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PARTE I: INQUADRAMENTO TEORICO

CAPITOLO 1: l’ADHD, deficit di attenzione, iperattività/impulsività

1.5 Le comorbilita’

Gli individui con ADHD presentano, oltre a manifestazioni legate ai sintomi nucleari, che si traducono in disturbi secondari e disfunzionalità, anche altre possibili associazioni psicopatologiche. Compito sostanziale del clinico è quello di verificare la presenza di possibili comorbilità, che possono essere trasversali se si presentano sincronicamente o possono essere longitudinali se compaiono in successione temporale. Caron e Rutter (1991) definiscono la comorbilità come “la presenza simultanea di due o più condizioni morbose non correlate”, mentre Mc Conaughy e Achenbach (1994) la spiegano come “coesistenza nello stesso individuo di due o più disturbi distinti” (in Scheriani, 2007, p.25).

Per gli ADHD è frequente la compresenza trasversale di patologie. Secondo Ianes “Oltre ¾ dei bambini con ADHD presentano un disturbo associato” (Ianes et al., 2009), mentre Barkley indica nell’80% la prevalenza di associazione tra ADHD e altri disturbi dello sviluppo neurologico (Barkley, 1996).

“La presenza contemporanea di più disturbi può avere un impatto più complesso sulla prognosi e sulla gestione del bambino, dell’adolescente e dell’adulto con ADHD (Ianes, 2009, p.47) Lo studio delle comorbilità è pertanto sostanziale per individuare raggruppamenti omogenei di pazienti al fine di analizzare clinicamente i fenomeni, precisare le prognosi e predisporre interventi puntuali. Tale studio risulta altresì utile per la comprensione dell’evoluzione naturale dell’ADHD dal bambino all’adulto, poiché l’associazione tra disturbi può variare nel corso della vita di un individuo.

Masi (2005) parla di “falsa” comorbilità nel caso in cui i casi clinici non rappresentano condizioni associate ma sono espressioni diverse dello stesso disturbo di ADHD, dovute a variabili del fenotipo, oppure nel caso in cui esistono diversi sottotipi, come le varianti genetiche, nella eterogenea sindrome di ADHD, che legittimano la multiformità della manifestazione

clinica. Lo stesso autore indica invece con “vera” comorbilità le situazioni in cui i sintomi sono ascrivibili a disturbi diversi ed indipendenti (come il disturbo della condotta o il disturbo depressivo) e situazioni in cui i disturbi sono tra loro dissimili ed indipendenti, ma la loro frequente associazione è attribuibile alla presenza di una vulnerabilità comune, genetica e/o ambientale. Masi dichiara inoltre che l’ADHD può rappresentare una manifestazione precoce del disturbo associato che può annunciarsi successivamente e che l’ADHD è una condizione che aumenta il rischio di comparsa di altri disturbi. (Masi, 2005, p.90)

Il DSM-5 (2013) riserva uno specifico paragrafo alle comorbilità dell’ADHD. Indica che il disturbo oppositivo provocatorio si mostra in circa la ½ dei bambini che presentano un ADHD del sottotipo combinato e circa in ¼ del tipo prevalentemente disattento. Il disturbo della condotta interessa circa ¼ dei bambini e degli adolescenti con tipologia combinata. Il manuale indica altre forme di comorbilità che afferiscono a: disturbi specifici di apprendimento, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia e disturbi depressivi (che si verificano in una minoranza di individui con ADHD, ma più spesso rispetto alla popolazione generale), disturbi di personalità antisociale, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo dello spettro autistico e “tic disorders”. Ianes (2009) segnala come comorbilità più frequenti quelle in associazione rispettivamente a: disturbo oppositivo provocatorio o disturbi della condotta, disturbi specifici di apprendimento, disturbi d’ansia, disturbi evolutivi della coordinazione. In precedenza le ricerche condotte da Munir et al. (1987) e Barkley (1981) hanno indicato come disturbi più frequenti in associazione all’ADHD le seguenti tipologie: disturbo oppositivo provocatorio e disturbo della condotta, disturbi di apprendimento, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo compulsivo e sindrome di Tourette, disturbi pervasivi dello sviluppo (autismo ad alto funzionamento) e ritardo mentale.

