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Parte sperimentale

3.2 Risultati e discussion

3.2.2 Analisi chemiometrica dei dati sperimental

3.2.2.1 Analisi esplorativa e classificazione dei dati [5-7]

Per i 111 composti identificati, è stato effettuato uno studio preliminare che ha visto la selezione di solamente 30 composti come potenziali markers della frazione volatile (Tabella 3), utilizzando come criterio di scelta un indice R match superiore a 920, e dunque un’affidabilità di identificazione maggiore (≥ 92%). La Figura 25 mostra, per i 30 markers selezionati, il confronto tra il contenuto di ciascun analita quantificabile in tutti i campioni industriali e in tutti quelli artigianali analizzati. Trattandosi di un’analisi semiquantitativa, il contenuto è riferibile al valor medio delle aree di ciascun composto volatile espresso in unità arbitrarie. Analizzando la composizione della frazione aromatica, si osserva che gli esteri costituiscono la classe di composti più abbondante: anche se presenti in tracce, essi svolgono un ruolo rilevante nella caratterizzazione del flavour in quanto responsabili del carattere fruttato delle bevande fermentate. Studi mostrano che la loro produzione è influenzata da una serie di fattori, come per esempio i parametri del processo produttivo o le condizioni di conservazione, ed infatti sono considerati caratteristici dei “prodotti giovani”, in quanto la loro concentrazione può diminuire durante lo stoccaggio. Di conseguenza, questi potrebbero essere considerati indicatori di prodotti che non hanno subito pastorizzazione dato che, nei campioni analizzati, gli esteri sono stati osservati a diversi livelli di concentrazione e la loro intensità è risultata maggiore in tutte le birre artigianali rispetto a quelle industriali; in particolare, non sono stati rilevati in nessun prodotto industriale l’isobutil isobutirrato e il 2-metilbutil isobutirrato, caratteristici per il loro aroma fruttato. Il carattere fruttato delle birre è conferito anche dalla presenza di livelli ottimali di alcoli; gli alcoli superiori sono infatti importanti precursori degli esteri [54]. Tuttavia, un’elevata concentrazione di determinati alcoli può conferire al prodotto il tipico aroma di “solvente”.

54 L’isobutanolo, per esempio, prodotto durante il naturale metabolismo dei lieviti, se presente al di sopra di una determinata soglia (p.e. per scarso inoculo dei lieviti) diventa un difetto della birra; stesso discorso vale per l’alcol isoamilico o il propanolo. L’isobutanolo è stato identificato in tutti i campioni analizzati; tuttavia, l’intera categoria delle birre industriali ha mostrato concentrazioni maggiori rispetto alla categoria delle artigianali. Un altro alcol indesiderato nella birra è il 2- furanmetanolo, dal caratteristico aroma di bruciato, solitamente generato quando i prodotti, in determinate condizioni chimiche di pH, umidità, ecc., subiscono trattamenti termici drastici; seguendo infatti il suo processo di formazione, questo composto potrebbe rappresentare un marker di processo. Anche per quanto riguarda gli acidi, la letteratura riporta che la loro presenza è accettabile a bassi livelli, dal momento che i loro caratteri aromatici possono essere piuttosto aggressivi nel prodotto finale (sapore affumicato e pungente) [55]. Acido acetico, acido ottanoico ed acido esanoico sono risultati gli acidi principali delle birre analizzate, mostrando un contenuto maggiore nei prodotti industriali. Per quanto riguarda i composti carbonilici, se presenti in quantità rilevanti influiscono negativamente sull’aroma e sul sapore della birra perché considerati i responsabili del sapore “stantio” [45]. Le aldeidi, infatti, come per esempio il furfurale o il 5- idrossimetil furfurale, sono considerate importanti markers del deterioramento aromatico della birra, sebbene non riconducibili a prodotti off-flavours alle concentrazioni in cui sono presenti nei prodotti finali [56,57]. In particolare, le analisi sui campioni analizzati hanno mostrato che il furfurale, presente in quantità più elevate nei campioni industriali, mostra anche una correlazione significativa (P value < 0.05) con l’isobutanolo. Mentre il 2-undecanone, un chetone aromatico responsabile di un aroma fruttato, è stato identificato esclusivamente nei campioni artigianali. Nel complesso, infine, le birre artigianali mostrano un contenuto in terpeni superiore rispetto ai prodotti industriali. Queste sostanze derivano principalmente dai luppoli utilizzati ed infatti si ritrovano in quantità significativamente differenti nei diversi campioni analizzati. L’assenza di pastorizzazione e microfiltrazione, processi che, come noto, appiattiscono il profilo aromatico, potrebbero giustificare la maggiore ricchezza in terpeni nelle birre artigianali. In particolare, il β- cariofillene e l’umulene non sono presenti in nessuno dei campioni industriali, mentre il β- mircene e il β-linalolo, se pur identificati, presentano livelli nettamente inferiori rispetto ai campioni artigianali e potrebbero pertanto essere utilizzati per distinguere le due categorie di birre.

