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Analisi dei documenti pubblicati dal Di Luccia

Carlo Bellotta

8. Analisi dei documenti pubblicati dal Di Luccia

Il Di Luccia nel suo “trattato historico-legale” raccolse la documentazione probatoria da presentare nel corso della disputa che vedeva contrapposti

22 L. Tancredi, op. cit., pp. 74-75.

23 A. Leone, Profili economici della Campania aragonese, Liguori editore, Napoli 1983, pp. 147-148.

24 L ’abate Teodoro in questione è Teodoro Gaza, il quale proprio nell’autunno del 1466 compilò gli Statuti di San Giovanni a Piro. In realtà il Gaza non era abate a tutti gli effetti, ma Procuratore del primo Abate Commendatore, il cardinale Bessarione.

Il monacheSimo basiliano nel Cilento. Il cenobio di S. Giovanni a Piro

FUniversitas di San Giovanni a Piro da una parte, il conte e il vescovo di Policastro dall’altra. Questi due “poteri forti” perpetrarono a lungo vessazioni e angherie di ogni tipo sulla popolazione sangiovannese che, stanca di questa situazione, si attivò per intraprendere la causa giudiziaria, affidando le sue ragioni all’avvocato Di Luccia.

A partire dal 1587, anno in cui il cenobio passò alle dipendenze della Cappella del SS. Presepe (Cappella Sistina), le terre che i Longobardi avevano concesso alla Chiesa furono sfruttate a danno della comunità religiosa e degli abitanti del Casale di San Giovanni. Emissari, chiamati “affittatori”, furono inviati dal conte o dal vescovo di Policastro con il compito di concedere le terre in questione in enfiteusi temporanea, con diritto di preferenza agli abitanti del luogo25.

Le prove prodotte vollero dimostrare i tentativi fatti dal conte di Policastro per usurpare la giurisdizione temporale e quelli fatti dal vescovo per usurpare quella spirituale. Inoltre attestano che il possesso del territorio di San Giovanni a Piro spettava alla Chiesa italo-greca per mezzo della concessione fatta dai re di Napoli e che il monastero era gestito dai padri basiliani. Il Di Luccia dimostra che i cittadini di San Giovanni non dovevano pagare tasse e gabelle ai conti o ai vescovi policastresi perché erano posti sotto la giurisdizione dell’abbazia basiliana, la quale era nella particolare condizione di “nullius diocesis”, cioè svincolata dal controllo di ogni diocesi.

Purtroppo non abbiamo notizie di una sentenza emessa per appianare la controversia, ma sappiamo che i problemi continuarono fino al 1789. In quell’anno, il 12 giugno, fu presentata una memoria scritta per la Cappella del SS. Presepe e presentata alla Reai Camera di Roma. Anche questo documento non riporta un verdetto definitivo riguardo la lite sorta nel territorio sangiovannese, ma si limita a ribadire che il possesso dell’abbazia basiliana di San Giovanni, insieme a quelle di San Leonardo a Salerno e di San Nicolò a Butramo, spettava alla Cappella del SS. Presepe, poiché i tre monasteri erano p rivi di qualunque

C onventualità, e F am iglia m onastica al tempo dell’elezione di Sisto V. Inoltre in

questa memoria si trova conferma della possibilità che l’ultimo Abate Commendatore di S. Giovanni non fu Girolamo De Vio; infatti si legge: l ’ultimo (abate) f u P ietro Vescovo G aetano.

I documenti disponibili per una corretta analisi storica possono essere esaminati seguendo quest’ordine cronologico, più adatto a comprendere il contenuto della documentazione probatoria riguardante la causa giudiziaria.

1294 - Nell’archivio della Cappella Sistina il Di Luccia trova gli atti di un

processo fatto nel sacro consiglio di Napoli in cui si legge che Carlo II affermò: “Castrum S. Ioannis ad Pirum esse monasterii S. Ionnias, et illius contemplatione

conceditur exemptio a functionibus fiscalibus stante dicti Castri depredatione ab hostibus”.

1320 - Il re Carlo II dà una commissione a favore dell’abate del monastero.

1340 - Re Ludovico scrive una lettera al conte di Policastro per l’assistenza

che bisognava dare all’abate del monastero, “padrone” del casale di San Giovanni.

1447 - Il Di Luccia presenta un documento in cui si dice che la “Terra di San

Giovanni a Piro” non appartiene alla città di Policastro.

1468 - Il Di Luccia ci informa che in quell’anno avvenne un giuram ento di

fe d e ltà fatto dai vassalli e dai cittadini all’abate di San Giovanni con il consenso

del re.

1484 - Donazione fatta dal conte di Policastro Antonello de Petrutiis al suo

terzogenito nella quale vengono delineati i confini di Policastro e di S. Giovanni. Inoltre è importante rilevare che il possesso del territorio di S. Giovanni è attribuito al monastero.

1489 - Il re Ferdinando I nomina l’abate Antonio esattore regio, incaricandolo

di riscuotere le rendite che spettavano ai baroni della provincia di Principato Citra. Il re aggiunge che la “Terra di San Giovanni” era sottoposta alla giurisdizione della Chiesa.

