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Il 1756 e la riforma della tavola della nobiltà

LE CONSULTE DELLA CAMERA DI S CHIARA

4. Il 1756 e la riforma della tavola della nobiltà

A partire dal 1756 si verifica, tuttavia, una svolta nel modo di intendere la nobiltà. Carlo III di Borbone provvede, infatti, ad emanare un Regio Dispaccio, che rivoluziona, da quel momento in poi, il modo di intendere la nobiltà. Il dispaccio uniforma la tavola della nobiltà, eliminando la varie nobiltà minori precedentemente esistenti. Egli attua un ridimensionamento delle classi nobiliari, l’accesso alle quali continua ad essere stabilito mediante criteri molto rigidi, pur tuttavia investito di un minore grado di importanza. Viene, in particolare, istituito un nuovo gruppo sociale, denominato nobiltà generosa.

Lo scopo di tale istituzione è quello di amalgamare la posizione dei diversi esponenti delle nobiltà precedenti in un sol tipo di nobiltà, basato su una nuova idea della stessa, attribuendole un nuovo tipo di dignità, la quale, oltre che formale, si arricchisce di una nuova accezione, quella sostanziale.

Dopo la confusione che è subentrata a livello di attribuzione di titoli fra il Viceregno Spagnolo ed Austriaco, Carlo di Borbone distingue tra nobiltà generosa

6 A. SPAGNOLETTA La società dei ceti: egemonia, forme di consenso e controllo

sociale, in “Storia di Bari nell‘antico regime” a cura di F. Tateo, Laterza 1992, pp. 49-79.

7 ASN, Reai Camera di Santa Chiara, Bozze delle consulte (serie XV), busta 113 ine. 44. 8 Ibidem, busta 139 ine. 3.

ad altri tipo di nobiltà inferiori. Alla prima appartengono i titolari di feudi antichi (o comunque baroni in possesso di feudi con giurisdizioni da almeno tre generazioni), le famiglie promosse alla nobiltà (sempre da almeno tre generazioni) per i loro meriti militari, di toga, o ecclesiastici. Alla nobiltà generosa appartengono anche i patriziati cittadini di “piazze chiuse” o di attestata separazione di ceto.10

Anche in questo procedimento acquista un ruolo rilevante la reai Camera di Santa Chiara . Il tribunale, infatti, è investito di una serie di suppliche di famiglie baronali e di patriziati cittadini che si sentono discriminati in quanto escluse dalla nobiltà generosa, per cui si deve valutare come considerare i casi del patriziato nelle città dove non vi è separazione di ceto, ed esprimersi in merito all’appartenenza al patriziato di città infeudate che, sebbene con separazione, preclude l’esclusione dalla nobiltà generosa.

A tal proposito, illuminanti sono alcuni documenti delle Bozze di consulta posteriori al 1756. La schedatura di tali documenti ci permette di individuare innanzitutto la presenza di rigidi criteri di aggregazione, già presenti precedentemente al 1756. Anche in questo caso, infatti, le proposte di nullità sono il mezzo principale con cui si cerca di impedire le aggregazioni e, di conseguenza, l’elezione alle varie cariche politiche.

Nel 1774, infatti, da Trani arriva alla reai Camera un ricorso di ben tre famiglie Damiani, Malvolpe e Colucci, le quali, poiché sono rimaste vacanti due piazze nobili, chiedono l’aggregazione ad esse. Probabilmente l’aggregazione non viene approvata, per cui i cittadini sono costretti ad inviare alla Reai Camera di Santa Chiara, un ricorso, per ottenere l’aggregazione, in presenza dei requisiti.

Come riporta il fascio,“L’Udienza di Trani [...]” con l’annessa relazione riferisce che in persona dei ricorrenti concorrono tutte le buone circostanze per l’esercizio della mentovata carica. E quindi li stima meritevoli per la medesima.

“Ed essendosi degnata V.M. far passare a questa R. C. tal Relazione comandandole con venuto dispaccio per Secreteria di Stato e Giustizia da 20 novembre 1773, d’informar con parere”. [Trani, 22 novembre 1773]

Informando l’Udienza di Trani con l’annessa Relazione sul Ricorso di Damiano Malvolpe e Ilarione Colucci che domandarono essere aggregati a due piazze vacanti del secondo ceto di quella città, dice aver rilevato tutte buone circostanze che in loro concorrono e li stima meritevoli di occupare le piazze11.

Anche a Lecce sono state fatte proposte di nullità per l’elezione dei 10 G. CIRILLO, Spazi contesi. Camera della Sommaria, città, baronaggio e costruzione

del territorio nel Regno di Napoli nell’età moderna (secc. XV-XVIII), Guerini, Milano

2011.

