• Non ci sono risultati.

Stato del cenobio (990-1462)

Carlo Bellotta

3. Stato del cenobio (990-1462)

La prima fase, o “stato” come dice il Di Luccia, va dalla fondazione del cenobio da parte di monaci italo-greci nel 990 circa fino alla costituzione della Commenda nel 1462.

Durante questo arco di tempo i monaci basiliani, oltre a gestire l’abbazia che gli era stata donata “dall’ antichi Re di Napoli”, ebbero anche la giurisdizione del paese perché le case che costituivano l’abitato erano state costruite su un terreno che apparteneva al cenobio. La data precisa della nascita dell’abbazia è ancora materia di discussione, anche se possiamo giustamente collocarla verso il 990. La prima prova che attesta l’esistenza del monastero sangiovannese è il Codice

Laurenziano XI, 9, scritto in lingua greca, ritrovato circa cento anni fa presso

l’abbadia di Grottaferrata. Questo importante documento attesta la presenza del cenobio nell’anno 1020 e la probabile esistenza di una scuola di amanuensi nella zona del Bulgheria.11 Proprio in questi anni l’ente basiliano di San Giovanni Battista raggiunse il massimo del suo splendore e favorì la nascita del casale a cui diede il nome.

Dopo il Mille il cenobio visse un periodo aureo e in questi anni numerose donazioni andarono ad arricchire il suo patrimonio. Alcune di queste donazioni Sicilie descritto e illustrato, Napoli 1853, p. 55.

9 F. PALAZZO, Il ’’cenobio” basiliano di San Giovanni a Piro, Arti Grafiche Poligrafi Salerno 2006, pp. 20-22.

10 P. M. DI LUCCIA, L ’abbadia di San Giovanni a Piro -trattato histórico legale-, Luca Antonio Chracas editore, Roma 1700, pp. 8-9.

11 F. CARIELLO, op. cit., p. 30. Cfr. S. Borsari, Il monacheSimo bizantino nella Sicilia e

nell’Italia meridionale prenormanne, Istituto italiano per gli studi storici, Napoi 1963, p.

provenivano da Roma, nel tentativo di attrarre l’abbazia sotto la sua orbita; infatti il monastero si trovava nella condizione di “nullius diocesis”, cioè non era sottomesso a nessuna diocesi e i suoi abati avevano poteri molto simili a quelli dei vescovi. Le abbazie che si trovavano in questo particolare status governavano un territorio sottratto alla giurisdizione episcopale ed erano rette dai cosiddetti abati mitrati. Altre donazioni erano fatte da quegli abitanti che erano mossi da un puro e sincero sentimento religioso, altre ancora erano il risultato delle morti di cittadini senza eredi. I beni di questi ultimi andavano all’organizzazione religiosa che li assisteva negli ultimi momenti di vita, come decretava una “novella” emanata nel

i y X secolo dall’imperatore bizantino Costantino VII Porfirogenito.

I padri basiliani, dopo aver accolto i precetti della riforma studitana, furono i propulsori di uno sviluppo agricolo che portò lo stile di vita degli abitanti della zona, travagliati prima dalla guerra greco-gotica e poi dall’invasione longobarda, su un livello quasi accettabile. Il positivo influsso trasmesso dai monaci italo-greci favorì anche la nascita di molti centri abitati tra il X e 1’ XI secolo. L ’espansione demografica del X secolo spinse i grandi possidenti fondiari e i monasteri a concedere terre demaniali e private a gruppi di famiglie riunite in cooperative agricole. Ne derivò un notevole incremento della produzione che favorì gli scambi commerciali tra le piccole comunità cilentane e le grandi città, migliorando le condizioni di vita della popolazione.

II monacheSimo greco nel Cilento era in pieno declino durante la dominazione sveva e risulta quasi del tutto esaurito negli anni in cui Atanasio Calcheopulo visitò i monasteri basiliani dell’Italia meridionale. Dopo l’anno Mille i pontefici disposero che si incominciassero a fare le visite ai monasteri italo-greci e a catalogare mediante degli inventari tutti i loro beni, mobili e immobili. Purtroppo i verbali delle visitationes disposte da Onorio HI nel 1221, da Urbano V nel 1370 e da Martino V sono andati perduti. Ci sono giunte, invece, le inquisitiones volute da Callisto III e promosse dal cardinale Bessarione. Il 1 ottobre 1457 l’archimandrita Calcheopulo, accompagnato dall’archimandrita Macario e dal notaio Carlo Feadaci, iniziò la visita dei 78 monasteri presenti a quel tempo nel sud Italia, partendo da quello di Reggio e terminando il 5 aprile 1458 con quello di Pattano.12 13

Il 22 marzo del 1458 il Calcheopulo visitò il monastero di San Giovanni a Piro, in cui trovò “fratrem Cirillum, fratrem Bemardum, fratrem Deonisum, fratrem Andream et fratrem Johachim”. L ’archimandrita tenne dei colloqui con gli abitanti del cenobio e riportò le parole di “fratrem Johachim”, il quale espresse pesanti critiche nei riguardi del clero e dei monaci di origine greca. Così, poiché il frate “dixit malum” delle alte cariche ecclesiastiche, dei suoi diretti superiori, e dei suoi confratelli, fu fatto prigioniero e successivamente trasferito al “monasterium

12 F. CARIELLO, op. cit., p. 31.

13 P. EBNER, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, edizioni di storia e letteratura, Roma 1982, p. 65.

Il monacheSimo basiliano nel Cilento. Il cenobio di S. Giovanni a Piro

de Carra”. Dopo aver punito questo atto di disubbidienza i componenti della delegazione lasciarono agli altri monaci i “capitula”, norme comportamentali che dovevano essere seguite con scrupoloso rigore. In esse si ricorda ai monaci di osservare “obedienciam, castitatem et paupertatem”, capisaldi della dottrina di S. Basilio, di essere sempre in pace tra loro, di essere puntuali e scrupolosi nell’officiare i riti religiosi e di curare giornalmente l’allestimento della chiesa. Ai novizi si ordina di imparare le “licteras et bonos mores”, mentre ai “procuratores” di occuparsi dei monaci, del loro vitto e del vestiario.14

Il Calcheopulo registra anche l’esistenza di un documento che segnala il cattivo comportamento tenuto in pubblico da un certo “Antonius Rochus de Catencano”, il quale possedeva la reggenza dell’ente basiliano. Da questo documento, datato 3 novembre 1449, si apprende che costui fu accusato di “publice fomicari”, di aver dilapidato i beni del monastero e di aver perpetrato numerosi “crimina”. Come punizione “Antonius Rochus” fu privato del governo e dell’amministrazione del cenobio sangiovannese.15

L’inchiesta eseguita dall’egumeno Calcheopulo è una chiarissima fotografia dello stato di sfinimento del monacheSimo basiliano durante il XV secolo.