23 ottobre 1503 - Questo documento ci informa che un certo D opnus B asilius

fu accusato di aver avuto una relazione impura con “Caterina de Salamone”, moglie di “Masullo de Palma”, quest’ultimo legato da vincolo di parentela con don Basilio. Si legge che don Basilio la prese carnalmente e che stuprum , sive

adulterium , ac incestum com m isit in p luribus, & diversis locis. Poi è riportato

anche il nome del luogo in cui pare che avvenne la maggior parte degli abusi, la località detta Fallace. Infine il C apitaneus di San Giovanni a Piro concesse a don Basilio di essere difeso dalla “Curia”.

30 ottobre 1503 - In questo documento è riportata una deposizione fatta da

“Rendo de Sando”, il quale confermava le accuse mosse contro don Basilio Molino. Il testimone, alla presenza del C apitaneus Alfonso de Iardinis e dei presbiteri, conferma le avvenute violenze perpetrate ai danni di “Caterina de Salamone”, moglie di Masullo di Palma, ma specifica che la colpa di cui si è macchiato don Basilio è adulterio non incestù. Apprendiamo dalla testimonianza che la “Curia” concesse all’imputato il tempo per preparare una difesa da presentare entro 30 giorni.

21 luglio 1514 - Il Di Luccia ci dà notizia di un mandato fatto da don

Arcangelo Petrinis, Vicario dell’abbazia di San Giovanni a Piro, e inviato a don Girolamo Sursaja, Procuratore dell’abate. Il mandato ordinava al Sursaja di pagare il salario che spettava a cinque padri.

6 dicembre 1522 - Don Arcangelo de Petrinis formulò un mandato rivolto ai

Il monacheSimo hasiliano nel Cilento. Il cenobio di S. Giovanni a Piro

né di notte per non danneggiare il normale svolgimento delle consuete celebrazioni religiose e della pratica del culto.

28 marzo 1524 - Il Clericus Arcangelus de Petrinis, Vicario Generale

dell’abate Antonio Terracina, inviò a favore di Marco Molino un’istanza di pagamento di 20 carlini a don Girolamo Sursaja. Scorrendo il testo si trova anche la richiesta di pagare un certo “Mazzeo” per i servigi svolti a favore dell’abbazia durante il governo del Sursaja.

13 gennaio 1527 - Fu presentata una petitio a favore di d. Girolamo Sursaja e

contro Polidoro Palumbo, marito di “Caterina”, figlia del nobile Alfonso lardino. Quest’ultimo aveva venduto bona mobilia al Sursaja, il quale li aveva acquistati a nome dell’abate Antonio De Bacio. Alfonso lardino voleva che i beni in questione fossero restituiti a sua figlia.

6 marzo 1529 - Questo documento ci informa che Polidoro Palumbo aveva

intrapreso un’azione giudiziaria, riguardante il passaggio di proprietà di una casa, contro D. Familianum de Sergio. Dopo essere state riconosciute le lamentele del Palumbo D. Familianus fu condannato al pagamento delle spese relative all’azione giudiziaria. Poiché riteneva che le spese fossero troppo elevate, costui chiese che fossero moderate nel modo seguente: 3 tari per l’avvocato, 3 tari per il Vicario e 1 tari per la sentenza.

A questo documento ne segue un altro, sprovvisto di datazione. D Franciolinus de Sergio fu condannato al pagamento, entro un termine massimo, di 28 carlini e di una non specificata quantità di frumento, orzo e olio a favore di “Pietro Cinatempore”. Nel documento si apprende della richiesta, fatta a nome del

de Sergio, di proclamare nulla l’istanza di pagamento e di condannare “Pietro Cinatempore” al pagamento delle spese legali.

9 novembre 1533 - A questa data risale il processo istituito contro i Preti e

Suddiaconi di detta Terra. Il procedimento prese le mosse dalla denuncia fatta dal Vicario, il quale denunciò che durante la messa, nel momento della Consacrazione, mancava l’ostia.

1534 - In quest’anno si tenne un processo presieduto dal Vicario di San Giovanni a Piro, davanti al quale comparvero le due parti avverse. Apprendiamo che “Margherita Caferchia” chiese la restituzione di alcuni beni immobili {certa bona stabilia) a don Tommaso Pisano, il quale li aveva acquistati da “Ciancio Caferchia”, fratello di Margherita. La donna chiese che si procedesse all’invalidamento della compravendita, poiché questi beni immobili erano di sua proprietà, ricevuti in eredità da suo padre “Nicolaio Caferchia”. Margherita dichiarò di possedere, come documento probatorio di quanto affermava, il titolo di acquisto che avrebbe dimostrato l’avvenuto passaggio dei beni da Ciancio alla sorella. Il processo concesse a Ciancio, stabilitosi in Sicilia, un tempo di tre mesi a partire dal giorno della citazione, durante il quale avrebbe potuto reperire la documentazione adatta a provare che i beni immobili erano di sua proprietà.

1 settembre 1534

- Tommaso De Tomasis, Procurator dell’ abbazia di San