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Tabella 3. Elenco dei 30 marker molecolari selezionati (R match ≥ 920) e corrispondenti descrittori olfattivi.

Figura 25. Confronto tra i valori medi delle aree, espresse in unità arbitraria: birre industriali, in grigio, vs

birre artigianali, in nero.

I dati ottenuti dall’analisi dei campioni reali sono stati così elaborati mediante tecniche di pattern recognition (riconoscimento dei gruppi) e di classificazione, che consentono di ottenere elaborazioni grafiche in grado di mostrare in modo immediato come i campioni analizzati si dispongono nello spazio delimitato da un numero elevato di variabili, e di mettere in evidenza eventuali similitudini tra i campioni in esame. A tal fine, le aree dei picchi cromatografici relative ai 30 marker aromatici, selezionati in base all’R match, sono state elaborate mediante PCA (Principal Component Analysis), ottenendo così la visualizzazione dei dati in un grafico bidimensionale. La Figura 26(a) evidenzia una separazione tra i campioni di birra prodotti con metodi artigianali e quelli prodotti con approccio industriale. Il set di dati era costituito da una

56 matrice 79×30, dove le righe rappresentavano i 79 campioni analizzati e appartenenti alle due categorie (birre industriali e birre artigianali), mentre le colonne rappresentavano le aree normalizzate dei 30 markers selezionati. I dati sono stati pretrattati mediante algoritmo autoscaling, in modo da assegnare lo stesso peso a tutte le variabili. Il numero di Componenti Principali (PC) in grado di descrivere correttamente il set di dati è stato determinato sulla base degli autovalori e sulla percentuale di varianza totale spiegata (5 PC con autovalori > 1 hanno rappresentato il 70.5% della varianza totale). Lo studio dei loading (che indicano l’abilità nel differenziare o meno i campioni in gruppi) è stato eseguito sulle prime due PC, che spiegano il 47% della varianza totale (Figura 26(b)).

Figura 26(a). Elaborazione dei dati mediante PCA: scores plot; in rosso sono riportati i campioni di birra

industriali (IND: industrial), in verde i campioni di birra artigianali (CRA: craft).

