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CAPITOLO II – L’ORGANIZZAZIONE DELLE

2. Il sistema dei controlli sulle società

3.5. Osservazioni conclusive sulla responsabilità

L’attuale regime della responsabilità degli amministratori delle società pubbliche può essere dunque riassunto e schematizzato nel modo seguente: 1) nelle società a partecipazione pubblica con azioni quotate nei mercati regolamentati, se la partecipazione è inferiore alla metà, allora in ordine alla responsabilità per danno cagionato alla società si applicano la disciplina del codice civile e la conseguente giurisdizione del giudice ordinario;

2) nelle società quotate con una partecipazione pubblica superiore alla metà e nelle società non quotate con una qualsiasi quota di partecipazione pubblica, nell’ipotesi di un danno subito dalla società, agli amministratori si applica la disciplina della responsabilità sociale, con relativa giurisdizione del giudice ordinario, mentre la responsabilità amministrativa, con annessa giurisdizione contabile, può sussistere solo in capo al socio pubblico che non abbia fatto valere la responsabilità degli amministratori con gli appositi strumenti civilistici, perché solo in capo al socio pubblico è ravvisabile un rapporto di servizio con l’amministrazione pubblica;

3) qualora sia cagionato un danno da parte degli amministratori delle società a partecipazione pubblica non nei confronti delle società medesime, bensì nei confronti dell’amministrazione pubblica azionista, sorge responsabilità erariale in capo agli amministratori con giurisdizione della Corte dei Conti,

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Ad ulteriore conferma dell’orientamento inaugurato dalla Cassazione cfr. Cass. Civ., Sez. Un., sent. 3 marzo 2012, n. 3692, in Foro amm. – CDS, 2012, pp. 1496 ss., con nota di G.F.NICODEMO, Società pubbliche e responsabilità amministrativa: le Sezioni Unite della

come nella già richiamata ipotesi del danno all’immagine del socio pubblico;

3) una disciplina diversa trova applicazione nei confronti di quelle società per azioni che, nonostante la forma giuridica privatistica, abbiano una natura sostanzialmente pubblica, perché partecipate interamente dallo Stato o perché esercenti delle vere e proprie funzioni amministrative. Il danno cagionato a queste società dagli organi sociali o dagli agenti degli enti pubblici azionisti dovrebbe essere qualificato come erariale, con automatica applicazione della disciplina della responsabilità amministrativa e della giurisdizione della Corte dei Conti213.

Infatti la società pubblica che opera in un ambiente concorrenziale e svolge attività di mercato risulta essere un soggetto terzo che si pone come schermo tra l’amministratore e l’ente pubblico socio, in modo tale che tra i due soggetti non si venga a costituire nessun rapporto di servizio; ma, nell’ipotesi in cui la società non sia un soggetto dotato di propria autonomia giuridica rispetto all’ente pubblico, tra l’amministratore e il socio pubblico si instaura un vero e proprio rapporto di delegazione interorganico, che giustifica l’emersione della responsabilità erariale214.

Questa ultima disciplina sarebbe suscettibile di applicazione anche nei confronti delle società in house, ossia di quelle società interamente partecipate da un socio pubblico, sulle quali l’ente o gli enti pubblici titolari delle partecipazioni esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi215. In pratica, nell’ipotesi di società in house, si è di fronte non

213 Cfr. Cass. Civ., Sez. Un., sent. 22 dicembre 2009 n. 27092, in Foro amm. – CdS, 2010, n. 1, pp. 67 ss.

214 In tal senso si esprime Corte Conti, Sez. III, sent. 7 agosto, 2013, n. 549. Per un commento alla sentenza v. M. MACCHIA, Gli amministratori di società pubbliche e il danno

erariale, in Giorn. dir. amm., 2014, n. 4, pp. 381 ss.

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Questo è l’orientamento prevalente sia nella giurisprudenza della Cassazione sia in quella della Corte dei Conti. Al riguardo cfr. Corte Conti, sez. giur. Reg. Lazio, sent. 23 febbraio 2011, n. 327; Corte Conti, sez. giur. Reg. Lazio, sent. 24 febbraio 2011, n. 339; Corte Conti, sez. giur. Reg. Marche, sent. 15 luglio 2013, n. 80; Cass. Civ., Sez. Un., sent. 25 novembre 2013, n. 26283.

ad un soggetto distinto dall’ente pubblico, bensì ad una mera articolazione interna dell’ente, perciò non sussisterebbe alcuna distinzione tra i patrimoni dell’ente pubblico socio e della società e gli amministratori delle società sarebbero veri e propri organi dell’ente, ad esso legati da un normale rapporto di servizio216.

