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4 L’IMPRESA CHE PIANIFICA

4.8 Case history: l’esperienza di San Francesco 67

4.8.6 Punti di forza e osservazioni finali

SF67 negli ultimi due anni ha dimostrato di fare un uso sostanzialmente corretto di Instagram. La cura del dettaglio nell’editing delle foto-outfit, la qualità e l’omogeneità dei contenuti costituiscono importanti punti di forza. Correzioni e accortezze prima di postare una foto sono dunque per noi motivo di apprezzamento: raddrizzare la foto, scattarla con l’applicazione Instagram, utilizzare la stessa struttura di composizione, scegliere sapientemente hashtag e geotag sono senz’altro accorgimenti importanti. Il risultato che ne scaturisce è un profilo ben fatto, di tipo più illustrativo che promozionale, piacevole da sfogliare come una rivista di moda anche se non si è interessati all’acquisto o un bel negozio da visitare anche solo virtualmente

228 Moccia L. B., Zavagnin A., Zingone M., Instagram. Comunicare in modo efficace con le immagini, Area51 Publishing, 2016, Bologna. Versione ePub, “I commenti”.

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e/o in modo disinteressato. Il buongusto degli abbinamenti desta infatti curiosità e ammirazione, contribuendo a descrivere un preciso stile creativo nel quale riverbera quello che orienta la selezione dei capi di abbigliamento. Qualità, omogeneità e riconoscibilità si incontrano inoltre con una presenza online costante e un approccio rispettoso e interattivo con i clienti.

In quest’ottica, riteniamo tuttavia che SF67 dia ancora poca importanza alla geolocalizzazione e alla sua utilissima funzione aggregatrice. Il geotag più utilizzato infatti non è la posizione del negozio (Via San Francesco, 67), ma un troppo generico “Pisa, Italy”, che può disincentivare le visite al negozio fisico. Non tutti gli avventori sul profilo sono disposti a compiere il passo di visitarne la descrizione e cercare l’indirizzo. La geolocalizzazione darebbe punti in più al profilo nella “guerra all’attenzione” che pervade il social network, “giovane”, ma già affollatissimo.

Un altro margine di miglioramento risiede, secondo noi, nella condivisione degli scatti fatti dalle clienti dopo i loro acquisti. Le dipendenti che si occupano di postare le foto dovrebbero puntualmente inserire nei post il tag “ufficiale” di SF67 (#sanfrancesco67), non sempre presente, e condividere sul profilo i selfie in cui è a sua volta taggato. Tale prassi consente infatti di comunicare alle proprie follower la risonanza del proprio brand, ribadirne la forza e la popolarità.

In definitiva, potremmo dire che SF67 con Instagram è riuscito nell’intento di trasferire online la sua selezione dallo spazio privato del concept-store a quello pubblico e infinitamente esteso degli Instagrammers.

Auspichiamo, tuttavia, che sia in grado di fare qualche passo in più. Qui di seguito quelli che a nostro avviso sono i possibili margini di miglioramento:

• Diversificare. L’attenzione a mantenere una coerenza di insieme non deve pregiudicare la creatività

e la capacità di rinnovarsi. Quello che emerge sfogliando le foto è un generale consolidamento delle prassi che potrebbe tradursi in un appiattimento dei contenuti. Il rischio è sempre quello di annoiare il pubblico e, come abbiamo ampiamente detto nel capitolo 3, non bisogna mai trascurare l’effetto sorpresa. Anzitutto, potrebbe avere un riscontro positivo l’incremento delle stories, modalità di racconto molto apprezzata e seguita dagli Instagrammers. Un’idea originale,

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che desumo dal profilo di un negozio multi-brand di Bologna, Blu Concept Store229, potrebbe

essere quello di inserire gli scatti nel panorama urbano: un portico, una piazza, un qualsiasi monumento della città a fare da sfondo ai soggetti delle foto, con un effetto “street art”.

Infine, sarebbe interessante coinvolgere le clienti più affezionate (e attive su Instagram) e cogliere così le opportunità offerte dall’influenza esercitata sulle loro communities. L’influencer marketing è oggi un business assai interessante per molte imprese del fast fashion: la vera vetrina – economica ed efficace – è online e se la moda low cost non sopravvive senza SM, questi ultimi hanno bisogno di realtà come quelle dei brand per migliorare i servizi all’utente (Generazione Z in primis) e prolungare il tempo di utilizzo delle loro piattaforme. Anche una piccola realtà come SF67 potrebbe stimolare (il) e approfittare dell’endorsement verso i suoi prodotti e il brand manifestato dalla clientela più fidelizzata.