11 ASN, Reai Camera di Santa Chiara, Bozze delle consulte (serie XV), busta 371 ine. 49.

Città e patriziati nel regno di Napoli attraverso le consulte della Camera di S. Chiara

Decurioni, del Sindaco e di altri Ufficiali. Ed anche in questo caso occorre l’intervento della Reai Camera di Santa Chiara, la quale dopo aver proceduto alla disamina della nullità presentate:

“ordinò che destinasse sei persone che potessero poi essere elette, ed obbligatoriamente due del ceto dei nobili, due del ceto dei civili e due del ceto degli artigiani. Chiedono pertanto consiglio al Sovrano, affinché dia parere sulla scelta”. [Lecce, 2 settembre 1774 ...12]

Caso esemplificativo è anche quello relativo alla città di Ostuni, per la quale è conservato un vero e proprio ricorso dei cittadini contro l’elezione dei decurioni della città ritenuta nulla. Infatti il documento riporta:

“fin dal 1762 si ricorse alla R. C poiché essendo mancate alcune famiglie parlamentarie tra 20 dei nobili e 30 del popolo, un gruppo di dottori di legge supplicò che fossero surrogati i mancanti. Le famiglie reggimentarie si opposero poiché reputavano loro il diritto di aggregare e surrogare le mancanti”.

La R.C. ordinò la “monizione” e che si procedesse prima alla surrogazione e poi alla nuova elezione.

In occasione di un nuovo ricorso del 1767 venne fuori che nella città si verificavano disordini in occasione dell’elezione del reggimento. Inoltre, nonostante il nuovo metodo per l’elezione dei Decurioni e degli Amministratori, alcuni pretendevano che il vecchio metodo non fosse mutato.13

In questo senso, è chiaro che nulla era cambiato. Continuavano ad esistere opposizioni e impedimenti alle aggregazioni nobiliari. Sebbene dotata di una minore importanze rispetto alla precedente, la nobiltà generosa continuava a possedere un grado maggiore di onore e di prestigio.

Questa incresciosa situazione causò dissensi tra vecchi e nuovi aggregati, creando una vera e propria divisione, che si protrasse fino a non pochi anni successivi. Una conferma è costituita dal fascio 545. Siamo nel 1784. L’Editto emanato da Ferdinando IV, successore di Carlo III, vietava di aggregare o reintegrare spontaneamente in nessuna città del Regno, alcuna famiglia nobile, senza la sovrana approvazione:

“Minuta dell’Editto Ferdinando, per la Grazia di Dio Re delle Sicilie, di Gerusalemme ec. Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro ec. ec. Gran Principe Ereditario di Toscana ec. ec. ec.”.

Il decoro ed il buon ordine della Monarchia richiede che il ceto nobile, al valore, ed onore del quale è principalmente affidato l’importante incarico della difesa dello Stato, sia costantemente mantenuto nel suo maggiore splendore. A tal

12 Ibidem, busta 376 ine. 26. 13 Ibidem, busta 391 ine. 3.

oggetto è necessario, che le aggregazioni e reintegrazioni che volontariamente si fanno da’ Patrizi del regno alle nobiltà delle loro rispettive Città, seguano in famiglie meritevoli, che non deturpino la chiarezza delle altre, e che perciò si tenga lontano l’abuso di quella libertà che suole talvolta, con mezzi impropri e indiretti, dettati da privati interessi, dar luogo alle parzialità nella scelta. ... Col quale [presente Editto] ordiniamo, e comandiamo, che non possa verun Ceto di Nobiltà di qualunque città soggetta a’ nostri Regali Domini de venire a nuova volontaria aggregazione o reintegrazione, senza la Nostra Sovrana Scienza ed approvazione, da doversi preventivamente impetrare per lo canale della Nostra Regai Segreteria di Stato e del carico di Giustizia e Grazia.14

La motivazione scatenante risiedeva nei disordini causati dall’eccessiva libertà di cui godevano in abito politico, i Patrizi:

“i disordini che provengono dalla libertà abusiva de’ Patrizi delle città del Regno in aggregare alla classe di nobiltà persone cittadine, o forestiere, disordini che oltre al ferire principalmente il dritto della Sovranità, ch’è l’unico fonte di qualunque nobiltà”15.

Si ribadiva, dunque, ancora una volta, la prerogativa che aveva il Sovrano, come unico detentore del potere, di dichiarare la nobiltà di una famiglia.

Ulteriore conferma della necessità di un intervento del sovrano è rappresentata dalla denuncia dei cittadini del Pizzo riguardante alcuni abusi delle famiglie nobili che “non osservando la legge, non seguono l’elezione delle principali cariche cittadine l’alternanza tra il primo e il secondo ceto, concentrando tutte le cariche nelle loro proprie mani”. Infatti essi il 26 aprile 1774 implorano il Sovrano, mediante la Reai Camera:

“di toglier gli abusi che da talune prepotenti famiglie eransi in detta città introdotte nell’elezione dei Governanti”.

Mentre qualche anno prima, nel 1772, gli stessi avevano denunciato, che

“alcune famiglie col titolo nobiliare che escludevano i dottori in legge e in medicina e si erano arrogati il diritto di aggregare al loro ceto quelle famiglie che essi preferivano”16.