• Non ci sono risultati.

Le analisi dei dati in SLA: una prospettiva fonologica

Si è asserito in precedenza come la maggior parte delle teorie acquisizionali siano nate preminentemente allo scopo di indagare l’acquisizione del linguaggio o di una lingua materna; tuttavia, l’estensione a modelli e teorie adattabili allo studio dell’acquisizione di una seconda lingua o una lingua straniera, ha fatto sì che potessero sorgere vari metodi e altrettante teorie indirizzate all’analisi concreta di lingue a confronto, allo scopo di descrivere e prevedere i comportamenti intralinguistici ed interlinguistici degli apprendenti.

161 Il progetto Zweitsprachenwerb Italienischer und Spanischer Arbeiter (ZISA) nacque presso

l’Università di Amburgo negli anni ’70 con lo scopo di indagare, attraverso uno studio longitudinale, l’evoluzione linguistica di apprendenti precoci e tardivi del tedesco L2, immigrati di origine italiana e spagnola. Il progetto nasceva con fini didattici ed ebbe ripercussioni soprattutto nelle classi di tedesco frequentate da alunni di madrelingua straniera.

83

Sull’eco delle teorie comportamentiste, le prime ipotesi relative al comportamento linguistico nell’acquisizione di una lingua seconda vengono in questo contesto formulate da Lado, tramite la nota teoria dell’analisi contrastiva (contrastive analysis, CA, 1957), secondo la quale un confronto sistematico fra le lingue di riferimento può portare a prevedere quali siano le strutture che verranno apprese più velocemente e quelle che risulteranno più difficoltose. Lado introduce il concetto di transfer linguistico: sulla base di elementi convergenti o divergenti fra lingue, il transfer sarà positivo quando strutture e regole della L1 si sostituiranno funzionalmente a quelle riconosciute come equivalenti o simili nella L2; sarà negativo quando tale trasferimento di strutture risulti inappropriato o scorretto per quel contesto nella lingua d’arrivo (si spiega in questo modo il concetto interferenza)163. Dunque, lingue e

fenomeni linguistici dissimili saranno più complesse da acquisire, ma allo stesso tempo subiranno meno fenomeni di interferenza (Weinreich, 1953; Torrey, 1971164). L’approccio è applicato indistintamente a tutti i livelli linguistici, dalla fonologia alle strutture sintattiche, ma il suo grande limite è quello di formulare ipotesi puramente descrittive, prive di alcun fondamento empirico o sperimentale. Un raffronto puramente teorico tra sistemi fonologici può essere, ad esempio, il giusto punto di partenza per uno studio cross-linguistico, ma deve necessariamente essere affiancato e supportato da dati sperimentali su percezione e produzioni concrete. Un primo passo in questa direzione è mosso attraverso l’analisi degli errori165: analisi su produzioni reali di apprendenti di diverse L2 sfatarono molte premesse teoriche immaginate dagli approcci contrastivi e incoraggiarono ad incrementare le indagini in quest’ambito, con l’idea che comprendere il tipo di errori166 compiuti dai neo-parlanti e riuscire a risalirne

163 Naturalmente questo principio è valido a tutti i livelli linguistici, ivi incluso quello

fonetico/fonologico. Da questo punto di vista, l’analisi contrastiva prevede che suoni simili fra L1 e L2 siano quelli più semplici da acquisire poiché equivalenti alle categorie fonologiche native; di contro, suoni molto divergenti verranno acquisiti con maggiori difficoltà. Questa ipotesi verrà confutata molto presto.

164 In Larsen-Freeman, Long (2014).

165 Le prime analisi risalgono agli anni ’80 e furono svolte rispettivmente da Corder e Selinker. 166 Si deve a Corder (1967, cit. in Saville-Troike, 2006), ad esempio, la prima distinzione tra error e mistake: un error è un errore che riguarda la competenza (competence, in termini chomskyani) del parlante, indice di una struttura o una regola non pienamente interiorizzate; il mistake è un errore di forma (riguarda l’esecuzione, o performance), non funzionali e quindi trascurabili ai fini dell’indagine acquisizionale, poiché frutto di lapsus o distrazione, non informativi sui livelli di competenza linguistica del parlante.