Per quanto attiene le prevalenze epidemiologiche dei fenomeni di comorbilità possiamo riferirci a Barkley (2006) che indica come molto frequente, ossia superiore al 50% l’associazione dell’ADHD al disturbo oppositivo provocatorio e al disturbo della condotta; mediamente frequente, ovvero con

incidenze inferiori al 40%, i disturbi specifici di apprendimento, i disturbi del linguaggio, il disturbo evolutivo della coordinazione e i disturbi d’ansia. Sempre secondo l’autore si presentano con percentuali inferiori al 20% comorbilità legate alla depressione, ai disturbi dello spettro autistico, al ritardo mentale e ai tic.

Da alcuni recenti dati italiani presentati nello studio di Reale et al. (2014), effettuato in relazione al Registro ADHD della Regione Lombardia, emerge che su un campione di clinico di 753 pazienti, di età compresa tra i 5 e i 17 anni, il 64% presenta uno o più disturbi psichiatrici in associazione. Le comorbilità più significative riguardano nel 35% dei casi i disturbi dell’apprendimento DSA, nel 14% i disturbi del sonno e nel 13% il disturbo oppositivo provocatorio. In precedenza Dell’Agnello et al. (2005), nella presentazione dei dati al Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia, hanno indicato le seguenti tipologie di comorbilità con l’ADHD: 64% disturbo oppositivo provocatorio (DOP), 55% disturbo d’ansia, 42% disturbi specifici di apprendimento (DSA), 37% depressione, 25%, disturbo della condotta.

Di seguito viene presentata una sintetica rassegna delle comorbilità rilevate come più frequenti in letteratura medica.

ADHD e disturbi del comportamento: disturbo oppositivo provocatorio (DOP), disturbo della condotta (DC)

I disturbi neuropsichiatrici della sfera comportamentale che con più frequenza –secondo la letteratura clinica internazionale e nazionale- si associano all’ADHD sono il disturbo oppositivo provocatorio (DOP) e il disturbo della condotta (DC).

Il primo si manifesta attraverso atteggiamenti suscettibili, ostili, di negazione e di sfida, che portano a compromissioni nel funzionamento sociale, accademico e professionale. Si esprime con maggiore evidenza nei soggetti che hanno temperamenti problematici e può associarsi o condurre a scarsa stima del sé, bassa tolleranza alle frustrazioni, labilità umorale e rischio precoce di dipendenze.

Il disturbo della condotta, spesso preceduto dal DOP, si manifesta attraverso una sistematica e persistente violazione dei diritti altrui e delle norme sociali in vari contesti di vita. I comportamenti sintomatici (prepotenze, minacce, intimidazioni, litigiosità, ecc.) si mostrano secondo una fenomenologia diversificata e -a seconda delle età- assumono forme via via più pesanti in bambini , adolescenti e adulti (aggressione, distruzione di beni, frode, furto, reati). Anche -e soprattutto per questo disturbo- le conseguenze sono estremamente pesanti sul piano del funzionamento relazionale, scolastico e lavorativo.

Le stime riferite alla compresenza di ADHD con queste due tipologie di disturbi comportamentali variano in letteratura. Come già anticipato il DSM-5 (2013) indica che nella popolazione generale il disturbo oppositivo provocatorio si presenta in circa metà dei bambini con ADHD di tipo combinato e in circa un quarto di coloro che hanno una diagnosi con prevalenza di disattenzione, mentre il disturbo della condotta interessa un quarto di bambini ed adolescenti con la tipologia combinata. Precedentemente le ricerche di Munir et al., (1987) hanno indicato una comorbilità tra ADHD e DOP pari al 59% e tra ADHD e DC del 36%. Altre ricerche italiane hanno indicato al 64% l’associazione con il disturbo oppositivo provocatorio (Dall’Agnello et al., 2005) e in 13% (Reale et al., 2014) e 25% (Dall’Agnello et al., 2005) la copresenza con il disturbo di condotta. Nel recente contributo di Pini, Novello, Baioni e Vio (2016) l’esame di un campione clinico di ADHD ha mostrato una comorbilità nel 69,4% dei casi, e -nello specifico- del 25% con il DOP.

