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4 L’IMPRESA CHE PIANIFICA

4.3 Usare i Social Media: il Social Commerce

4.3.2 L’alveare delle funzioni Social Media

Alla luce della crescente importanza dei SM e delle difficoltà oggettive delle aziende di comprenderne e individuarne le potenzialità, alcuni studiosi della Kelley School of Business (Università dell’Indiana) hanno elaborato un framework teorico relativo alle funzioni svolte dai SM.

Il framework viene definito “honeycomb”, perché simile a un nido d’ape: è composto da sette blocchi funzionali strettamente connessi alla SM user experience: identità, conversazioni, condivisione, presenza, relazioni, reputazione, gruppi. Secondo l’approccio teorico un’azienda può focalizzarsi su uno o più funzioni: ciascun costrutto può contribuire, soprattutto se in sinergia con gli altri, a definire una precisa strategia sulle piattaforme SM.

Fonte: https://smbp.uwaterloo.ca/2013/10/honeycomb-and-social-crm/.

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1. Al primo blocco, identità, appartengono le informazioni personali dell’utente come nome, età, genere, occupazione. Come abbiamo visto nel capitolo 2, una delle problematiche ad esso connesse è sicuramente la privacy. Anche se disponibile a cedere una grande quantità di informazioni l’internauta è consapevole delle possibili cessioni di dati che i SM concorrono a facilitare più o meno attivamente. Per le aziende che vogliano accedere al bacino vastissimo di dati personali sarà opportuno tenere conto della rinnovata consapevolezza degli utenti e dei loro escamotage per difendere la privacy (strategie e variazioni di identità, self e personal-branding, testamento digitale). Pertanto, “raggiungere un accurato equilibrio fra condivisione dell’identità e protezione della privacy è cruciale nella selezione e nell’uso degli strumenti 2.0, in quanto un mix sbagliato può condurre ad una mancanza di responsabilità percepita dagli utenti e incoraggiare il cyber-bullismo e i commenti off-topic”195.

2. Il secondo blocco del framework è quello delle conversazioni, ossia la portata della comunicazione sui SM tra utenti. A partire da una ricerca sulle dinamiche industriali, gli autori hanno dedotto che è il tipo di monitoraggio delle imprese e la loro interpretazione della “velocità di conversazione” a determinare le differenze di frequenza e di contenuto di una conversazione. Ad esempio, su Twitter le imprese avranno bisogno di strumenti e capacità di mettere insieme come i pezzi di un puzzle le brevi conversazioni che vi si registrano; viceversa un blog offre messaggi dettagliati e con maggiore regolarità. In ogni caso, le aziende hanno, rispetto al blocco delle conversazioni, la duplice possibilità di inserirsi in uno scambio più ampio sul medesimo argomento, oppure di partecipare a una discussione, talvolta anche modificandola. La seconda alternativa può rivelarsi carica di opportunità in termini di valore aggiunto e interesse alla discussione, o di insidie qualora l’impresa si immetta nel flusso comunicativo in modo brusco o eccessivo.

3. La condivisione è il terzo blocco funzionale dell’honeycomb. Hermkens, Kitzmann, McCarthy e Silvestre, autori della ricerca, ritengono che lo scambio di contenuti sui SM abbia due importanti implicazioni per le imprese che cercano di ottenere un certo grado di engagement tramite gli strumenti 2.0: il bisogno di individuare e/o creare oggetti di socialità che possano essere interessi condivisi(bili), strettamente connessi alla piattaforma; l’importanza di quantificare il grado di

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condivisione più opportuno agli scopi aziendali, al fine di evitare le criticità connesse alla legge sul copyright (YouTube è la piattaforma che più ha dovuto sviluppare contromisure in tal senso) e a contenuti non consentiti.

4. Seguendo il framework ci imbattiamo nella presenza, quarto blocco del modello e connesso alla disponibilità e all’accessibilità degli utenti al mondo virtuale e/o reale. L’azienda dovrà valutare, ad esempio, se inserire o meno l’indicatore della presenza o dello status online; oppure se gli utenti preferiscono la presenza selettiva; oppure ancora il grado di intimità e immediatezza della relazione connessa alla presenza.

5. Proprio le relazioni sono il quinto blocco del modello, o meglio il “relate” (collegamento), termine usato dagli autori per definire “l’associazione che porta gli utenti a conversare, condividere oggetti sociali, incontrarsi, o semplicemente vedersi come fan o amici”. È proprio l’intensità della connessione a determinare spesso il tipo e/o le modalità dello scambio. Gli autori, a tal proposito, recuperano due termini della social network theory, la struttura e il flusso per definire le proprietà della relazione. Qualora un SM sia incentrato specificamente sulle relazioni (Facebook, LinkedIn) le imprese dovranno tenerne conto e distinguere due casi: al fine di incrementare l’engagement dovranno trovare il modo di creare e mantenere le relazioni sia nei termini quantitativi della struttura (tanto maggiore è l’intreccio delle relazioni di un utente, quanto più questi sarà influente e centrale nel network), che in quelli qualitativi del flusso (relativamente al tipo di risorse scambiate e condivise).

6. La reputazione, della persona o dei un brand, è il sesto blocco del framework. Ha a che fare con il rapporto fiduciario che si stabilisce tra il reale e il virtuale, tra utenti, tra questi e l’impresa, e stabilisce il metro di misura della qualità delle informazioni e delle relazioni online presenti sui SM. È indispensabile un continuo e costante monitoraggio in rete delle notizie che appaiono in relazione al nostro nome, brand o aree di attività. I “mechanical Turks” sono in genere gli strumenti che aggregano automaticamente le informazioni user-generated per stabilirne l’attendibilità. In generale sono necessarie delle metriche a quelle aziende o utenti che volessero valutare con esattezza la loro reputazione e quella degli altri. Il numero elevato di follower su Twitter o Instagram, ad esempio, è indicativo della popolarità del profilo, ma non ci dice quanti di loro

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effettivamente seguano i suoi tweet o i suoi post. L’impresa dovrà allora stabilire l’oggetto della metrica (ad es. il tempo e l’attività nella community), quindi gli strumenti di valutazione basati su obiettivi in termini di dati (ad es. il numero di visite) oppure sull’entità dell’intelligenza collettiva (paragrafo 2.2.1).

7. Community e sub-community nei SM sono opera dei gruppi, settima e ultima voce dello schema che stiamo analizzando. Nel caso di SM sviluppati dall’azienda è una buona pratica prevedere sin da subito il meccanismo che consenta agli utenti un sistema per raggrupparsi anche quando il numero dei membri del gruppo è molto basso. Ciò eviterà di fare tale operazione successivamente su lunghe liste di contatti.

Le voci analizzate sopra costituiscono una griglia di riferimento estremamente utile. Come è facile intuire, lo studio congiunto dei 7 blocchi e dell’esagono di Kapferer (paragrafo 3.2) genera l’impostazione e l’approccio ideali per un’impresa che voglia creare utile e valore, online e offline, e porsi quale interlocutore pronto e responsabile dei propri pubblici.

Non sempre tuttavia ciò avviene con successo. Nel prossimo paragrafo ci occuperemo di una ricerca, che con cadenza biennale, ci informa sullo “stato di salute” delle imprese italiane impegnate nelle attività di SMM.