• Non ci sono risultati.

4. Lo sviluppo progressivo dei diritti delle donne precedente alla

4.5. Dagli anni ’90 in poi

Prima degli anni ’90, la violenza e discriminazione contro le donne non era considerata come una questione di primaria importanza, e per questo veniva affrontata come un fenomeno che necessitava solo di un’azione a livello governativo statale penale nazionale,

131 SIMONOVIC D., Global and regional standards on violence against women: The evolution and synergy of the CEDAW and Istanbul Convention, Human Rights Quarterly, vol. 36, n. 3, 2014, p. 13

132 V. Supra, alla nota 131, p. 17 66

133 Riserve e dichiarazioni della CEDAW consultabili al sito http://daccess-dds-

ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N06/309/97/PDF/N0630997.pdf?OpenElement visitato il 5/11/2015

134 V. Supra, alla nota 131, p. 4

135 VESA, International and regional standards for protecting victims of domestic violence, Journal of

gender, social policy and the law, vol. 12, n. 2, 2011, p. 7

47

piuttosto che a livello di diritto internazionale137. A causa di questo, infatti, i primi tipi di trattati internazionali in materia di donne riguardavano perlopiù determinati ambiti specifici come il traffico delle donne e lo sfruttamento a livello sessuale, criticati successivamente per il loro carattere protettivo limitato, piuttosto che appoggiare l’empowerment femminile e il miglioramento della loro condizione138.

Rilevante per la dottrina precedente alla Convenzione di Istanbul, è anche la Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani del 1993 svoltasi a Vienna, che viene considerata pietra miliare per i diritti delle donne, poiché adotta una prospettiva di genere atta a valorizzare la naturale differenza tra uomo e donna, favorendo le pari opportunità in ogni ambito della vita139.

Per la prima volta, infatti, è affermato espressamente il riconoscimento secondo cui i diritti delle donne sono diritti umani uguali ai diritti degli uomini. Si supera così un nuovo livello del diritto internazionale riguardante il riconoscimento dei diritti umani delle donne, che crea un nuovo sistema giuridico improntato al gender-neutral140, basato sul

ricorso al concetto di differenza e all’affermazione di un vero e proprio diritto alla diversità delle donne come unica possibilità per l’affermazione dei loro diritti e una più equa parità. Questo passo favorisce la nascita dell’identità femminile141, che, per diverse ragioni, fino a questo momento non era mai riuscita ad emergere, e scardina la concezione del mondo basata su una società al maschile, fondata sulla convinzione che le donne siano esseri inferiori o che le violenze nei loro confronti siano consuetudini private in cui lo Stato non debba interferire142.

Il fatto che, inoltre, molti atti di violenza di genere fossero ammessi e non considerati come una violazione dei diritti umani, poiché le donne non erano incluse nella definizione, ha condotto ad un’azione a livello internazionale che avesse lo scopo di inserire questi determinati atti di violenza all’interno dei diritti umani delle donne,

137 EDWARDS A., Violence against women under International Human Rights Law, Cambridge University

Press, New York, 2011, p. 7

138 SIMMONS B. A., Equality for women ‘Mobilizing for human rights, International law in domestic politics, Cambridge University press, 2009, p. 207

139 V. Supra, alla nota 125

140 DE BELLIS S., Studi sui diritti umani, ed. Cacucci, 2010, p. 222 141 V. Supra, alla nota 126

48

distinguendoli, quindi, dai diritti umani in generale, per favorire il fatto che questa specificità potesse diventare un criterio autonomo di ridefinizione della politica e punto di partenza per una migliore uguaglianza tra i sessi. Perciò, partendo da una logica iniziale di tipo protettivo nei confronti del genere femminile, vietando poi, ogni tipo di discriminazione sessista, si sfocia in un metodo innovativo quale la prospettiva di genere, basandosi sul presupposto che vi sia una condizione di oggettiva diversità tra uomini e donne che deve essere tutelata143.

