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Le fonti e il metodo: le fasi dell’istruttoria

LE CONSULTE DELLA CAMERA DI S CHIARA

3. Le fonti e il metodo: le fasi dell’istruttoria

Sin dal momento dell’invio della richiesta, la Reai Camera di Santa Chiara provvedeva ad aprire una vera e propria istruttoria, che, proprio come nei moderni procedimenti processuali, aveva come fine quello di svolgere indagini ed acquisire prove e informazioni utili ai fini del giudizio, di esaminare i requisiti e verificare l’attendibilità delle prove fomite. Attraverso le Segreterie di Stato, infatti, le richieste venivano inviate al Sovrano, il quale le indirizzava alla Reai Camera di Santa Chiara. Qui si provvedeva ad aprire un’istruttoria. Erano prodotti ed accuratamente analizzati, così, documenti giuridici atti a verificare se la famiglia in questione godeva o meno dei “requisiti” di nobiltà. I richiedenti dovevano produrre prove legali che attestassero se la famiglia poteva essere definita nobile, se aveva portato i pesi universali della città per più di dieci anni, se la situazione economica era tale da poter rendere decorosa l’aggregazione e la permanenza della famiglia in questione tra le fila dei nobili. Veniva, infatti, inviata nella città di origine una richiesta di “informo”, finalizzata all’attestazione del possesso dei requisiti da parte del richiedente, fornita, a seconda delle richieste, dal Consigliere, dal Cancelliere o dal Giudice della Regia Udienza, o dal parroco, per quanto concerneva l’età e la famiglia di appartenenza.

A quel punto tutti i documenti pervenivano alla Reai Camera di Santa Chiara, la quale emetteva una consulta. Questa, tuttavia, non aveva carattere definitivo. La Reai Camera di Santa Chiara, infatti, non aveva compiti decisionali, ma soltanto consultivi; pertanto spettava poi al Sovrano uniformarsi al responso dato, oppure, respingere la richiesta. Successivamente veniva emanato un Reale Dispaccio, o

Città e patriziati nel regno di Napoli attraverso le consulte della Camera di S. Chiara

una Prammatica, che, in genere, si uniformava alai consulta ed aveva valore legale. Esemplificativa, a tale riguardo è una supplica inviata alla Reai Camera di Santa Chiara nel 17865, in cui un cittadino di Taranto, Giuseppe Cristano, chiedeva l’aggregazione ai seggi nobiliari direttamente al Sovrano, in quanto già dal 1783 era stata presentata la richiesta, esibendo, come richiesto, “i requisiti ed i diritti”, che sono così elencati: “l’antica civiltà e cittadinanza della famiglia fino a più generazioni”, attestata da un documento legale della Curia arcivescovile della città, l’investitura ed il possesso del patronato da cinque generazioni, una rendita di

1500 ducati ed in aggiunta, requisito più importante, il consenso dei nobili.

Nonostante ciò, il possesso dei requisiti e la loro attendibilità non erano stati analizzati. Come per questo caso specifico, in moltissime città, data la difficoltà del governo municipale, i cittadini cercarono di aggirare l'ostacolo ricorrendo allo stesso Sovrano. In questo modo quelle stesse richieste che erano state in precedenza esaminate solo dai nobili di Seggio della città, da quel momento in poi arrivavano, sotto forma di suppliche, al nuovo tribunale preposto al loro disbrigo, la Reai Camera di Santa Chiara.

Tale Procedura contribuì di molto a snellire i tempi dei provvedimenti giudiziari. In precedenza, infatti, le decisioni in merito ad aggregazioni e reintegre avvenivano dal basso, come atto dei governi locali. Questi, però, com’è stato accennato, bloccavano le richieste di aggregazione o di reintegra ai Seggi nobiliari, per impedire ogni tipo di interferenza con il loro potere egemonico. Soltanto nel caso delle piazze chiuse, o nelle città con divisione dei ceti, occorreva interpellare il sovrano. Inoltre spettavano alla Camera della Sommaria o al Sacro Regio Consiglio nel caso di contenzioso.

Grazie all’istituzione di questo tribunale, invece, il Sovrano ebbe la possibilità di intervenire nelle singole città, pertanto anche limitare e talvolta neutralizzare le competenze dei governi locali, i quali, per problemi di equilibrio interno e, soprattutto per tornaconto personale, rifiutavano di introdurre altre famiglie, in aggiunta a quelle esistenti, nei seggi nobiliari. Inoltre, dal punto di vista giuridico, la camera di S. Chiara agiva in base a criteri oggettivi: l’effettivo possesso del titolo nobiliare, attestato e documentato.

Tale abile azione politica permise alla nuova Monarchia di risolvere il problema presentatosi, e ripristinare l’equilibrio politico locale, raggiungendo 1‘obiettivo proposto di riempire i vuoti politici ed amministrativi. Causò, tuttavia, non pochi malcontenti tra gli stessi componenti dei Seggi, pertanto erano necessari altri specifici interventi.