Nel caso in cui l’ADHD si trovi associato a queste psicopatologie i sintomi nucleari si trovano ad essere aggravati attraverso un aumento di ansia, aggressività e bassa autostima, con conseguenti difficoltà relazionali. Si presenta quindi un forte rischio evolutivo che richiede tempestività negli interventi, al fine di evitare che ci possano essere progressioni verso disturbi a chiaro comportamento antisociale. In questa cornice le istituzioni scolastiche rivestono un ruolo di grande responsabilità nei possibili interventi anche alla luce del fatto che al di là di manifestazioni comportamentali

critiche è molto frequente una scadente resa scolastica, anche in presenza di un buon livello cognitivo (Masi et al., 2005)

ADHD e disturbi di apprendimento

I disturbi di apprendimento, noti più frequentemente con l’acronimo DSA, ovvero disturbi specifici dell’apprendimento, ostacolano nel soggetto il naturale esercizio di alcune abilità impedendo una completa autosufficienza nei percorsi apprenditivi. Non intervengono sul funzionamento intellettivo generale ma esclusivamente su specifici domini di abilità. In funzione del deficit funzionale si distinguono le condizioni cliniche di: dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Si tratta di disturbi evolutivi specifici che ostacolano i naturali processi di acquisizione della lettura, della scrittura e del calcolo. Le disfunzioni neurobiologiche, che si trovano all’origine dei DSA, e i fattori ambientali determinano –nella loro interazione- il fenotipo del disturbo. II deficit di attenzione e iperattività/impulsività e i disturbi di apprendimento risultano associati secondo una percentuale che varia tra il 25 e il 40% (Semrud-Clickeman et al., 1992; Willcutt et al., 2000). Il grado di sovrapposizione è pertanto diverso a seconda dei differenti studi.

Secondo Marzocchi i disturbi di apprendimento interessano il 40% dei bambini con ADHD che, pur mostrando abilità intellettive nella norma, presentano forti aree di problematicità in contesto scolastico. (Marzocchi, 2003, p.25)

La compresenza di tali disturbi è spiegata dallo stesso autore secondo tre ordini di ragioni:

• il soggetto con ADHD sviluppa difficoltà di apprendimento a causa dei suoi problemi di attenzione e impulsività;

• il bambino con disturbi di apprendimento diventa evitante e svogliato nello svolgere i compiti scolastici manifestando sintomi e comportamenti analoghi agli ADHD;

• i sintomi che afferiscono all’ADHD e al disturbo di apprendimento si presentano contemporaneamente e per ragioni indipendenti. (Marzocchi, 2003, pp.25-26)

I modelli patogenici sono pertanto differenti. Nel primo caso il deficit d’attenzione e iperattività/impulsività diventa favorente nel facilitare e sostenere l’emergere di difficoltà specifiche (Rapport, 1999); nel secondo caso il disturbo di apprendimento è il disordine primario cui si sovrappone l’ADHD (Willcut et al., 2005). Il terzo caso rappresenta l’associazione tra ADHD+DSA, ove non c’è rapporto causale tra i due disturbi, i quali –però- nella loro comorbilità aumentano il deficit funzionale e lo svantaggio evolutivo (Willcut et al., 2005; Faraone, 2001).

Per entrambi i disturbi è elevata la componente ereditaria. Il coefficiente di ereditabilità per l’ADHD è stimato al 70-80% (Faraone et al., 2005) e ad esempio per la dislessia si colloca tra il 40-60% (Gayan et al., 1999; Ziegler et al., 2005). Secondo lo studio di Germanò, Gagliano, Curatolo (2010), i tassi di associazione rilevati tra ADHD e dislessia sono:

Fig. 1.2 Comorbilità tra ADHD e dislessia, in Germanò, Gagliano & Curatolo, 2010

Gli individui in età scolare che presentano ADHD+DSA hanno difficoltà nell’eseguire o nel portare a termine le attività e i compiti, hanno prestazioni peggiori rispetto ai coetanei in prove che indagano le funzioni esecutive, manifestando in particolare difficoltà nell’autoregolazione, nella pianificazione e nella memoria di lavoro. In ambito scolastico mostrano inoltre comportamenti destabilizzanti che producono difficoltà relazionali con i pari e sollecitano nei docenti atteggiamenti di possibile discredito o sanzione. Le forti criticità e ricadute negative rispetto alle prestazioni accademiche producono percorsi cortocircuitati, generati dal fatto che “il bambino non

consegue buoni risultati, sviluppando problematiche motivazionali e d’immagine di sé che lo portano a evitare le attività scolastiche” (Ianes, 2009, p.49). Bambini e adolescenti con una tale comorbilità si ritrovano pertanto in una condizione di elevato rischio evolutivo, in cui la severità dei disturbi produce come effetti secondari una bassa autostima, problemi comportamentali e rischio di drop out scolastico (Willcut, 2001).

ADHD e disturbi dell’umore

Con l’espressione disturbi dell’umore vengono indicate le sindromi psicopatologiche contraddistinte da un’alterazione o un’anomalia del tono dell’umore che in condizioni normali consente a un individuo di rispondere e di adeguare le proprie reazioni all’ambiente circostante. Nel caso dei disturbi depressivi (depressioni monopolari e bipolari come indicato nel DSM-5, 2013) le variazioni dell’umore ~attraverso un’alterata regolazione in termini di inibizione o eccitazione- si accompagnano ad una serie di sintomi che producono nel soggetto disagio o disfunzioni persistenti nel proprio contesto di vita, sia esso sociale, accademico o professionale.

La comorbilità tra ADHD e disturbi dell’umore coesisterebbe in una percentuale variabile compresa tra il 15% e il 75% (Scheriani, 2007, p.29). La divergenza tra stime epidemiologiche può certamente essere attribuita alla difficoltà di leggere le sintomatologie depressive in termine di patologia associata all’ADHD o di conseguenze disfunzionali date dal disturbo primario. Quest’ultima lettura non trova però riscontro nel momento in cui i sintomi depressivi permangono anche di fronte ad una remissione dell’ADHD ed in tal senso le due psicopatologie risultano avere un decorso indipendente.

ADHD e disturbi d’ansia

I disturbi d’ansia indicano una diversificata tipologia di disturbi psichici che hanno come manifestazioni cliniche il disturbo generalizzato d’ansia, le fobie e il disturbo di panico. Si presentano attraverso comparsa d’inquietudine, paura e stati di tensione apprensiva che possono tradursi in differenti forme somatizzate. Negli individui con ADHD il disturbo d’ansia si presenta con una comorbilità pari al 30% (Scheriani, 2007) e può essere accresciuto se si

accompagna a situazioni ambientali negative, siano esse di natura familiare, scolastica, professionale. Le difficoltà di concentrazione in compiti cognitivi, l’irrequietezza motoria, l’irritabilità comportamentale e manifestazioni di demoralizzazione si presentano in soggetti con disturbi d’ansia, come anche in individui con ADHD. I bambini che presentano tale associazione patologica risultano meno impulsivi ed esposti a disturbi di condotta, mantenendo invece forti criticità in ambito relazionale, soprattutto nella fase adolescenziale. Ciò indica che tale comorbilità agisce in funzione protettiva nei confronti di una possibile devianza dissociale (Scheriani, 2007).

Dallo studio MTA condotto nel 2004, emerge che mentre nei soggetti senza comorbilità ansiosa il trattamento farmacologico o il trattamento combinato di farmaci e terapia pedagogico-comportamentale sono chiaramente più efficaci rispetto al solo trattamento psicoeducativo, nei bambini con comorbilità ansiosa la differenza tra trattamento comportamentale e trattamento farmacologico non è più significativa, mentre appare chiaramente superiore il trattamento combinato. Questi dati forniscono due indicazioni. In primo luogo l’utilità d’interventi non farmacologici; in secondo luogo il fatto che questi interventi, non centrati sui sintomi ansiosi quanto piuttosto sui sintomi nucleari dell’ADHD, migliorano comunque la sintomatologia ansiosa (Vulcani, 2011).

1.6 Eziopatologia del disturbo: aspetti neurobiologici e fattori di