84

le cause potesse condurre a formulare nuove ipotesi sul comportamento acquisizionale di una L2, col supporto di dati oggettivi concreti: gli errori classificati da Corder come di semplificazione, riduzione o ipergeneralizzazione, forniscono inoltre una chiave di lettura delle strategie di ricostruzione del nuovo codice adoperate dai parlanti. Sulla base di questo tipo di analisi, Odlin (1989)167 identifica i possibili errori causati da fenomeni di transfer a livello segmentale, sulla base delle proprietà fonologiche, fonetiche e distribuzionali di ciascun suono: errori fonemici riguardano la sostituzione sistematica di suoni della L2, assenti nell’inventario fonologico della L1, con quelli giudicati più simili; gli errori fonetici vengono invece prodotti nei casi di equivalenza cross-linguistica a livello fonemico, ma non fonetico (la produzione di qualsiasi suono è linguo-specifica); gli errori allofonici o distribuzionali sono attribuibili ai casi di mancata contestualizzazione di una variante, o all’attribuzione del valore combinatorio assunto, nello stesso contesto, da varianti della lingua nativa168. Gli errori sarebbero dunque riprova di un sistema linguistico in formazione, che contempla possibili interferenze procurate dalla lingua d’origine e un continuo rimando alle L1 e L2 di riferimento. Tali consapevolezze danno il via a nuovi criteri di indagine, che identificano nel processo di acquisizione una componente creativa, messa in gioco esclusivamente dall’apprendente. Nascono in questo fervente clima di studi le prime teorie sull’interlingua169.

Fonologia dell’interlingua

La prima accezione attribuita al termine ‘interlingua’ fa riferimento al sistema linguistico di apprendenti adulti, durante il processo di acquisizione di una lingua target170, un sistema che non si configura come un compromesso fra L1 e L2,

167 In Keys (2001).

168 L’utilizzo, tipicamente italiano, di [f] come realizzazione del fonema inglese /θ/ è un esempio di

errore fonemico; un parlante nativo di inglese tenderà a trasferire l’aspirazione dei suoni occlusivi sordi in inizio di parola, anche in lingue in cui non è presente tale variante (errore allofonico). Per un excursus sulle ricerche relative ai fenomeni di sostituzione e transfer in L2, si rimanda a Zampini (2008).

169 In quegli stessi anni Selinker (1972) elabora la nozione di “interlingua” […]. Con gli articoli di

Corder e Selinker finisce la storia e inizia la ricerca contemporanea» (Pallotti, 2003:20).

170 Corder (1967) definì questo sistema ‘dialetto idiosincratico’ o ‘competenza transitoria’ (transitional competence); Nemser (1971) parlò invece di ‘sistema approssimativo’ (approximative system); tuttavia la definizione unanimemente accettata fu proprio quella di ‘interlingua’ (interlanguage) di Selinker

85

prendendo spunti da parte dell’una o dell’altra grammatica, ma che risulta dal processo creativo dell’apprendente, in grado di elaborare ipotesi e deduzioni sulla base di quanto acquisito tappa per tappa171. È, pertanto, un sistema autonomo in transizione e in continua modifica, differente da qualsiasi altro tipo di sistema linguistico ‘embrionale’. Una delle caratteristiche salienti dell’interlingua è la possibilità di giungere a una fossilizzazione del sistema: la letteratura è intrisa, ad esempio, di riferimenti alla presunta impossibilità di acquisire totalmente la competenza fonologica di una L2 in età adulta (Brown, 2000; Major, 2001, 2014; Escudero, 2007), senza lasciar trasparire un accento straniero, ma riconosce altresì la capacità di raggiungere competenze ottimali su tutti gli altri livelli linguistici.

