. Si pensi all’ipotesi in cui <<la nuova fattispecie comporti degli obblighi risarcitori specifici; delle sanzioni accessorie non previste per il reato contestato in origine; delle ripercussioni

16 Visti i limi edittali l’accesso avverrebbe comunque dal carcere, quando il residuo di pena da scontare fosse inferiore ai 4 anni. V. art. 656 c.p.p.

17 Arresto, come pena detentiva; ammenda, come pena pecuniaria. 18 4 anni, aumentabili a 5 in presenza di atti interruttivi.

19 Qualora la contravvenzione sia punita con la sola pena dell’ammenda (oblazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 162 c.p.) o con pena dell’ammenda alternativa a quella dell’arresto (oblazione facoltativa, ex art.162 bis c.p.)

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disciplinari che non sarebbero conseguite in caso di conferma della precedente imputazione>>.20 Infine un caso limite di riqualificazione in melius con effetti peggiorativi si verificherebbe ove in forza della immutatio iuris l’imputato venisse assolto con una formula proscioglitiva meno favorevole di quella cui avrebbe avuto diritto; ritornando all’esempio precedente del passaggio da delitto a contravvenzione, si ipotizzi che la suddetta contravvenzione si sia prescritta: l’imputato sarebbe comunque prosciolto ma con pronuncia deteriore rispetto a quella che vi sarebbe stata se il giudice avesse ravvisato la mancanza dell’elemento soggettivo doloso nel delitto.

Risulta allora di tutta evidenza che, sia per ragioni strutturali che per cause eventuali l’attività di riqualificazione non sia affatto neutra od asettica,21 come spesso ancora si dice, ma sia idonea ad incidere “sulla carne viva dell’imputato”. E se ad essa non può rinunciarsi,22 diventa allora necessario ridurre il pregiudizio per la difesa entro un margine di tollerabilità, oggi ampiamente superato dalla disciplina vigente. L’unico modo per farlo è, evidentemente, assoggettare anche tale operazione, ed anche quando essa consista in una derubricazione,23 al confronto dialettico tra le parti; renderla, cioè, oggetto di contraddittorio.

3.2. CONTRADDITTORIO E IURA NOVIT CURIA: UN CONTRASTO