57 Come si osserva dallo scores plot, la disposizione dei campioni di birra nello spazio costituito dalle prime due PC evidenzia una separazione fisica quasi netta tra le due categorie considerate, ed alcune variabili, quelle con i loadings più lunghi, contribuiscono significativamente a tale differenziazione. Infatti, la quasi totalità dei campioni appartenenti alla categoria “industriale” sono raggruppati nella parte negativa della PC1, mentre la maggior parte dei campioni della categoria “artigianale” si trovano nella parte positiva della stessa componente. La categoria “industriale” è caratterizzata principalmente da elevati valori di isobutanolo e bassi valori di terpeni, raggruppati nel quadrante in basso a destra del loadings plot. Inoltre, si osserva che i campioni appartenenti a questa categoria si dispongono a formare un gruppo circoscritto che lascerebbe dedurre che si tratti di campioni con caratteristiche aromatiche molto simili tra loro, riconducibile probabilmente ad una maggiore standardizzazione dovuta al processo industriale. Al contrario, le birre artigianali mostrano un andamento più dispersivo, risultato che non sorprende data la forte disomogeneità del gruppo dovuta al fatto che si tratta di campioni con molte più fonti di variabilità (sia per quanto riguarda le materie prime, in particolare le tipologie di luppoli, sia per le condizioni adottate per il processo produttivo). Analizzando la distribuzione dei campioni lungo le componenti principali, si osserva che le birre artigianali mostrano valori di PC1 più alti rispetto alle industriali; mentre, lungo la PC2 mostrano una variabilità sulla base dei loadings: a bassi valori di PC2 si posizionano i campioni caratterizzati da una prevalente componente terpenica, ad alti valori di PC2 campioni caratterizzati da una maggiore presenza di acidi carbossilici ed alcoli. In particolare, il furfurale si trova ad alti valori di PC2, il 2-undecanone a bassi valori di PC2; mentre, la classe degli esteri, caratterizzanti principalmente le artigianali (alti valori di PC1), sono distribuiti omogeneamente lungo la PC2.

I risultati ottenuti con la PCA hanno incoraggiato la ricerca, ed hanno condotto lo studio alla costruzione di un modello di classificazione attraverso LDA (Linear Discriminant Analysis). Il set di dati è stato così elaborato ulteriormente per determinare il confine lineare ottimale tra le due categorie di birra nello spazio 30-dimensionale definito dai loadings. Per convalidare la regola di classificazione, in modo da prevedere l’autenticità dei campioni di birra attraverso l’analisi mirata del profilo aromatico, sono stati utilizzati un sistema di validazione incrociata (cross-validation) basato su 5 gruppi di cancellazione e un set di dati esterno (test set). La LDA è stata eseguita sui dati pretrattati (sempre mediante autoscaling) includendo sia il training set (campioni utilizzati per costruire il modello) che il set esterno (17 campioni). L’affidabilità del modello di classificazione è stata studiata sia in termini di capacità di classificazione (cioè la percentuale di campioni del training set classificata correttamente), sia di capacità di previsione (cioè la percentuale di campioni del set esterno classificata correttamente utilizzando i criteri con cui è stato costruito il modello basato sul solo training set). Le percentuali medie di corretta

58 classificazione sono pari a 100 per la categoria delle birre industriali, ossia tutti i campioni di questa classe sono stati correttamente classificati nel gruppo appropriato, e pari a 83.3 per la categoria delle artigianali. Semplificando, è possibile affermare che il modello, in termini di abilità di classificazione, su un set di campioni incogniti (test set), ha una probabilità di predire l’appartenenza di un campione ad una delle due categorie pari ad una percentuale che del 91.7%, in altre parole potrebbe sbagliare la classificazione di 1 campione su 10. Per quanto riguarda la capacità predittiva, ovvero la percentuale di successo di predizione di classificazione del test set (utilizzando il modello sviluppato nella fase di training), il modello ha mostrato una media totale pari al 74.5% (ovvero il modello potrebbe predire in modo errato 1 campione su 4). I risultati ottenuti sono in accordo con quelli forniti dalla PCA, in cui è stata osservata una discreta separazione tra le due categorie, mostrando però una disomogeneità nella disposizione spaziale dei campioni artigianali. L’ottima abilità di classificazione e la buona capacità predittiva su campioni incogniti del modello statistico così ottenuto, suggeriscono che la composizione della frazione aromatica delle birre, con l’individuazione di specifici indicatori markers volatili, potrebbe rappresentare uno strumento oggettivo per classificare le birre in base al processo adottato per la loro produzione.