• Pianificare. Il punto è strettamente connesso al precedente. Perché siano praticabili possibilità di

racconto nuove e più coinvolgenti crediamo sia giunto il momento per SF67 di affidare la gestione e la produzione dei contenuti a un social media team specializzato. Le risorse umane dedicate avranno l’opportunità di impiegare energie e tempi separati dall’ordinaria attività di negozio nell’analisi, nella pianificazione strategica, nell’implementazione e nella valutazione della propria attività di promozione online, sia organica che di advertising a pagamento.

È apprezzabile che nell’ultimo mese230 il titolare abbia deciso di provvedere alla formazione

professionale dell’attuale responsabile Social Media, tramite un ciclo di incontri mirati con un esperto di web marketing.

• S-commerce. Infine, un obiettivo forse ambizioso, la strada dell’e-commerce. La partnership con i

software in cloud come Shopify (SAAS, Software As A Service) consente anche a piccole realtà imprenditoriali con ridotte disponibilità economiche e informatiche di costruire uno store online tramite Instagram. Tali piattaforme puntano molto oltre che sulla sicurezza di costi fissi mensili,

229 Ibidem, “I punti di forza del profilo @blubologna”. 230 Giugno 2018.

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sulla user experience e l’interazione umana e rendono possibile un grado più che soddisfacente di personalizzazione dei contenuti231.

Questo punto si riferisce dunque alla prospettiva di approfittare di un business decisamente in espansione (oltre 25 milioni di aziende attive su Instagram nel luglio 2017232): il mercato è sì

saturo, ma anche maturo e abituato a comprare. SF67 potrebbe così colmare il vuoto di pubblico e clientela dovuto alla recente chiusura di un importante dipartimento universitario e in generale ritrovare anche online le proprie nicchie di target, indipendentemente dagli eventi congiunturali (crisi del settore e aumento della concorrenza in primis).

Per farlo dovrebbe internazionalizzare le vendite e avvalersi di un sito multilingue: a un’importante attività di marketing SEO specifica e SEM (Adwords, Facebook) e al marketing sul sito sarebbe opportuno affiancare un blog dove acquisire clienti grazie al content marketing. Non vogliamo qui dilungarci troppo sulle buone prassi dell’e-commerce233, relativamente a creazione del catalogo,

presentazione dinamica dei prodotti, ascolto e fidelizzazione del target. Diciamo solo che, come dimostra in buona parte il successo del profilo Instagram, investire sulle foto per un’azienda di abbigliamento online è di fondamentale importanza e l’investimento sarà ripagato in termini di vendite e brand awareness.

L’imperativo forse più importante, qualora SF67 in futuro decida di implementare l’e-commerce, coincide con il punto di partenza del presente elaborato. “Un’azienda “muta”, che non parla nell’era del web 2.0, specialmente nel settore moda, è in totale contrasto e fuori dal contesto di condivisione continua che gli utenti hanno oggi nell’approcciarsi sul web”234.

231https://www.ictsviluppo.it/blog/come-funziona-shopify. 232https://www.ictsviluppo.it/blog/instagram-shopify-partnership.

233 Rimandiamo all’ebook di Chiappini F., E-commerce Abbigliamento: La guida definitiva su come vendere moda online. E- commerceSchool.it, 2015. http://www.ecommerce-school.it/blog/wp-

content/uploads/2015/06/ebook_guida_ecommerce_abbigliamento_come_vendere_moda_online.pdf. 234 Ivi.

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I social media (compresi i blog) sono il canale di comunicazione tra azienda e cliente, il principale luogo di incontro oggi tra domanda e offerta, ma anche di gusti e stili di vita. Attraverso i SM le aziende possono produrre contatti (qualificati, “in target”) e clienti in maniera organica e senza costi di advertising.

Se “Content is the king” le aziende italiane, che ancora poco investono sui copywriter (all’estero sono figure chiave in ogni ufficio Marketing), stanno sottovalutando la forza dei racconti, delle parole, dei testi. L’integrazione tra una presenza studiata nei centri di interesse e infotainment online da una parte, e la personalizzazione strategica dei contenuti dall’altra, può davvero produrre un salto di qualità non indifferente nella comunicazione marketing.