L’intera materia della responsabilità degli amministratori delle società di capitali a partecipazione pubblica, che si è tentato di descrivere nelle sue linee e direttrici fondamentali, impone delle riflessioni conclusive, degli spunti che necessariamente si proiettano nel futuro con l’ottimismo della volontà, ma con il pessimismo della ragione.

La prima perplessità riguarda l’inerzia del legislatore nella regolamentazione delle società pubbliche nel loro complesso. L’incertezza circa la disciplina della responsabilità applicabile agli organi delle società a partecipazione pubblica deriva dall’assenza di una disciplina legislativa organica in materia, dalla mancanza di una visione di insieme del fenomeno delle società pubbliche, a fronte delle rilevanti dimensioni assunte dallo stesso. Si potrebbe sostenere che il legislatore, in realtà, abbia scelto di non scegliere, abbia cioè deliberatamente deciso di non ordinare la materia e di procedere con interventi settoriali e specifici. Questi interventi, tuttavia, anziché fornire gli strumenti per risolvere problemi non hanno fatto altro che aggiungere dubbi e sollevare perplessità, come nel caso dell’unica disposizione riguardante la responsabilità degli amministratori pubblici,

216 In senso fortemente critico rispetto alla lettura data dalla giurisprudenza della Cassazione alla responsabilità degli amministratori delle società in house si segnala S. DEL GATTO, Le società pubbliche e le norme di diritto privato, in Giorn. dir. amm., 2014, n. 5, pp. 489 ss., secondo la quale la disciplina delle società in house è funzionale esclusivamente alla non applicazione delle procedure ad evidenza pubblica qualora una pubblica amministrazione, nella scelta tra l’esternalizzazione di compiti o funzioni e l’autoproduzione di beni o servizi, opti per quest’ultima, con l’ulteriore vincolo che le prestazioni così realizzate siano destinate in via esclusiva all’ente pubblico di riferimento. L’immedesimazione della società nell’ente rileverebbe solo a questi fini e non potrebbe essere utilizzata per ulteriori qualificazioni giuridiche, né per considerare inesistente la separazione tra il socio e l’ente o per annullare la distinzione tra i rispettivi patrimoni.

contenuta, come spiegato in precedenza, in un “milleproroghe”, che non è certamente lo strumento principe per alcun tipo di politica che abbia la pretesa di essere lungimirante, men che meno per una politica del diritto o, più nello specifico, del diritto pubblico dell’economia217

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La latitanza del legislatore è poi all’origine della travagliata opera di supplenza giurisprudenziale, tanto della Cassazione quanto della Corte dei Conti, relativa alla responsabilità degli amministratori pubblici, ricostruzione che inevitabilmente è stata condotta con un incedere fluido e magmatico, con una stratificazione incessante di orientamenti più o meno consolidati, con una serie continua di ripensamenti e di mutamenti nella qualificazione giuridica e nei presupposti della stessa che sicuramente non hanno giovato alla certezza del diritto, ossia all’ingrediente di base necessario per favorire il successo di qualsiasi tipo di società, comprese quelle a partecipazione pubblica.

Il risultato dell’inazione del legislatore, tutt’altro che imprevedibile, ma certamente non casuale, ha condotto ad una mosaico estremamente frammentato, nel quale sistemare ciascun tassello è diventata ardua impresa. I punti fermi ai quali sono giunte giurisprudenza e dottrina, che in alcuni casi possono essere molto convincenti, non rappresentano tuttavia quella soddisfacente risposta che la comunità dei consociati attende in materia di società pubbliche, in generale, e di responsabilità degli organi delle società medesime, in particolare. A tal proposito, basti solo porre attenzione al fenomeno, poco sopra richiamato, delle società in house e delle società- pubbliche amministrazioni. Per capire se si tratti di società che operano in pieno regime di concorrenza o se si tratti di società sostanzialmente pubbliche amministrazioni, occorre procedere ad una analisi caso per caso: poiché le società pubbliche attualmente censite sono quasi ottomila, è

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Per una dura critica allo strumento del “milleproroghe”, proprio in riferimento alla disposizione in questione, si rinvia a M. A. SANDULLI, L’art. 16 bis del decreto

milleproroghe sulla responsabilità degli amministratori e dipendenti della s.p.a. pubbliche: restrizione o ampliamento della giurisdizione della Corte dei Conti? (Ovvero: l’effetto perverso delle norme last minute), op. cit.

superfluo osservare come un’analisi di tal genere si ponga come uno sforzo titanico. Uno sforzo non impossibile, ma che forse si potrebbe evitare nel momento in cui il legislatore deciderà di porre termine alla propria contumacia.