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CAPITOLO I ORIGINE ED EVOLUZIONE

3. Sulla configurabilità degli enti pubblic

3.2. L’«amministrazione per società»

Posto che lo Stato possa avvalersi delle società per azioni per perseguire interessi pubblici, ci si chiede se il fine per il quale le società sono istituite non finisca per influire sulla natura delle società stesse.

Negli studi richiamati nelle pagine precedenti si può verificare come la qualificazione delle società avvenga spesso ponendo attenzione al momento genetico: una società per azioni viene considerata ente pubblico se istituita per legge o se partecipata interamente da una pubblica amministrazione. In realtà le caratteristiche del momento genetico di una società pubblica

giustapposizione «pubblico» - «privato» ha pure assunto […] aspetti […] ideologici. Sotto questo profilo il dilatarsi del fenomeno della società per azioni con partecipazione pubblica, in quanto considerata come una delle figure ormai consolidate di impresa pubblica, è sembrato segnare una manifestazione del «primato del pubblico» […]. Ma nel contempo quel fenomeno ha portato con sé la necessaria penetrazione del privato nel cuore del sistema amministrativo dei pubblici poteri, e quindi ad una manifestazione della «privatizzazione del pubblico», che è andata pertanto a combinarsi, secondo forme in continua rielaborazione, con l’altro processo di «pubblicizzazione del privato».

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Sul punto cfr. F.A.ROVERSI MONACO, Società con partecipazione minoritaria degli enti

locali e gestione dei servizi pubblici, in Studi in onore di Vittorio Ottaviano, I, Milano,

derivano dal fine che lo Stato mira a conseguire. Il fine è naturalmente l’interesse pubblico e le società pubbliche protendono al suo perseguimento. L’interesse pubblico, tuttavia, non è una categoria omogenea, perché esiste una varietà molto ampia di interessi pubblici.

Una classificazione delle società pubbliche potrebbe perciò essere fondata sul tipo di interesse pubblico che le società stesse sono chiamate a tutelare. Dall’analisi precedente possiamo distinguere due grandi classi di interessi pubblici che sono posti come obiettivi dell’azione delle società legali: da un lato, gli interessi economici, dall’altro, gli interessi pubblici non economici. Per difendere gli interessi pubblici economici in un mondo globalizzato e nel quadro del processo di integrazione europea l’ordinamento, in Italia e altrove, ha avuto bisogno di riconfigurare i poteri pubblici: dagli enti pubblici economici alle società per azioni con partecipazione pubblica, si pensi a Enel, Eni, Ferrovie dello Stato, Cassa Depositi e Prestiti.

Queste società non possono essere considerate enti pubblici in forma societaria, perché così strutturati non potrebbero sopravvivere in un contesto giuridico che cerca di contenere la presenza dello Stato nei diversi scenari economici. La partecipazione dello Stato, tuttavia, che si giustifica in virtù della stella polare dell’interesse economico, può comportare l’applicazione di una serie di istituti di diritto pubblico che rendono molto particolari le società in questione. Ciò che preme sottolineare è che, in ogni caso, con riferimento alle società partecipate che perseguono puri interessi economici, si rimane sempre nell’alveo della categoria generale delle società per azioni. Di conseguenza le società sopra menzionate possono essere necessariamente solo società e mai enti pubblici in forma societaria, sebbene società contraddistinte da tratti peculiari che impediscono una loro assimilazione al modulo societario descritto dal codice civile.

Discorso diverso vale invece per le società pubbliche, molte delle quali costituite ex novo o derivanti dalla trasformazione di precedente aziende autonome, che sono poste a tutela di interessi non solo o non propriamente economici. Queste società possono essere senza dubbio considerate degli enti pubblici in veste societaria, perché le funzioni che svolgono sono

funzioni pubbliche. Rientrano in questa categoria, tra le società prima esaminate, l’Anas, l’Enav, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Poste Italiane, Agecontrol, Arcus, Coni Servizi, Consip, Equitalia, Italia Lavoro e Patrimonio dello Stato. Si tratta di società che svolgono funzioni pubbliche che presentano poche connessioni con interessi economici: si pensi all’assistenza al volo, alla produzione di carte valori, alla tutela dei beni culturali, al controllo dei finanziamenti europei all’agricoltura, ecc.

Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, quale sia la ragione che ha spinto lo Stato a sostituire alle amministrazioni pubbliche vere e proprie queste amministrazioni in forma societaria. La risposta probabilmente deve essere ricercata in una convinzione tradizionale, che in questa sede non interessa sindacare, ma che ha certamente influenzato quella che si potrebbe definire una «amministrazione per società», la stessa convinzione che in passato ha giustificato l’«amministrazione per enti». L’orientamento in questione ritiene che «il diritto amministrativo sia costitutivamente burocratico, in contrasto con la “semplicità” delle regole privatistiche. Vincoli e controlli pubblicistici appaiono così destinati ad impedire all’amministrazione il raggiungimento dei propri obiettivi, in tempi rapidi e con costi ridotti», sorge pertanto una «grande dicotomia [...] vincoli burocratici del diritto amministrativo – flessibilità del diritto privato»85.

Se si è tentata una “fuga dallo Stato”, tale fuga, evidentemente, non è riuscita, dato che tali società, in virtù delle funzioni prettamente pubbliche e amministrative che svolgono, rientrano oggi, più o meno pacificamente, nei confini delle pubbliche amministrazioni.

Nei prossimi due capitoli il fuoco della trattazione si sposterà, pertanto, sull’applicabilità di istituti pubblicistici nei confronti delle varie società pubbliche, sia quelle con gestione imprenditoriale, sia quelle con natura giuridica pubblica. Si rinvia invece all’ultimo capitolo per trarre le conclusioni su che cosa sia diventata oggi la pubblica amministrazione.

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È l’analisi di G. NAPOLITANO, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2003, p. 48, che spiega come tale orientamento si sia venuto consolidando soprattutto nel mondo anglosassone.