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CONCLUSIONI

Come si evince dalla collocazione dei capitoli, le parole chiave dell’elaborato sono “comunicazione”, “racconto” e “pianificazione” sui Social Media.

Con la disamina delle caratteristiche peculiari del web 2.0, abbiamo voluto dimostrare come la comunicazione d’impresa, e con essa il communication mix, di cui il Social Media Marketing fa parte, ha aspetti di continuità oltre che di rottura con la comunicazione top-down tradizionale.

Anzitutto, il ruolo del cliente-utente-consumatore. È vero che il web 2.0 si caratterizza per un vistoso spostamento dell’asse di potere impresa-stakeholder, ma lo user generated content, che supera e demolisce le barriere e costringe il management a scendere dalla torre d’avorio, non può far pensare a una cesura netta rispetto a un presunto passato di passività e controllo. L’agency del fruitore di contenuti massmediali era ed è indiscutibile tanto quanto lo è quella del content creator.

E con agency abbiamo voluto fornire un concetto neutro, definito come capacità e sfera di decisione autonoma, indipendente (anche se in parte condizionato) dal contesto sociale e politico. In tal senso, le pratiche online dei cittadini social non dovranno suscitare né l’eccessivo ottimismo di chi crede in un promettente processo di democratizzazione, né i facili complottismi che vedono nei nuovi ambienti mediali nuove forme di dominio e controllo delle menti. Ritagliano piuttosto uno spazio personale e creativo di autodeterminazione, nel bene e nel male. Per attenerci al focus, non abbiamo approfondito le ampie implicazioni politiche dell’argomento, che pure sono importanti e ricche di un’ampia letteratura di riferimento.

In secondo luogo, la network society e l’esperienza della/nella community estendono oltremisura i confini del passaparola “di quartiere”, che acquista una dimensione glocale. Ne deriva uno scenario dai contorni fumosi e sempre da riscrivere, ma le regole del gioco – ed è questa la vera rivoluzione copernicana – non le decide l’impresa, bensì il “consumAttore”235 e l’assetto valoriale nel quale si identifica la community.

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In terzo luogo, i significati di cui si sostanziano l’attività economica e la scelta di consumo sono il frutto di una relazione dialogica. Lo scambio ha ripercussioni sia nella struttura dell’organizzazione, dove il SMM è promotore di integrazione e univocità di visioni; sul brand, i cui asset intangibili si rinnovano e si ridiscutono in base agli esiti del dialogo tra le parti (basti pensare all’importanza strategica odierna della sostenibilità ambientale come valore aggiunto ineludibile); sul cliente, il quale, oltre che potere (di arricchire o di demolire la reputazione della marca), acquista consapevolezza e pretende dall’esperienza di prodotto/servizio un’etica che gli si addica, scrive e co-costruisce il racconto di marca.

Allorché si è affrontato l’argomento del web storytelling si è palesato il parallelismo che percorre un po’ tutto l’elaborato tra marketing da una parte, e teoria della comunicazione dall’altra.

Gli schemi della semiotica ci hanno aiutato ad illuminare la direzione “invertising”236 del nuovo storytelling.

Anche qui convergono elementi di coerenza e al contempo di discontinuità rispetto alla narrazione pubblicitaria tradizionale. La non linearità dell’ipertesto, la multimedialità e l’interattività delle “autocomunicazioni”237 di massa hanno messo in discussione la certezza che si potesse parlare di racconto.

La presenza di miti e archetipi ben congegnati anche nelle storie polifoniche e scritte a più mani dei SM ha fugato ogni dubbio in merito. Le simulazioni di realtà che affollano la comunicazione online e offline sono a tutti gli effetti racconti e ci confermano che l’uomo continua ad essere un “animale narrativo”238.

Le neuroscienze ci dicono che quando si vive o si racconta (quindi si simula) qualcosa si attivano le stesse aree cerebrali. Una buona storia è capace di accendere l’empatia (oltre che i neuroni a specchio) e di porre le basi dell’engagement: un ulteriore monito, se ce ne fosse bisogno, per le imprese, chiamate a produrre e guidare conversazioni rilevanti per i suoi interlocutori.

236 Iabichino P., “Invertising”. Ovvero, se la pubblicità cambia il suo senso di marcia, Guerrini e Associati, Milano, 2009.

237 Castells M., The Rise of the Network Society: The Information Age: Economy, Society, and Culture, Volume 1, Wiley-Blackwell, 2010 (seconda ed.).