La Dichiarazione finale della Conferenza di Vienna inoltre, chiede nello specifico la formulazione di una bozza di dichiarazione sulla violenza contro le donne e la nomina di un Relatore Speciale che si occupi del tema nel dettaglio144. Ed infatti, successivamente, nello stesso anno, nel 1993, è adottata da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU con la Risoluzione 48/104, la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993145, che contiene al suo interno, la definizione più diffusa di violenza contro le donne, considerata in relazione all’ambito privato e pubblico, e reputata una manifestazione delle relazioni di potere storicamente diseguali tra uomo e donna. Questo, infatti, è il primo trattato globale146, che però non è ancora vincolante ed anticipa alcuni dei tratti innovativi della Convenzione di Istanbul147, tra cui al suo interno si trova un riferimento al genere all’articolo 1, diversamente dalla CEDAW148.

Nonostante le innovazioni concettuali presenti nella Dichiarazione però, manca ancora un’affermazione specifica di violazione dei diritti delle donne come diritti umani, che si sviluppa in seguito, a partire dagli anni ’90, a conseguenza delle tragedie della guerra civile in Ex Jugoslavia e del genocidio avvenuto in Ruanda149, accompagnati da altri scontri a carattere etnico, che hanno portato all’attenzione mondiale le violenze perpetrate

143 DE BELLIS S., Studi sui diritti umani, ed. Cacucci, 2010, p. 222 ss.

144 EDWARDS A., Violence against women under International Human Rights Law, Cambridge University

Press, New York, 2011, p. 9

145 Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 consultabile al sito http://www.un.org/documents/ga/res/48/a48r104.htm

146 SIMONOVIC D., Global and regional standards on violence against women: The evolution and synergy of the CEDAW and Istanbul Convention, Human Rights Quarterly, vol. 36, n. 3, 2014, p. 13

147 PAROLARI P., La violenza contro le donne come questione (trans)culturale. Osservazioni sulla Convenzione di Istanbul, D&Q, n. 14/2014, Palermo, 2013, p. 4

148 V. Supra, alla nota 147, p. 12

149 European Training and research Centre for Human Rights and Democracy, Manual on Human Rights Education ‘Understanding Human Rights’, 2003, p. 184

49

specificatamente nei confronti delle donne150. Infatti, questi tipi di crimini hanno contribuito a cambiare il modo di considerare gli abusi contro le donne durante i conflitti, e di riconoscerli come crimini perseguibili dalla comunità internazionale, iniziando a considerare i diversi fattori di rischio che facilitano la diffusione delle violenze, favorendone la relativa tutela151. Questo a conseguenza delle pratiche avvenute durante il conflitto in Ruanda e in Ex Jugoslavia, in cui le donne erano stuprate, molestate sessualmente, incarcerate, ingravidate forzatamente, in quanto questi atti erano parte delle strategie politiche e militari, atte a degradare e umiliare le vittime e le loro famiglie, attraendo così la condanna e la disapprovazione a livello mondiale152. Questo tipo di approccio e di sdegno ha dato luogo, quindi, ad una serie di sentenze e decisioni, nelle quali lo stupro e le molestie sessuali, sono state inizialmente reputate come forme di genocidio, tortura, e altri gravi crimini di guerra da perseguire e punire totalmente153. Le radici della dottrina in merito ai diritti delle donne che hanno contribuito alla formulazione della Convenzione di Istanbul, risalgono anche ad alcune azioni del Consiglio d’Europa degli anni ’80 e ’90154, tramite la Raccomandazione R(85)4 riguardante le violenze in famiglia, seguita poi, dalla Raccomandazione R(90)2 sulle misure sociali riguardanti le violenze in famiglia, della Commissione dei Ministri del Consiglio d’Europa155.

Nel 1994, poi, per facilitare l’analisi approfondita dell’argomento, la Commissione per i diritti umani ONU, adotta la Risoluzione 1994/45156, con cui viene creato il ruolo di Relatrice Speciale per la Violenza contro le donne, che ha lo scopo di studiare le cause e le conseguenze del fenomeno, raccogliere dati, e fornire raccomandazioni157.