Una prima distinzione da fare riguarda il sistema interlingua rispetto ai sistemi

pidginizzati, laddove questi ultimi si configurano come sistemi a sé stanti, funzionali

in limitati aspetti comunicativi, che vanno incontro ad un sorta di fossilizzazione voluta, causata da forze sociolinguistiche, non auspicando al raggiungimento della lingua target, bensì alla preservazione di un’identità linguistica, di cui si è in parte discusso in precedenza172.

In più, sebbene si sia tentato di applicare la stessa etichetta di ‘interlingua’ ai primi stadi di acquisizione della lingua materna173, è chiaro che quest’ultima non possa giungere (in condizioni di acquisizione normali e non inficiate da deficit cognitivi) ad un arresto nell’evoluzione (la suddetta fossilizzazione), in quanto, per definizione, la lingua materna è il sistema linguistico padroneggiato dai parlanti nativi in tutti i suoi aspetti a livelli eccellenti. Vi è però un’ulteriore accezione del termine interlingua, quella considerata da Tarone, che la concepisce non tanto come un sistema autonomo e differente, sia dalla L1 che dalla L2 di riferimento, quanto piuttosto come una varietà della lingua d’arrivo (Tarone, 2006; Mori, 2007). Questo approccio giustificherebbe

(1972). Per uno studio approfondito sulle evoluzioni e il concetto attuale di interlingua si rimanda a Ellis (1994, 2003), Eubank, Selinker & Sharwood Smith (1995), Keys (2001), Tarone (1994, 2006).

171 In realtà ci sono molte più definizioni di interlingua, anche contraddittorie, per certi versi: Major

(2001, 2014), ad esempio, definisce l’interlingua come il prodotto nato dalla combinazione di elementi della L1, elementi della L2 e universali linguistici.

172 Si rimanda ai riferimenti contenuti al §. 3.2.1.2.

173 Si deve a Tarone (op. cit.); in quest’ottica le interlingue sarebbero percepite come lingue naturali,

86

qualsiasi analisi svolta in funzione di una L2 di riferimento, ed è, di fatti quanto sarà preso in considerazione in questo lavoro.

I diversi approcci teorici sono però unanimi nel considerare i fattori che possono contribuire ad una fase di blocco nel processo di sviluppo, che subentrerebbe, a priori, in tutti gli apprendenti i cui primi contatti con la lingua risalgano al periodo post- pubertà174. Pertanto, si è soliti spiegare la fossilizzazione in termini di abitudini

psicolinguistiche (Keys, 2001) e fattori culturali (Tarone, 2006), considerando gli effetti apportati dal transfer della lingua materna, i fenomeni di ipergeneralizzazione delle strutture e le strategie comunicative degli apprendenti.

L’esistenza di nuovi sistemi linguistici, costituiti dalle interlingue, mette in campo ulteriori metodi di analisi volti ad indagare su ciascun distinto livello nella sua forma evolutiva e linguo-specifica, dalla morfologia alla sintassi, al lessico e la fonologia; ad oggi, il livello che pone maggiori interrogativi rimane quello fonologico, la cui acquisizione ottimale preclude la capacità di riprodurre segmenti esattamente simili a quelli realizzati con una pronuncia nativa.

Sarà certamente capitato a molti di conoscere o avere a che fare, anche solo per il tempo di una breve conversazione, una persona straniera, trasferita in Italia da magari molti anni, che padroneggia egregiamente la lingua italiana in tutti i suoi aspetti, usa correttamente tutti i tempi verbali (magari anche meglio di tanti italiani nativi), è capace di utilizzare espressioni idiomatiche calzanti e adopera un lessico forbito, tuttavia, tradisce un leggero accento straniero. In letteratura questo è conosciuto come

fenomeno di Joseph Conrad175 e giustifica in parte la difficoltà, riscontrata dagli

apprendenti di una lingua seconda, di riuscire a destreggiarsi perfettamente con i suoni di quella lingua e a raggiungere una competenza fonologica ottimale. In realtà questa intuizione risale già a Romaine (1984), il quale pur non facendo espressamente riferimento a fattori legati all’acquisizione linguistica, bensì alla permeabilità dei livelli di un sistema, costruì una scala di potere del parlante, nella quale la fonetica si

174 Tarone (1994, 2006) rimanda al concetto generativista di LAD, la cui funzionalità verrebbe inficiata

dall’incremento dell’età.

