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Fenomeni di natura geotecnica associate ad un evento sismico

In uno studio condotto nel 1969 da Seed ed Idriss sulle registrazioni accelerometriche effettuate in occasione del terremoto di S. Francisco del 1957, emersero risultati che indicavano come nell’ambito della stessa città, a poche centinaia di metri di distanza, lo stesso terremoto provocasse scuotimenti decisamente differenti in dipendenza degli spessori e delle caratteristiche dei terreni più soffici presenti negli strati più superficiali. Ulteriori studi effettuati in anni successivi, utilizzando le registrazioni accelerometriche e modelli strutturali di edifici, mostrarono come essi risentissero di forze sismiche molto diverse, sia in termini di risultante globale, sia in termini di contenuto in frequenza, spiegando in tal modo alcune evidenti differenze di danneggiamento riscontrate in strutture simili su terreni diversi. Successivamente gli studi su molti terremoti (es. Città del Messico, 1986; Kobe, 1992; Izmit, 1999) hanno continuato a mostrare con sempre maggiore evidenza come le caratteristiche locali del territorio possano alterare in maniera evidente l’azione sismica. Anche in Italia, le registrazioni accelerometriche degli ultimi eventi sismici rese disponibili dall’INGV hanno mostrato come i livelli di scuotimento variano a seconda dell caratteristiche locali del sito.

In relazione al comportamento che i terreni di fondazione presentano in occasione di un determinato evento sismico, essi possono essere suddivisi, in prima approssimazione, in due grandi categorie : “terreni instabili” e “terreni stabili”. Alla prima categoria appartengono quei terreni nei quali, durante un determinato evento sismico, si possono avere fenomeni di instabilità, locali o generalizzati, associati a grandi movimenti di massa (movimenti franosi, crolli di roccia, ecc.) o elevate deformazioni permanenti e cedimenti (causati ad esempio dalla presenza di cavità, da fenomeni di liquefazione dei terreni sabbiosi saturi, dalla densificazione di terreni granulari sopra falda, dalla dislocazioni di faglie attive, ecc.). Tali fenomeni possono provocare conseguenze catastrofiche per le opere sovrastanti, anche se dimensionate con criteri antisismici.

Alla categoria dei terreni stabili appartengono invece quei terreni nei quali, durante il terremoto, gli sforzi indotti dall’azione sismica risultano inferiori alla loro resistenza al taglio. In tal caso, come conseguenza delle caratteristiche geomorfologiche e geotecniche del deposito o dell’ammasso roccioso, si ha una modificazione del moto sismico in arrivo al sito, di cui vengono esaltate alcune componenti e attenuate delle altre, e i cui effetti globali sono una maggiorazione o riduzione delle azioni sismiche , che possono essere trasmesse alle sovrastanti strutture, rispetto a quelle che si avrebbero se alla superficie del deposito affiorasse la roccia o un terreno molto duro pianeggiante.

Appare evidente che, per valutare le azioni sismiche sulle costruzioni, oltre a definire il terremoto atteso di riferimento su terreno rigido al bedrock o su roccia affiorante desumibile dalle mappe di

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pericolosità citate nel precedente paragrafo è necessario conoscere le modifiche che subiscono le onde sismiche nel tratto finale del loro percorso dalla sorgente alla superficie, e che a seconda della natura dei terreni e in particolare della loro rigidezza e resistenza al taglio, possono comportare, in corrispondenza di particolari eventi sismici, anche delle instabilità, locali o generalizzate, ed elevati cedimenti e deformazioni del terreno. Proprio la quantificazione degli effetti locali è l’obiettivo di degli studi di microzonazione sismica il cui esito è una suddivisione del territorio in zone a diversa pericolosità sismica. Lo scopo di uno studio di (micro)zonazione sismica è appunto quello di assicurare, a opere con caratteristiche simili, un livello di protezione sismica uniforme su tutto il territorio. Nel manuale “Manual for Zonation on Seismic Geotechnical Hazards” (TC4, 1993) (Technical Committee n° 4 for Earthquake Geotechnical Engineering) della ISSMFE (International Society of Soil Mechanics and Foundation Engineering) vengono prese in esame tre grandi categorie di fenomeni di natura geotecnica associate ad un evento sismico:

− la risposta sismica locale; − l’instabilità dei pendii; − la liquefazione.

Per ciascuna di queste vengono presentate alcune metodologie di zonazione, suddivise secondo tre diversi livelli di approfondimento (I,II,III), in relazione all’estensione dell’area da esaminare, al tipo di dati disponibili o acquisibili, al livello di dettaglio della cartografia.

Il I livello (denominato nel Manuale TC4 “Zonazione Generale”) è suggerito per la zonazione di aree molto estese; fornisce indicazioni abbastanza approssimative e richiede un impegno economico limitato. Necessita della raccolta e dell’interpretazione di dati esistenti: notizie sui terremoti storici avvenuti nella zona in esame, informazioni relative alla sismicità, alla geologia e alla geomorfologia. Consente la redazione di mappe in scale comprese tra 1:1.000.000 a 1:50.000, con un contenuto informativo strettamente dipendente dalla qualità dei dati utilizzati.

I metodi di II livello (denominato nel Manuale TC4 “Zonazione Dettagliata”) richiedono, rispetto ai precedenti, la disponibilità di una documentazione più specifica e di maggior dettaglio per la caratterizzazione geologica, geotecnica e geomorfologica dell’area oggetto di studio, da integrare eventualmente mediante analisi speditive in sito. Per ciascuna delle tre categorie di fenomeni geotecnici considerate, i vari metodi possono prevedere anche l’utilizzo di dati particolari relativi al territorio e alle condizioni ambientali: ad esempio la misura di microtremori per la previsione del moto sismico atteso in superficie, i dati pluviometrici e sulla vegetazione per l’instabilità dei pendii, la raccolta di testimonianze locali sugli effetti di terremoti passati e l’uso di foto aeree e telerilevamento per la zonazione nei riguardi di franosità e liquefazione. Le metodologie di II livello comportano costi contenuti e consentono la redazione di carte in scale comprese tra 1:100.000 e 1:10.000.

L’applicazione dei metodi di III livello (denominato nel Manuale TC4 “Zonazione Rigorosa”) richiede una caratterizzazione approfondita e accurata dell’area in esame, ottenuta per mezzo di rilievi topografici e di specifiche indagini geologiche e geotecniche in sito e in laboratorio. Il modello

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analitico definito sulla base di questi dati viene poi trattato facendo generalmente ricorso all’impiego di procedure numeriche di calcolo automatico. Gli studi di zonazione condotti con un livello di approfondimento così alto presentano costi elevati, anche se spesso costituiscono uno strumento indispensabile per la prevenzione sismica. Per la rappresentazione cartografica dei risultati delle analisi di III livello, vengono indicate nel Manuale di Zonazione scale comprese tra 1:25.000 e 1:5.000. Nella tabella 17 sottostante vengono sintetizzati i livelli di approfondimento per le tre categorie di fenomeni geotecnici definiti all’interno del manuale TC4.

Tabella 17 Uso dei dati e scale di rappresentazione per i tre livelli di zonazione Manual for Zonation on Seismic Geotechnical Hazards (TC4, 1993)