150 DEGANI P. Diritti umani e violenza contro le donne: recenti sviluppi in materia di tutela internazionale,

Padova, 2000, p. 70

151 MEYERSFELD B., Domestic Violence and International Law, Hart Publishing, 2012, p. 22

152 EDWARDS A., Violence against women under International Human Rights Law, Cambridge University

Press, New York, 2011, p. 7

153 V. Supra, alla nota 152

154 FAEDI DURAMY B., Judicial Developments in the Application of International Law to Domestic Violence, Golden Gate University School of Law, 2012, p. 9

155 MEYERSFELD B. C., Introductory note to the Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence, American Society of International Law, vol. 51,

n. 1, 2012, p. 4

156 Risoluzione 1994/45 consultabile al sito

http://www.ohchr.org/EN/Issues/Women/SRWomen/Pages/SRWomenIndex.aspx 157 V. Supra, alla nota 152, p. 9

50

In particolare, si ricorda la relazione del 2006 della Relatrice Speciale che fornisce un modello ideale di legislazione nazionale per combattere al meglio la lotta alla violenza domestica158, suddiviso in quattro aree: la prevenzione attraverso l’adozione di una legislazione specifica in merito all’argomento, la criminalizzazione degli atti di violenza attraverso la conduzione di adeguate indagini, la protezione attraverso la fornitura di servizi a tutela delle vittime e la riparazione del danno subito159.

Diversamente da come funzionano i trattati sui diritti umani, il mandato della Relatrice Speciale non è legato a ratifiche, a trattati internazionali o a periodici report, motivo per cui detiene un mandato slegato da questi, più ampio e concentrato solo sul tema dei diritti delle donne. Allo stesso tempo però, non è obbligatoria la partecipazione degli Stati a collaborare con la Relatrice, ragion per cui i report redatti dalla suddetta fanno parte della ‘soft law’ non essendo vincolanti e quindi poco influenti160. Ciò nonostante, le Relatrici Speciali nel tempo si sono occupate di diversi temi, tra cui la violenza in famiglia, il traffico di esseri umani, i diritti riproduttivi, la violenza contro le donne, e l’impatto delle politiche sociali ed economiche nei confronti delle donne161.

Importante nella progressione dello sviluppo della materia dei diritti delle donne, si ricorda anche la Conferenza Internazionale sulle Popolazioni e lo Sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994, che ha riconosciuto la stretta connessione tra l’empowerment femminile e la protezione dalla violenza di genere contro le donne, come elementi chiave nell’avanzamento della condizione femminile 162.

Oltre alle Nazioni Unite, però, anche altre organizzazioni regionali si sono avvicinate al tema della violenza e discriminazione di genere, come ad esempio il sistema Inter- Americano dei diritti umani, che ha stipulato la Convenzione Inter-Americana sulla

158 Rapporto della Relatrice Speciale consultabile al sito http://www.refworld.org/docid/45377afb0.html 159 DE VIDO S., States' Due Diligence Obligations to Protect Women from Violence: A European Perspective in Light of the 2011 CoE Istanbul Convention, European Yearbook on Human Rights, 2014, p.

372

160 EDWARDS A., Violence against women under International Human Rights Law, Cambridge University

Press, New York, 2011, p. 9

161 V. Supra, alla nota 160 162 V. Supra, alla nota 160

51

prevenzione, punizione e sradicamento della violenza contro le donne di Belém do Parà163 del 1994, ratificata da quasi tutti gli Stati Americani164.

Questo tipo di azione a livello regionale, si affianca agli strumenti e alle azioni pensate dalla comunità internazionale, poiché tramite l’adozione di convenzioni e impegni regionali si ha la possibilità di avvicinarsi al problema della violenza e discriminazione di genere attraverso un’ottica locale integrando il sistema americano dei diritti delle donne165, che permette di definire le misure e gli strumenti adatti alla situazione secondo le specificità del luogo, ma calibrati agli standard internazionali: questo tipo di nuova concezione inizia proprio con la Convenzione di Belém do Parà166.