175 Il riferimento è a Scovel, che per primo utilizzò questa espressione, come esempio lampante di

fossilizzazione fonologica: Joseph Conrad, fu autore di alcune delle più grandi opere di narrativa inglese del XX secolo, tuttavia, nonostante la competenza impeccabile in lingua inglese, il suo forte accento non celò mai le proprie origini polacche.

87

inseriva all’ultimo gradino dei livelli linguistici, di cui il parlante ha maggiore

controllo e maggiore consapevolezza

(pragmatica>semantica>sintassi>fonologia>fonetica). In effetti, l’acquisizione del sistema fonetico e fonologico di una lingua seconda, in età adulta, è ad oggi considerato il processo più difficoltoso per un apprendente. Per riuscire a spiegare un tale meccanismo, si è spesso ricorso, come riscontrato in precedenza, all’analisi degli stessi processi che avvengono nella lingua materna di un parlante, per verificare se questi potessero essere applicati in ambedue i contesti. È importante, tuttavia, sottolineare le dovute divergenze alla base dei due meccanismi: innanzi tutto, l’acquisizione della lingua materna inizia nell’infanzia e non implica nessuna conoscenza pregressa; è quindi un processo lento e continuo, che favorisce l’acquisizione fonologica molto prima di quella morfologica e sintattica. L’adulto che si avvicina all’acquisizione di una nuova lingua ha già un ‘sostrato’ linguistico di base (molto spesso causa di interferenze e intromissioni176), che, se per alcuni versi lo avvantaggia nell’acquisizione di strutture più complesse, elaborate da un sistema cognitivo già maturo, per altre, come appunto la fonetica e la fonologia, risulta quasi un ostacolo, dal momento che l’evoluzione fonologica è già sintonizzata su un sistema specifico, a partire dai primissimi mesi di vita177.

Un assioma che, tuttavia, accomuna i due tipi di acquisizione, riguarda l’importanza cardine rivestita dai processi di percezione dei suoni linguistici: solo ciò che è percepito può essere acquisito, e solo quanto acquisito e interiorizzato può essere riprodotto consapevolmente.

Il contributo delle teorie fonologiche all’analisi dell’interlingua

Nel corso degli anni, gli approcci strutturalisti, legati alle prime analisi fonologiche di tipo contrastivo, iniziano a essere ritenuti non sufficientemente validi al fine di spiegare gli effettivi processi responsabili dell’acquisizione fonologica e dei fenomeni di interferenza. La convinzione incalzante che le singole teorie acquisizionali non

176 Si ricordi la nozione di filtro fonologico esercitato dalla lingua materna, proposta da Trubeckoj (1939,

1971).

88

bastino, di per sé, a comprendere a pieno tali processi, induce a soffermarsi sull’importanza rivestita dalle teorie linguistiche al livello fonologico. In prospettiva strutturalista, la competenza fonologica, di una L1 come di una lingua straniera, è innanzi tutto fondata sulle rappresentazioni costruite su unità fonologiche astratte178, non di accesso immediato e, dunque, edificate in modo graduale dall’apprendente. Alla base dei processi di acquisizione, i fonemi sarebbero effettivamente le unità minime percepite. La percezione linguistica è, tuttavia, innescata in prima istanza da suoni, produzioni acustiche concrete, il che fece intuire che la competenza fonologica non potesse fare unico affidamento su rappresentazioni astratte, ma dovesse dipendere da unità minime differenti e caratterizzanti per tutte le lingue. La fonologia generativa offre una visione basata sull’esistenza di entità sub-fonemiche, appunto i tratti, legati a caratteristiche acustiche e articolatorie del suono179, assunti in prospettiva

