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Birra industriale vs birra artigianale

1.2 Processo di produzione della birra

In Figura 22 sono riassunte schematicamente le fasi principali di produzione della birra, le quali verranno discusse nei paragrafi successivi, con particolare attenzione su quella di pastorizzazione/microfiltrazione, che, secondo la legislazione italiana, non deve essere effettuata affinché una birra possa essere definita “artigianale”, mentre viene effettuata sulle birre cosiddette “industriali”.

Figura 22. Schema semplificato del processo di produzione della birra artigianale. Fonte: Rielaborazione di

singole immagini [S10].

1.2.1 Fasi iniziali

La maltatura (o maltazione) è il primo processo che viene effettuato per rendere idoneo l’orzo ad essere trasformato in mosto fermentabile, in quanto il malto, a differenza del cereale, può essere fermentato dai lieviti e trasformato in alcol. Per malto si intende la cariosside di un cereale (generalmente l’orzo) che ha subìto la germinazione: per ottenerlo è necessario effettuare una cernita e pulitura delle cariossidi, l’idratazione del cereale, la germinazione con successiva essiccatura e tostatura del cereale “maltato”. La germinazione è dunque il passaggio chiave:

41 quando il seme germina produce gli enzimi necessari ad idrolizzare l’amido in zuccheri più semplici, utilizzati poi dai lieviti per la fermentazione. Lo step successivo è l’ammostamento, il cui scopo è quello di rompere le proteine e gli amidi che non sono stati trasformati durante il processo di maltazione: la miscela di cereali macinati viene posta in acqua calda a determinate temperature, tali da attivare vari gruppi di enzimi del malto (α-amilasi, β-amilasi), i quali attaccano l’amido producendo molecole di zucchero più semplici, come maltosio e maltodestrine (per questo l’ammostamento è anche definito “saccarificazione”). L’ammostamento è dunque una fase molto importante, ed insieme alla scelta dei vari tipi e alle quantità dei diversi cereali, rappresenta lo step che impone al prodotto finito le principali caratteristiche desiderate, quali corpo, beverinità, alcol, schiuma, ecc. L’aggiunta poi dei luppoli è fondamentale, sia per l’aroma e il caratteristico sapore amaro, che per quanto riguarda la conservazione, grazie alla sua azione batteriostatica ed antiossidante, oltre ad aiutare il miglioramento della consistenza e della stabilità della schiuma. Ci sono due principali gruppi di sostanze nel luppolo, che forniscono l’amaro, il sapore e l’aroma tipicamente associati al luppolo nella birra. L’amaro deriva dagli α- acidi, composti presenti da un minimo del 2% a più del 20% nel luppolo, e che disciolti nel mosto vengono isomerizzati ad iso-α-acidi: la quantità di α-acidi estratti ed il grado di isomerizzazione dipendono dal tempo in cui il luppolo resta presente nella fase di bollitura. L’aroma ed il gusto derivano invece dagli oli essenziali: si tratta di un’ampia classe di composti molto volatili e dunque, per mantenerli nella birra, bisogna assicurarsi di aggiungere il luppolo “da aroma” solo negli ultimi minuti della bollitura. Il pericolo maggiore per il luppolo è l’ossidazione degli α-acidi, motivo per cui è venduto in confezioni sottovuoto o in atmosfera controllata. Successivamente, il mosto creato dalle materie prime è trasformato in birra dai lieviti nel processo di fermentazione, che si divide in tre stadi: primaria, secondaria e condizionamento (o “lagering”). Il primo stadio della fermentazione inizia quando il lievito viene introdotto nel mosto raffreddato e aerato: il lievito accresce utilizzando l’ossigeno disciolto per produrre steroli, per poi passare in fase anaerobica quando l’ossigeno termina, riducendo la maggior parte degli zuccheri del mosto a etanolo e CO2; si ha quindi l’acidificazione (riduzione del pH) e la produzione di composti

aromatici come esteri, diacetile, composti contenti zolfo, ecc. La temperatura e le tipologie dei lieviti della fermentazione primaria sono regolati in base alla tipologia di prodotto finale desiderato: in generale per le birre Ale (birre ad alta fermentazione) vengono aggiunti lieviti della famiglia Saccharomyces cerevisiae a temperature di 17-24°C, mentre per le Lager (birre a bassa fermentazione) i lieviti impiegati sono quelli della famiglia Saccharomyces pastorianus, a 8-14°C. Nella fermentazione secondaria, la maggior parte degli zuccheri del mosto è terminata e alcuni metaboliti secondari vengono trasformati dal lievito, portando dunque alla sua flocculazione e al deposito a causa dell’aumento del contenuto alcolico e dell’esaurimento degli zuccheri. Con

42 l’ultima fase, detta di condizionamento, viene raggiunta la densità finale con il raffreddamento fino a 0°C: durante quest’ultima fase di fermentazione il lievito continua a flocculare e a depositarsi, e si ha la stabilizzazione degli aromi; inoltre, è importante porre attenzione all’esposizione all’ossigeno, dato che è estremamente dannosa per la qualità della birra. Le birre tipologia Lager traggono giovamento da lunghe fasi di condizionamento, mentre nelle Ale gli aromi desiderati si affievoliscono con l’invecchiamento.