Anche questa Convenzione considera la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, includendo tutti i tipi di violenza fisica, sessuale, psicologica, commessa all’interno dell’ambito domestico o della famiglia o all’interno di qualunque altra relazione interpersonale e nella comunità167.

L’applicazione della stessa è valutata attraverso il meccanismo di Follow Up168 che ne

vaglia l’attuazione, senza fissare strumenti concreti a garanzia dell’attuazione di atti violenti contro le donne, ma, fornisce la possibilità di presentare petizioni individuali, come definito dall’articolo 12. Si nota, quindi in questo caso, l’approccio olistico nei confronti del problema della violenza di genere, coadiuvato da interventi d’emergenza verso le vittime e i gruppi sociali vulnerabili169.

Importante sottolineare, inoltre, come la Convenzione di Belém do Parà sia stata ratificata anche dall’Italia a Novembre del 2013170, come primo Stato non americano, nel giorno del suo ventesimo anniversario, con l’intento di promuovere un maggiore sforzo a livello

163 Convenzione di Belém do Parà consultabile al sito http://www.oas.org/en/mesecvi/convention.asp 164 UN WOMEN, Handbook for national action plans on violence against women, New York, 2012, p. 7 165 DEL VECCHIO A., La tutela dei diritti delle donne nelle convenzioni internazionali, in Atti del

Convegno in memoria di Luigi Sico, Napoli, 2011, p. 8

166 VESA, International and regional standards for protecting victims of domestic violence, Journal of

gender, social policy and the law, vol. 12, n. 2, 2011, p. 40

167 V. Supra, alla nota 166

168 Follow Up Mechanism consultabile al sito http://www.oas.org/en/mesecvi/convention.asp 169 V. Supra, alla nota 166

170 Firma dell’Italia alla Convenzione di Belém do Parà consultabile al sito

http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/primo-piano/2414-violenza-sulle-donne-italia-prima-in-ue- a-firmare-convenzione-belem-do-para

52

internazionale generale anche nei confronti della firma e ratifica della Convenzione di Istanbul e aumentare la collaborazione comune a livello mondiale per l’eliminazione delle violenze e discriminazioni sulle donne171.

Successivamente, si ricorda la Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, di Pechino del 1995, focalizzata sulla realizzazione dell’empowerment femminile, considerato essenziale per il pieno esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali da parte delle donne, che consiste nell’attribuzione di potere, autorità, responsabilità alle donne nei diversi contesti, nei processi decisionali di tutti i tipi. Si sollecita, quindi, la partecipazione femminile attiva e il gender mainstreaming, ossia l’inserimento sistematico di una prospettiva di genere in ogni azione e scelta statale, focalizzandosi sull’importanza della salute172. Infatti, il gender mainstreaming è stato definito dall’ONU come il processo che includa tutte le azioni previste per la tutela di uomini e donne173, dal punto di vista legislativo, politico, attraverso programmi che coinvolgano tutte le aree e tutti i livelli174.

Rilevante di questa Conferenza, quindi, è stato considerare l’aspetto del particolarismo culturale, subordinato al valore centrale della persona in ogni contesto in cui si venga a trovare. Attraverso l’empowerment femminile, infatti, si rendono coscienti le donne riguardo alla loro vittimizzazione, con lo scopo di una successiva reazione a divenire protagoniste e ‘proprietarie’ delle loro stesse vite, cambiando la prospettiva da vittima a persona indipendente e fautrice della propria vita175.

