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Appendice I: la Regia nel Foro Romano

NELL’AREA TIRRENICO-LAZIALE

2.8. Appendice I: la Regia nel Foro Romano

Dopo gli scavi di fine Ottocento e inizio Novecento, i sondaggi archeologici di nuovo condotti dall’American Academy in Rome nei pressi dell’antica Sacra via, tra il 1964 e il 1965, hanno definitivamente portato alla luce, ma non senza difficoltà interpretative, le vestigia della Regia repubblicana, che mostra in realtà una stratificazione risalente addirittura al VII secolo.165

Secondo la ricostruzione della pianta,166 la Regia comprendeva una corte

colonnata e di forma trapezoidale, ampia e perciò capace di raccogliere molte persone, al cui centro stava una cisterna che doveva servire come deposito per i cereali.167 Il suo lato meridionale si collegava tramite apertura ad un corpo di

fabbrica compatto, costituito da tre ambienti in serie: da quello centrale, l’ingresso, si entrava nelle due stanze laterali, che dovevano rappresentare il vero cuore del complesso cultuale. Infatti, la più piccola stanza orientale era presumibilmente il sacrario di Ops Consiva, dea della ricchezza agricola e del deposito granario, della quale è documentata la presenza nella Regia dalle fonti.168 Il simmetrico ambiente occidentale, più ampio, era invece il sacrario di

Marte, come conferma l’esistenza nel pavimento di una struttura circolare in blocchi, riconducibile al focolare attestato proprio nel sacrarium Martis, dove si concludeva ogni anno la cerimonia dell’Equus October.169

165 Per un resoconto degli scavi effettuati nel Foro tra ’800 e ’900, cfr. Brown, New Soundings, pp. 48-50 (con bibliografia precedente). Tralasciamo invece le presunte tracce di un’altra Regia, più antica di quella del Foro e collocata sul Palatino, di cui si è occupato A. Carandini, Palatino, Velia e Sacra via. Paesaggi urbani attraverso il tempo, Roma 2004, p. 53.

166 La pianta è stata ricostruita da F.E. Brown: cfr. Id., La protostoria della Regia, «RPAA» 47 (1974-75), pp. 15-36. Cfr. anche Coarelli, Il Foro Romano I, pp. 59-62, e da ultimi Cornell, The Beginnings of Rome, pp. 239-241, e Scott, s.v. Regia, pp. 189-192.

167 Secondo Ampolo, Analogie, p. 444 nota 6, quando Liv. 26, 27,3 e 27, 11,16 parla di un atrium regium a proposito dell’incendio che nel 210 a.C. interessò la zona del Foro, potrebbe alludere proprio al cortile trapezoidale. Cfr. Coarelli, Il Foro Romano I, p. 60 con figg. 16-17 (sezione del cortile con la cisterna) e pp. 22 e 65 (sull’atrium regium).

168 Significativa è soprattutto la testimonianza di Varro l.L. 6, 21, a proposito delle ridotte dimensioni del sacrario: Opeconsiva dies ab dea Ope Consiva, cuius in Regia sacrarium quod adeo artum, ut eo praeter virgines Vestales et sacerdotem publicum introeat nemo. Importante è anche Fest. pp. 202-204 e 292 L: nel sacrario si custodiva il praefericulum, un vaso di forma particolare usato per i sacrifici. Per un commento a queste fonti, cfr. P. Pouthier, Ops et la conception divine de l’abondance dans la religion romaine jusq’à la mort d’Auguste, Rome 1981, pp. 59-61.

169 Cfr. Fest. pp. 190 L (s.v. October equus) e 439 L (s.v. Salias virgines); Gell. n.A. 4, 6,1-2; Serv. ad Aen. VII 603 e VIII 3: in questo sacrario erano conservati gli ancilia dei Salii e le hastae Martis. A proposito si veda G. Radke, October equus, «Latomus» 49 (1990), pp. 343-351.