1.2.2 Fasi finali di pastorizzazione/microfiltrazione

Le fasi finali di pastorizzazione e microfiltrazione sono quelle cruciali al fine di definire una birra come “artigianale”: la legislazione italiana, infatti, prevede l’esclusione dal processo di produzione delle fasi di pastorizzazione e microfiltrazione, adottate invece per la produzione di birra in impianti industriali. Entrambe le fasi intervengono al termine del processo di lavorazione, ossia prima di procedere al confezionamento del prodotto, e si tratta dei processi tecnologici che probabilmente hanno influito maggiormente sull’espansione del mercato globale. Da un lato, infatti, la pastorizzazione ha permesso al prodotto, essendo facilmente deperibile, di allungare i tempi di conservazione, facilitando così la produzione di massa e il trasporto su grandi distanze; dall’altro, la filtrazione che, consentendo l’eliminazione totale dei lieviti vivi, ha permesso di realizzare un prodotto con caratteristiche, quali limpidezza, leggerezza e assenza di depositi sul fondo, tali da essere apprezzate da un numero sempre maggiore di consumatori. Generalmente una birra industriale, al termine del processo di fermentazione alcolica, subisce un trattamento di filtrazione (separazione fisico-meccanica) necessario per eliminare le cellule di lievito presenti in sospensione, che altrimenti andrebbero incontro a processi degradativi (“lisi”) con formazione di sostanze dal caratteristico sentore di crosta di pane; mentre, a livello visivo, con la filtrazione la birra si caratterizza per l’assenza totale di torbidità e residui. Le moderne tecniche consentono anche di effettuare filtrazioni (c.d. microfiltrazioni) così spinte da sterilizzare quasi completamente il prodotto. Una volta filtrata, la birra viene imbottigliata sotto pressione e le bottiglie avviate ai pastorizzatori, nei quali ha luogo il trattamento a temperatura di circa 60°-65°C per una durata di circa 30 minuti. Affinché la pastorizzazione abbia successo, occorre che la temperatura aumenti e diminuisca gradualmente (senza sbalzi termici) e che la temperatura massima sia mantenuta accuratamente stabile. Tale trattamento termico, elimina completamente i residui di lievito ancora presenti e blocca lo sviluppo di microrganismi indesiderati, estendendo così la stabilità biologica e aumentando la durata di conservazione del prodotto. Questo processo, se da un lato rende il prodotto più resistente anche a condizioni di conservazione non ottimali, dall’altro può causare la denaturazione di elementi in grado di apportare benefici alla salute dell’organismo, come proteine, vitamine e sostanze ossidanti presenti nella birra, determinando

43 così la riduzione del valore nutritivo del prodotto finale. Durante il trattamento termico, inoltre, intervengono reazioni chimiche e/o biologiche che possono determinare cambiamenti di composizione rilevanti anche sul piano organolettico, tali da uniformare le caratteristiche aromatiche della birra e rendere in molti casi estremamente difficile l’identificazione di un prodotto rispetto a quello di un altro birrificio, oltre a favorire la formazione di composti talvolta indesiderati. In base a quanto detto, si comprende il perché le fasi dell’intero processo di produzione, e lo step di pastorizzazione in modo particolare, dovrebbero essere impostate tenendo conto di tutte le modifiche dei vari componenti, in modo da limitare al minimo il danno termico-nutrizionale e preservare, allo stesso tempo, le proprietà organolettiche delle materie prime nel prodotto finito, senza provocare l’appiattimento delle caratteristiche sensoriali. Non va comunque sottovalutata l’importanza della qualità delle materie prime e degli aspetti tecnologici legati al loro trattamento; per esempio, la tostatura del malto d’orzo (l’ingrediente più utilizzato) influisce su molti aspetti sensoriali della birra. Nel caso di condizioni di riscaldamento drastiche e in condizioni di bassa attività dell’acqua, s’innesca, infatti, una complessa serie di reazioni chimiche, indicate come “Reazione di Maillard” (RM), che vede coinvolte due importanti categorie di macronutrienti, i glucidi e i protidi, portando in alcune condizioni allo sviluppo di composti indesiderati dal punto di vista organolettico, anche potenzialmente tossici. In base alla nuova normativa italiana per la birra artigianale, l’assenza dei processi di pastorizzazione e microfiltrazione porta alla produzione di birre adatte ad una distribuzione più limitata, con una shelf-life più breve e condizioni di stoccaggio più restrittive (luoghi bui, temperature fresche e stabili). Infatti, il termine minimo di conservazione per un prodotto artigianale va in genere da circa 90 giorni a un anno, fatta eccezione per le birre da invecchiamento; questo rappresenta proprio il periodo entro il quale il produttore assicura il mantenimento della qualità organolettica ottimale, in linea con il metodo di produzione artigianale che assicura l’eterogeneità dei gusti delle differenti tipologie di prodotto e dei numerosi stili brassicoli. Negli ultimi anni, infatti, un numero crescente di produttori artigianali indipendenti si sta concentrando sull’uso di materie prime selezionate e processi di produzione delicati per ottenere birra artigianale di alta qualità, che può soddisfare le aspettative dei consumatori più esigenti [30,31].