Cominciarono, infatti, a pervenire suppliche alla Reai Camera da tutte le città del Regno, sempre richiedenti aggregazioni precedentemente negate, in particolar

5 Archivio di Stato di Napoli (da ora in poi ASN) Fondo Reai Camera di Santa Chiara, Consulte di Stato (serie XVII), Voi. 205 cc. 82-85v. Tutti i documenti dell’ASN, presi in esame da questo momento in poi, appartengono al fondo Reai Camera di Santa Chiara.

modo da parte di cittadini zelanti, ovvero armati di fervore e zelo, determinati ad ottenere l'inserimento nelle fila dei nobili. Nel contempo, furono prese in esame dalla Reai Camera anche suppliche di governatori, deputati della piazza nobile, Udienze e Sindaci, i quali richiedevano che fossero impedite le aggregazioni poiché le famiglie in questione non possedevano tutti i requisiti da soddisfare per entrare nei Seggi cittadini.

Fu una lotta a oltranza, “muro contro muro”, tra nobili già da tempo presenti nei sedili municipali, e nobili di recente aggregazione, che però non venivano completamente resi partecipi della politica cittadina, per cui non completamente soddisfatti giuridicamente, per inadempienza della legge.

Tale manifesta situazione portò ad una divisione, non solo ufficiosa, ma ufficiale, nell’ambito della nobiltà, tra nobili ex genere e nobili viventi, o ex privilegio: coloro che possedevano il titolo nobiliare per nascita, per discendenza, e coloro che, invece, nella gran parte, avevano ottenuto tale blasone soltanto a seguito di un privilegio dottorale, in legge o in medicina.

Essi erano, pressoché in egual numero, all'interno del sedile, per cui i nobili di antico lignaggio temevano di perdere il loro primato nell’ambito dell’egemonia cittadina. Questo andò ad ostacolare gli equilibri economici, e diede luogo ad una reazione immediata e conflittuale da parte della nobiltà di seggio, che aveva come fine quello di “serrare” le porte dei Seggi a chiunque ne facesse richiesta, nella nota “serrata oligarchica“.

Tale obiettivo tendeva ad essere raggiunto mediante una sottile battaglia che intendeva screditare la famiglia richiedente, che a sua volta si vendicava calunniando i lignaggi nobili. Mediante informazioni non veritiere, e offensive ambo le parti provvedevano a mettere in circolazione illegalmente “manoscritti” a stampa, o libelli, che, descrivessero le gesta e l’origine indegna e disonorevole delle famiglie, ed esempio l’infamia di un’origine popolare o dottorale proveniente dal contado.

Fu il periodo chiamato della guerra dei libelli. Tuttavia, le proposte di nullità dei documenti o degli atti, continuarono ad essere il mezzo principale per mezzo del quale si cercava di impedire le aggregazioni e, di conseguenza, l’elezione alle varie cariche politiche.

I fautori delle aggregazioni mettevano in rilievo i seguenti punti: rettitudine, dottrine, beni di fortuna, lauree dottorali, patenti per l’esercizio dei regi governi. Secondo i patrizi, invece, la laurea dottorale non creava il nobile. Il nobile nasceva dalla volontà dei nobili e non da vero merito. Spettava al sedile aggregare, senza la partecipazione dei popolari, e così distinguere chi era nobile da chi non lo era. La nobiltà alimentava se stessa: si era nobili perché figli di nobili, titolari di cariche nobilitanti, ed appartenenti ad illustri parentadi.

Per i popolari, invece 1‘opinione era diversa: il dottore popolare era il vero nobile e non il nobile per genealogia. Le virtù derivate dal nuovo status dottorale procurava la vera nobiltà. Quei patrizi che avevano riempito la città di angherie ed

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estorsioni avevano perduto la vera nobiltà6.

Un esempio è costituito da una richiesta del 21 febbraio 1747 che aveva come oggetto: “Istanza dell’Avvocato di piazza del Popolo di Bari relativa alla riforma del governo”. L’Avvocato Gianandrea Bonazzi aveva proposto l’elezione dell’Avvocato come “non dipendente dalla qualità e carattere del Decurianato ma dal pregio e dalle doti e l’ingegno, dallo studio, dalla pratica, e dall’integrità che devono concorrere nella persona di chi esercita una tal nobilissima professione.” La richiesta, pertanto, era che i Decurioni procurassero con ogni diligenza e attenzione l’elezione di un Avvocato probo, dotto ed efficace nell’eseguire il suo incarico7.

A richieste del genere, da Reggio si rispose facendo presente alla Reai Camera di Santa Chiara, capi di nullità.8 Una di queste dichiarava che, in seguito all’aggregazione dei dottori in legge e medicina sin dall’anno 1706, tali dottori erano ammessi alla voce attiva e passiva, mentre dai decreti, a loro parere, emergeva solo la voce attiva. Un successivo capi di nullità, inoltre, riguardava l’ammissione al governo del terzo ceto degli artigiani e dei massari, secondo il loro giudizio, poco esperti per poter coprire incarichi di elevata importanza. A Catanzaro, infatti, fu eletto nel marzo 1738, come avvocato dei poveri il Dottor Rocco Susanna, come persona “tanto accreditata”9.