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Analisi e interpretazione (Tabella A)

PARTE II: LA RICERCA

CAPITOLO 7: la fase propedeutica: lo studio territoriale

7.3 Analisi e interpretazione (Tabella A)

In riferimento alla tabella A, si evince che il numero di alunni con diagnosi

di ADHD nella Provincia di Trieste è risultato pari a 33 per l’a.s. 2012-13 a

fronte di una popolazione scolastica complessiva di 10.337 unità, e pari a 40 per l’a.s. 2013-14 a fronte di 10.469 iscritti.

Grafico 7.1: alunni diagnosticati e popolazione generale

Nei 2 anni scolastici presi in considerazioni le percentuali di alunni diagnosticati sono rispettivamente dello 0,319% e dello 0,382% in rapporto alla popolazione scolastica iscritta, andando da un valore minimo di diagnosi di 0 a uno massimo di 7 per singolo I. C..

La quota in percentuale di alunni diagnosticati appare significativamente inferiore a quelle indicate in letteratura (cfr. §1.8). A livello internazionale il DSM-5 (2013) stabilisce come valore percentuale il 5%, in precedenza Barkley (2006) aveva indicato come valori il 5-7%. A livello nazionale Cornoldi e Mazzocchi (2000) hanno stimato in 4% la percentuale di popolazione con ADHD. Per quanto i dati citati si riferiscano all’intera popolazione e non esclusivamente a quella scolarizzata nella scuola di base, ci pare che il gap tra tali dati in percentuale e quelli da noi rilevati sia comunque ampio. Tuttavia, facendo riferimento alla popolazione scolastica Ianes, Marzocchi & Sanna (2009) indicano una prevalenza oscillante tra il 3 e il 5% ed anche in questo caso le evidenze da noi raccolte si situano in difetto. A.S. 2012-13 alunni iscritti PRIM e SEC 10.337 A.S. 2013-14 alunni iscrittiPRIM e SEC 10.469

Facendo invece riferimento esclusivo alla popolazione pediatrica, un recente studio (Reale et al. 2014) condotto sulle attività del Registro ADHD della Regione Lombardia indica che “le stime variano molto non soltanto tra aree geografiche ma all’interno di una stessa area geografica o paese. In Italia, in particolare, la prevalenza varia dall’1% della popolazione di età compresa tra 6-17 anni, in accordo con l’estrapolazione dei dati dal Registro Nazionale ADHD riferiti alla regione Lombardia, al 3% stimata in un campione di circa 6000 bambini e adolescenti (5-15 anni) mediante screening nelle scuole elementari e medie della città di Siracusa e successiva valutazione clinica strutturata.” (Reale et al. 2014, p.199) Lo studio condotto da Reale e colleghi (2014) su pazienti con ADHD di età compresa tra i 5 e i 17 anni, che vivono in regione Lombardia, ha individuato 4200 casi, pari a una prevalenza del 3.51%. La medesima ricerca sottolinea come la variabilità dei tassi di prevalenza sia da imputare a una eterogenea modalità di valutazione diagnostica utilizzata negli studi.

I dati di questa ricerca sono tuttavia in continuità con quanto già indicato da Maschietto in uno studio del 2012 condotto su di un campione rappresentativo della popolazione pediatrica italiana, che ha individuato una prevalenza di ADHD pari a 1,2%, a fronte di un 2% in Francia e di un 5% in Regno Unito. Lo stesso autore conclude che: “La prevalenza di ADHD osservata corrisponde a quella attesa in base agli studi condotti in Italia ma è da due a quattro volte inferiore rispetto a quella osservata in altri paesi europei ed extraeuropei (…). Queste differenze possono essere spiegate da differenti ragioni ad esempio il modo i cui viene effettuata la diagnosi e chi la effettua (medico generico, pediatra, neuropsichiatra), l’efficienza e la capillarità della rete del servizio sanitario pubblico, l’attitudine a assumere farmaci psicotropi, l’efficacia del trattamento comportamentale, l’offerta di opzioni terapeutiche.” (Maschietto et al., 2012, p. 4)