Ulteriormente, la Conferenza di Pechino è particolarmente rilevante poiché introduce la violenza contro le donne nell’agenda dei diritti umani femminili, identificandola come uno dei temi principali tra i dodici delineati176. Infatti, inserisce alcuni atti di violenza

171 COE, Regional tools to fight violence against women: The Belém do Parà and Istanbul Conventions,

2014, p. 14

172 DEGANI P. Nazioni Unite e ‘genere’: il sistema di protezione internazionale dei diritti umani delle donne, 2001, p. 53

173 ONU, A/52/3/Rev.1, Agreed Conclusion, 1997, consultabile al sito

http://www.un.org/documents/ga/docs/52/plenary/a52-3.htm

174 EDWARDS A., Violence against women under International Human Rights Law, Cambridge University

Press, New York, 2011, p. 26

175 SOKOLOFF - DUPONT, Domestic violence at the intersections of race, class, and gender, Vol. 11 N.

1, Violence against women, 2005, p. 49

53

precedentemente non considerati nella DEVAW, come gli stupri sistematici, le gravidanze forzate durante i conflitti armati, ma non in periodo di pace, la schiavitù sessuale, la sterilizzazione forzata, l’aborto forzato, l’infanticidio femminile, e la selezione basata sul sesso prenatale177.

In seguito, si ricorda anche la Conferenza di Roma per la scrittura della bozza dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale del 1998 178, entrato in vigore nel 2002, che al suo interno regola alcune violazioni dei diritti delle donne, come lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione, la gravidanza, la sterilizzazione forzata, e qualsiasi altra forma di violenza sessuale di gravità comparabile (art. 7), sottolineando l’importanza di proteggere e tutelare le vittime di abusi (art. 68)179.

Lo Statuto, quindi, contribuisce significativamente a concentrare l’attenzione internazionale sul fenomeno della violenza contro le donne, qualificandolo anche come un crimine di guerra se perpetrato durante conflitti, e come crimine contro l’umanità180. Le successive Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul tema delle violenze durante i conflitti armati, hanno condotto alla trasformazione del tema della violenza di genere in un tema politico globale di importanza comune, sottolineando l’importanza di combattere le cause e gli effetti della violenza durante i conflitti nell’immediato, ma adottando anche un approccio di lungo periodo che favorisca l’accesso delle donne alla ricostruzione post-bellica181.

Si ricorda anche, la quinta Conferenza Mondiale delle Donne svoltasi a New York nel 2000, denominata Pechino+5, in seguito alle quale tutti gli Stati membri dell’ONU hanno firmato gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio182 da raggiungere entro il 2015183, tra cui se ne trovano due riguardanti la situazione femminile, riguardanti la promozione della

177 EDWARDS A., Violence against women under International Human Rights Law, Cambridge University

Press, New York, 2011, p. 10

178 Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale consultabile al sito

http://www.oas.org/en/mesecvi/convention.asp

179 European Training and research Centre for Human Rights and Democracy, Manual on Human Rights Education ‘Understanding Human Rights’, 2003, p. 184

180 V. Supra, alla nota 179 181 V. Supra, alla nota 179

182 Obiettivi di Sviluppo del Millennio o Millennium Development Goals (MDG) consultabili al sito http://www.undp.org/content/undp/en/home/mdgoverview/mdg_goals.html

54

parità dei sessi, l’autonomia delle donne, e la riduzione della mortalità materna, senza considerare specificatamente la violenza contro le donne184.

A conseguenza di questo quindi, dal 2000 in poi, il diritto internazionale ha iniziato a considerare la violenza domestica come una specifica manifestazione della violenza contro le donne, che grazie allo sviluppo successivo della dottrina ha condotto a considerare gli atti di violenza contro il sesso femminile come una violazione dei diritti umani185. Oltre a ciò, a seguito di questa Conferenza, si sono riconosciuti ulteriori atti di discriminazione contro le donne, riconoscendo legami tra la violenza di genere e i pregiudizi, il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia, la pornografia, la pulizia etnica, i conflitti armati, l’occupazione straniera, l’estremismo religioso e anti-religioso, e il terrorismo186.

Inoltre, entro la fine degli anni ’90, in seguito agli sviluppi citati del diritto penale internazionale, lo stupro perpetrato da forze dell’ordine statali a scopo di interrogatorio o come mezzo per forzare le confessioni di donne in custodia statale, è stato riconosciuto come forma di tortura dagli strumenti di diritto umanitario internazionali e regionali187.