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La necessità di gestire il rischio frane ha indotto gli studiosi a definire metodi di analisi e valutazione della pericolosità e del rischio da frana. Infatti sono stati sviluppati vari metodi per la valutazione della pericolosità e del rischio da frana anche se tali metodologie spesso risultano significativamente differenti da paese a paese e spesso nell’ambito dello stesso paese (Corominas et al. 2010). In tale contesto vi è una sempre più crescente necessità di disporre di strumenti di analisi quantitativa del rischio (QRA) che permettono di avere una quantificazione oggettiva del rischio ottenuta attraverso ben definiti dati di input e algoritmi di calcolo che rendono il risultato obiettivo e riproducibile e confrontabile da una posizione ad un’altra. Indicatori quantitativi possono consentire di svolgere anali costi benefici e costituiscono la base per la prioritarizzazione degli interventi. L’analisi quantitativa del rischio in generale richiede dati di input, quali (caratteristiche geologiche e geomeccaniche, modello digitale del terreno ecc) accurati perché le incertezze sui dati di input possono portare a valutazioni errate. Il rischio per un singolo scenario di frana può essere espresso come (Corominas et alii 2014):

B = Q(d ) ∗ Qef gd h ∗ QeSgf h ∗ ∗ i

dove R è il rischio del verificarsi di una frana di magnitudo d su un elemento a rischio si trova ad una distanza f dalla sorgente frana, Q(d ) è la probabilità di verificarsi di una frana di grandezza d , Qef gd h è la probabilità della frana di raggiungere un punto situato ad una distanza X dalla sorgente frana con intensità j, QeSgf h è la probabilità dell'elemento di trovarsi al punto X al momento del verificarsi della frana, Vij è il la vulnerabilità dell'elemento da una frana di magnitudo i e intensità j, e C è il valore dell'elemento a rischio. Per poter condurre un’analisi quantitativa del rischio è quindi necessario caratterizzare il pericolo da frana in termini di probabilità di accadimento e intensità e valutare quindi la vulnerabilità dell’elemento esposto considerato rispetto all’intensità o gravità della frana. La valutazione del rischio frana richiede un approccio multirischio rappresentato nello schema di figura 23 elaborato da Corominas et alii (2014), che fa riferimento agli studi di Van Westen et alii (2005), in cui sono anche rappresentate le diverse fasi di analisi (da A ad H). Nella fase A si acquisiscono i dati di input, nella fase B si effettua la valutazione della suscettibilità che può essere effettuata attraverso vari metodi e che ha come prodotto finale le mappe delle potenziali aree di innesco. La fase C riguarda la valutazione della pericolosità da frana che si basa sulla disponibilità

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di inventari delle frane e relative cause di innesco; correlando la distribuzione spaziale delle frane e i tempi di ritorno delle relative cause di innesco è possibile stimare le probabilità di accadimento di eventi di frana di una certa intensità. La fase D riguarda l’analisi degli elementi esposti e si avvale di strumenti GIS. La fase E si occupa della valutazione della vulnerabilità attraverso la definizione di diverse tipologie di vulnerabilità e diverse metodologie di valutazione.

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La fase F combina, attraveso la simulazione di diversi scenari, la pericolosità con la vulnerabilità dei singoli elementi per condurre nella fase G alla valutazione quantitativa del rischio e alla rappresentazione del rischio attraverso curve F-N sul piano probabilità numero di fatalità o probabilità indicatore della perdita. La fase H dello schema riguarda la valutazione qualitativa del rischio che viene rappresentato atraverso indici di rischio ponderati, relativi gradi (ad esempio bassi, moderata classificazione e alto) o numerica.

L’applicazione dell’analisi quantitativa del rischio richiede la definizione della probabilità di occorrenza dell’evento e la defizione di una funzione di danno dell’elemento esposto funzione del livello di intensità dell’evento stesso. Come già detto nel caso delle frane non è possibile definire un modello unico per tutte le tipologie di frana ma è necessario analizzarle per tipologie. A riguardo in letteratura si trovano alcuni modelli di fragilità. Tali modelli di fragilità per le infrastrutture stradali sono stati maggiormente sviluppati per il caso delle frane sismoindotte che verranno analizzati e nel capitolo 5. Tuttavia dal Rapporto sulle frane in Italia Ispra edizione 2007 si evince che la maggior causa di innesco dei movimenti franosi sono proprio le piogge intense o le piogge di lunga durata. Inoltre dal succitato rapporto si evince anche che le frane statisticamente rappresentano dopo i terremoti le calamità naturali che causano il maggior numero di vittime e di danni a centri abitati, infrastrutture, beni ambientali, storici e culturali. Basta pensare ad alcuni eventi di frana che hanno causato un numero elevato di vittime quali la catastrofe del Vajont dell’ottobre 1963 che causò 1917 vittime e le più recenti colate rapide del 5 maggio 1998 a Sarno, Quindici, Bracigliano, Siano e a S. Felice a Cancello con 153 vittime. Inoltre il rapporto mostra come le infrastrutture stradali sono gli elementi più danneggiati dalle frane (figura 24).

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I cambiamenti climatici, gli eventi estremi verificatesi negli ultimi anni e i devastanti danni diretti e indiretti prodotti dalle frane (Zezere et al., 2007, 2008; Jaiswal et al. 2010; Klose et al. 2015) sulle infrastrutture stradali hanno indotto i Gestori delle infrastrutture a cercare strumenti di analisi in grado fornire una valutazione del grado di vulnerabilità dell’infrastruttura al fine di meglio indirizzare le poche risorse a disposizione e ciò ha spinto la ricerca a sviluppare modelli di fragilità per tali tipi di eventi. Oggi non sono ancora presenti in letteratura molti studi sulla valutazione del rischio da frana sulle infrastrutture di trasporto Gavin et alii, (2016). Martinovic´et allii (2018) hanno proposto un modello di fragilità per la valutazione della perdita di prestazione dell’infrastruttura ferroviaria a causa di movimenti franosi superficiali innescati da eventi piovosi di varia intensità e durata. Nella figura 25 sono riportate le curve di fragilità per frane superficiali indotte da pioggia proposte da Martinovic´et allii (2018). Le curve rappresentano tre stati di danno e sono state tracciate per diversi valori di di angolo di inclinazione del versante (a), di intensità di pioggia (b) e di coefficiente di permeabilità (c).

Figura 25 curve di fragilità per frane pluvioindotte Martinovic´et allii (2018) per diversi valori di angolo di inclinazione del versante (a), di intensità di pioggia (b)

e di coefficiente di permeabilità (c).

a)

b)

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4 Rischio sismico

L’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica. La sismicità più elevata si concentra nella parte centro-meridionale della Penisola, lungo la dorsale appenninica, in Calabria e Sicilia e in alcune aree settentrionali, come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna non risente particolarmente di eventi sismici.