Se dalla dimensione internazionale e nazionale passiamo a un focus ancora più ristretto riferito alla Regione Friuli Venezia Giulia, uno studio condotto nel 2003 (Besoli, Venier, 2003) ci permette di comparare i nostri dati provinciali con le stime regionali. La ricerca regionale ha coinvolto i Servizi pediatrici e

di Salute Mentale interessando una popolazione di 64.800 individui, di età compresa tra 0-14 anni, rispetto a cui sono stati rilevati 280 casi di ADHD, con una prevalenza pari allo 0,43%. Anche in questo caso le percentuali provinciali da noi rilevate (0,319% e 0,382%) riferite alla fascia d’età 9-14 risultano di poco inferiori.

Volendo attribuire un significato a questi dati e cercando una possibile spiegazione per il ridotto numero di diagnosi rilevate nella nostra indagine rispetto ai dati internazionali, nazionali e regionali possiamo formulare alcune ragionevoli ipotesi.

Ø La non chiara conoscenza del disturbo da parte delle famiglie di alunni scolarizzati, che conseguentemente non afferiscono ai servizi per la valutazione diagnostica;

Ø La “resistenza” da parte delle famiglie a contattare, su consiglio della scuola, personale medico-specialistico, poiché non consapevoli della reale criticità della situazione (spesso attribuita a cause esterne o alla scuola stessa), o perché non ancora in grado di assumere e affrontare la situazione problematica del figlio o della figlia

Ø La mancanza di un’adeguata formazione iniziale e in servizio del personale docente relativamente alle tematiche dell’inclusione, con particolare riferimento ai BES ed attenzione specifica agli alunni con ADHD, mancanza che potrebbe compromettere una chiara valutazione di casi con disturbo di attenzione/iperattività ed un intervento precoce sugli stessi.

Ø I tempi estesi, ma necessari, che il personale docente utilizza per osservazioni sistematiche o occasionali e per prove atte a verificare se atteggiamenti, comportamenti, stili cognitivi e relazionali dell’alunno sono inscrivibili in un ordinario o temporaneo iter scolastico oppure da addurre a una sintomatologia che necessita di approfondimenti clinici e per i quali viene contattata la famiglia al fine di avviare il percorso di approfondimento del caso. Va detto che negli ultimi anni una normativa scolastica più puntuale (C.M. n. 4089/2010 Direttiva del

27/12/2012, C.M. n.8 del 6/03/2013) ha fornito un sostegno prezioso al lavoro scolastico. Tuttavia il supporto normativo richiede dei tempi per una fattiva ricaduta sulle modalità educativo-didattiche ed organizzative, cosa che si è e si sta a tutt’oggi espletando per fornire strategie e risposte sempre più adeguate in relazione alla personalizzazione dei percorsi degli alunni con ADHD ed in relazione al piano dell’offerta formativa proposto dalla scuola.

Ø I tempi necessari che vanno dall’insorgenza del disturbo alla sua effettiva presa in carico attraverso la diagnosi e i successivi trattamenti. Generalmente fino alla fine della II classe della scuola primaria l’intervento è concentrato su osservazioni, attività di supporto individuale sul bambino, raccordo e scambio con la famiglia. Se la situazione appare effettivamente problematica, in III elementare inizia l’iter per la valutazione diagnostica, che –a seconda delle risposte e della collaborazione della famiglia e a seconda dei tempi necessari alla struttura sanitaria- può richiedere alcuni mesi o anche più di un anno. In tal senso è plausibile che i primi casi con certificazione di ADHD si presentino in III-IV classe della scuola primaria, ma con situazioni più conclamate soprattutto in V e nelle successive classi della scuola secondaria di 1°.