238 Gottschall J., L’stinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Bollati Boringhieri, Torino, 2014. Op. cit. in Iabichino P., Verba volant. Un nuovo alfabeto per scrivere (e leggere) la pubblicità di oggi, Codice Edizioni, Torino, 2017. Versione ePub. “S. Storie”.

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Infine, la strategia e la pianificazione. L’eccezionale incontro sui SM tra gli attori coinvolti su cosa è la marca e cosa può dare all’utente è il frutto di quella che abbiamo definito la “sistematizzazione dell’incanto”, l’identificazione degli obiettivi e degli step necessari per far funzionare la negoziazione di storie e significati.

Se un’impresa vuole che la sua comunicazione sia realmente trasformativa, che alla call to action segua una risposta non solo in termini di numeri e vendite, ma anche di immagine e fidelizzazione, deve predisporre razionalmente “gli spazi di appropriazione” dell’utente. A patto che il SMM si faccia “existential marketing”239, che sappia ascoltare, mediare, “non solo dire, ma anche dare”240.

In conclusione, la portata rivoluzionaria della nuova filosofia della comunicazione non è il prodotto consequenziale dei SM, visti come nuovo medium e mera trovata tecnologica. Nelle piattaforme social passiamo in media due ore al giorno, quasi il 17% delle nostre vite241. Hanno contribuito a ridisegnare i

piani, ma perché ne hanno messo in luce la vera natura. Quella per cui se vogliamo esserci è impossibile non comunicare.

239 Gnasso S., Iabichino P., Existential Marketing. I consumatori comprano, gli individui scelgono, Hoepli, Milano, 2014.

240 Prefazione di Iabichino P. “Siamo tutti storyteller, con le storie degli altri” a Fontana A., Storytelling d’impresa: la guida definitiva, Hoepli, Milano, 2016. Versione ePub.

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ABSTRACT

The starting point of the thesis is my work experience in San Francesco 67, a small clothes and accessories store for women in Pisa. Although it is a fast-fashion company, the management has given great importance to the use of social media channels to promote the brand. Why does a small business need to communicate on Social Media? What does business communication mean in the web 2.0 age? What are the implications of their centrality, as well as in the life cycle of a company, in the consumer experience? Is it the pervasiveness of Social Media that has given rise to the net change in the direction of messages, or rather, of brand stories?

The analysis tries to answer to these questions in three chapters: respectively, about business communication and the communication mix that each company prepares with its stakeholders; the narrative schemes of a story co-produced by the company and consumers, like a tool for reading a complex and multifaceted reality; on the planning that a social media management should prepare, as a precise and measurable path with stages that move from premises to strategic objectives. The paper concludes with an analysis of the presence of San Francesco 67 on Instagram: starting from the history of the store, we tried to highlight its strengths and the possible margins for improvement of the concrete use that the brand makes of Social Media. The leitmotif of the thesis is the co-presence of a literature focused on marketing and another one more related to the assumptions of semiotics and communication theory.

In the first chapter we have outlined the most conspicuous consequences of the advent of web 2.0: technological and cultural convergence; the power of collective intelligence and "mass self- communication"; the multi-directionality of 2.0 messages; the declinations of Marketing in relation to the web (up to today's U-marketing or ubiquitous marketing); big data and legislation for digital human rights. We then focused on the theories of corporate organization related to integrated communication and marketing mix, demonstrating how the approaches to a horizontal dialogue precede the online conversations of the company on/with Social Media.

In the second chapter we started from storytelling theories to identify recurring story patterns even in the stories that populate digital networks. Companies and citizen advertising write brand stories which are very different from narrative ones and from broadcast advertising ones: the intertextual non-linearity and the interactivity of the user generated content are the peculiar traits of storytelling 2.0. However, the use of the

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"Semiocreen" by Joseph Sassoon shows us that the narrative simulation explains the success of many brand stories widely (and emotionally) participated and shared on Social Media, as well as the centrality of content (content marketing).

Finally, the third chapter tries to give concrete contours to the symbolic and elusive matter of brand narrative, proposing some possibilities of analysis (Social Media Listening), of strategic definition of objectives, of concrete action, therefore, of measurement.

The San Francesco 67 case study, finally, opens a discussion on the tools that Instagram offers to the company that wants to use it not only as a virtual showcase, but as a meeting and listening place for the demands and needs of identification of their own public.

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