acquisizionale come vere unità organizzative nella competenza degli apprendenti, nonché responsabili concreti dei fenomeni di interferenza180. Di stampo generativista, la teoria della Feature Geometry181 associa a ciascuna rappresentazione fonemica una

gerarchia di elementi costituenti univoci, condizionati da relazioni di dipendenza e costituenza e contenuti nella componente fonologica della grammatica universale. Sulla base degli inventari fonologici linguo-specifici, la teoria stabilisce che le rappresentazioni si vengano a realizzare per meccanismi di contrasto fra suoni funzionali, per cui, seppure ogni parlante si sintonizzi su costituenti specifici della propria lingua, è comunque in grado di desumere le possibili opposizioni linguistiche presenti in lingue non note. Il riconoscimento di categorie fonemiche è perciò subordinato all’organizzazione di caratteristiche distintive gerarchizzate182.

Analogamente, la fonologia articolatoria183 identifica delle unità mentali pre- linguistiche, costituite ancor prima della definizione di uno specifico sistema fonologico, definite dai gesti articolatori (gestures) coinvolti nella produzione, e i livelli di costrizione, creati dagli stessi, nel canale buccale. I gestures sarebbero, così,

178 Si rimanda al § 2.3. 179 Chomsky, Halle (1968). 180 White (2007).

181 Cfr. Brown (2000).

182 Cfr. Brown (op.cit.), Escudero (2007).

89

i precursori dell’idea di fonema, progressivamente associati, nell’apprendimento della lingua da parte del bambino, a unità rappresentative astratte184. La teoria articolatoria è supportata dai dati acquisizionali sulle lingue materne: nel babbling, il bambino mette in atto processi di produzione, entrando in contatto con le parti della bocca, necessarie a produrre i suoni; dal momento che le prime produzioni riflettono sequenze riconosciute nell’input, ne consegue che l’organizzazione delle future rappresentazioni fonologiche dipenda, in qualche modo, dai gesti articolatori compiuti per ciascun suono185. La costruzione di un nuovo sistema fonologico è improntata sulle stesse unità parametriche universali. L’implicazione di parametri stabili legati alla produzione del suono, giustifica altresì la capacità di prescindere dalla variabilità interna a ciascuna lingua: «if we only heard phonemic differences and differences in distintive features, we would not be nearly so proficient at detecting and identifying foreign accents»186;

teorie fonologiche come quella funzionale (functional phonology187) si ergono proprio sull’interdipendenza e la connessione diretta fra processi percettivi e organizzazione fonologica del parlato, per cui i principi legati alla percezione e la produzione linguistica (principi del minimo sforzo, di economia, di percezione categoriale, per citarne alcuni) sarebbero in qualche modo i constraints delle strutture fonologiche alla base di ogni lingua.

Ad ogni modo, l’acquisizione seguirebbe dei processi di sviluppo fonologico naturale e, in tale chiave, in una lingua seconda o straniera si assisterebbe a una serie di soppressioni di processi noti (nativi), al pari di quanto avviene nello sviluppo fonologico del bambino (natural phonology188), in accordo alla teoria dell’ottimalità (optimality theory, OT), che prevede un riadattamento dei sistemi gerarchici di regole e costrizioni, determinate dagli universali formali189.

184 «Infants extract gestural information from speech events before they can appreciate the linguistic

significance of the gesture» (Goldstein e Fowler, 2003:30).

185 Sull’acquisizione fonologica di una lingua materna si rimanda a Ohala (2008). 186 Ard (1989:249).

187 Boersma (1998, cit. in Escudero, 2007). 188 Cfr. Major (2014).

189 L’optimality theory spiegherebbe, in accordo con quanto sostenuto da Zampini (2008) e Hancin-Batt

(2008), la ragione delle disparate strategie sostitutive attuate da parlanti di varie L1 in relazione agli stessi suoni della L2: la causa è da ricercare nelle diverse gerarchie delle costrizioni rilevanti, per cui

90