Ø La diversità dei criteri diagnostici utilizzati e la diversa interpretazione dei sintomi del disturbo da parte dei clinici sono forse gli elementi che possono meglio spiegare la divergenza tra i dati locali e nazionali rispetto a quelli internazionali. I dati epidemiologici della patologia risultano discordanti e l’incidenza del disturbo varia se la diagnosi è stata realizzata a partire dalla classificazione del DSM 5, DSM-IV oppure sulla base dell’ICD-10. Nonostante le sovrapposizioni, le differenze tra i manuali DSM e ICD sono rilevanti e possono condurre a percentuali differenti di incidenza del disturbo. “Questo spiega, ad esempio, perché la frequenza del disturbo in Nord America, dove prevalentemente si utilizza il DSM-IV, sia superiore a quella europea dove prevale l’utilizzo dei criteri dell’ICD-10. (Ianes et al. 2009) Le

considerazioni riferite alle differenze diagnostiche si ritrovano anche nel DSM-5, che -nel paragrafo dedicato a problemi diagnostici collegati a variazioni culturali- indica che le differenze nei tassi diagnostici sono da attribuire prevalentemente a differenti pratiche diagnostiche e metodologiche (DSM-5, 2013, p.62). In contesto

Ø italiano -ancora oggi e troppo spesso- i disturbi vengono interpretati come conseguenza di conflitti intrapsichici tra pulsioni/istanze diverse e la presenza di problematiche affettive e comportamentali. Ciò conduce a non riconoscere il disturbo in quanto tale ma a leggere le atipicità come un intralcio di sviluppo causato da interferenze ambientali negative.

In conclusione si può affermare che durante la fase propedeutica della ricerca il numero di bambini/ragazzi con diagnosi ADHD rilevati nella Provincia di Trieste, si è dimostrato decisamente ridotto rispetto alle stime internazionali riferite alla popolazione generale con ADHD (DSM-5, 2013; Barkley, 2006). Analogamente le percentuali da noi rilevate di alunni diagnosticati nella fascia d’età 6-14, pari a 0,319% e 0,382% risultano comunque inferiori all’1-3% (Reale et al. 2014) e all’1,2% (Maschietto, 2012) in riferimento al campione pediatrico italiano. Le percentuali sono di poco inferiori rispetto allo 0,43% individuato nell’ambito dello studio condotto in Regione Friuli Venezia Giulia (Besoli, 2003).

Ciò ci induce a pensare che ci sia una percentuale di soggetti che non si rivolgono all’attenzione clinica e non richiedono un intervento specialistico per questo disturbo. Si può supporre pertanto che resti un’area grigia di soggetti che non hanno una diagnosi ma presentano una sintomatolgia riconducibile all’ADHD.

Un altro dato interessante che emerge dalla tabella A è quello riferito agli

alunni di cittadinanza non italiana con diagnosi di ADHD. Vediamo la

presenza di due casi diagnosticati nell’a.s. 2012-13 e di 4 nell’a.s. 2013-14. I numeri di alunni stranieri diagnosticati sono molto bassi per estrapolare dei

dati significati, tuttavia se compariamo i dati in percentuale degli alunni con nazionalità italiana e degli alunni di cittadinanza non italiana emerge quanto segue: PRIM/SEC iscritti Iscritti stranieri PRIM/SEC % stranieri

PRIM/SEC iscritti ADHD % iscritti ADHD stranieri ADHD

% stranieri ADHD a.s.12-13 10.337 1250 12,092% 33 0,319% 2 0,160% a.s.13-14 10.469 1263 12,064% 40 0,382% 4 0,317%

Tabella 7.5: alunni diagnosticati di cittadinanza non italiana

La percentuale di alunni stranieri con certificazione ADHD è decisamente inferiore a quello della popolazione italiana per quanto riguarda l’a.s. 2012-13, mentre i dati sono sostanzialmente omogenei per l’a.s. 2013-14. Gli stranieri con diagnosi sono duplicati da un anno all’altro ma i dati riferiti a solo due annualità non ci permettono di dire se la progressione possa corrispondere a un’incidenza annuale in crescita.

Non abbiamo per ora trovato nell’ambito della letteratura scientifica italiana degli studi che abbiano indagato la relazione tra individui di cittadinanza non italiana e ADHD.