Con questi dati, Ampolo ha cercato di dimostrare che i Romani, nel costruire la Regia, intesero ispirarsi nientemeno che al modello di Atene. Punto di partenza della sua discussione è l’esame delle somiglianze riscontrabili tra la pianta della Regia – rifatta appunto verso il 500 a.C. e separata da quel complesso che si è visto abbracciare l’aedes Vestae, la domus publica e la domus Vestalium –170 con quella del presumibile pritaneo arcaico sul lato Ovest

dell’Agorà di Atene, innalzato verso il 540 (nel luogo in cui sarebbe stata costruita, dopo la distruzione persiana, la celebre tholos), nell’insieme di edifici dove aveva posto anche il sacello destinato significativamente a conservare la koine Hestia.171 Ebbene, lo studioso giunge alla conclusione che Roma – alla fine

del VI secolo – si ispirò, forse addirittura per contatto diretto, proprio all’esempio ateniese, da un punto di vista architettonico oltre che concettuale e politico. Infatti, i Romani, al momento in cui fu abbattuto il dominio dei Tarquinî, avrebbero voluto guardare all’Acropoli della città greca in cui quasi nel contempo si era abbattuta un’analoga tirannide, quella dei Pisistratidi.172 Analogamente,

alcune somiglianze tra il rex sacrorum e l’arconte-re ateniese (la cui sede, peraltro, era connessa con il pritaneo) hanno fatto pensare allo studioso che, nel creare il re dei sacrifici, i Romani volessero riallacciarsi ad un’istituzione attica: così si spiegherebbero sia il legame proprio non solo del rex sacrorum ma anche dell’arconte-re con il culto di Vesta-Hestia, sia la collaborazione ai riti garantita loro da entrambe le consorti, la regina sacrorum e la basilinna.173

La proposta interpretativa di Ampolo è senza dubbio affascinante: in generale, perché vorrebbe dimostrare che i Romani, già a fine VI secolo, avevano raggiunto una maturità politica tale da potersi confrontare, anche

170 Cfr. supra, Cap. 1.3: questo insieme di edifici era tutto legato alla figura del sovrano, al punto che nelle fonti antiche il termine Regia viene usato talvolta in maniera estensiva.

171 Figure con la ricostruzione completa delle piante degli edifici ateniesi in questione sono consultabili in appendice all’articolo di Ampolo, Analogie, pp. 458-460.

172 Ampolo, Analogie, pp. 452-457, dove si affronta pure il problema dello sviluppo a Roma del culto di Vesta e della relativa cronologia: secondo lo studioso, l’identificazione Hestia-Vesta potrebbe essere avvenuta anche con la mediazione della città di Lavinio, nota come uno dei centri attraverso cui penetrarono a Roma i culti greci (ad es. quello di Castore e Polluce). Sul culto romano di Vesta, torneremo infra, nel Cap. 3.

173 Cfr. Ampolo, Analogie, pp. 450-452. Raffronto diretto del rex sacrorum con l’arconte-re è rintracciabile già nel testo, pur integrato, di Dion. Halic. 4, 74,4 (in un discorso di Bruto a Lucrezio e Collatino: vedi supra, nota 40 al Cap. 1).

concettualmente, con la polis che, di lì a qualche decennio, sarebbe diventata la più potente della Grecia; nel dettaglio, perché ha il merito di valorizzare i dati archeologici per sottolineare il legame tra il rex sacrorum e le sacerdotesse di Vesta, su cui dovremo tornare più avanti. Allo stesso tempo, contro una simile ricostruzione possono essere sollevate alcune obiezioni, alla luce del convincimento – rafforzato dall’indagine sui reges sacrorum italici – che la Roma di VI secolo non possa essere astratta dal contesto geografico di appartenenza.

In effetti, per quanto fosse fiorente e intrattenesse scambi di varia natura col mondo greco, Roma era pur sempre una città situata nella zona di confine tra l’Etruria e il Latium vetus. Di conseguenza, se non è affatto da escludere che i Romani protagonisti delle vicende del 510/509 fossero a conoscenza, in forma diretta o mediata, dei coevi eventi ateniesi,174 non si riesce tuttavia a capire per

quale motivo dovessero ispirarsi proprio a questi per la risoluzione immediata e concreta dei loro problemi. È improbabile, del resto, che la Roma dell’epoca giudicasse la monarchia di Tarquinio il Superbo con gli stessi parametri usati dagli Ateniesi nel giudicare la tirannide dei Pisistratidi. Inoltre, le somiglianze tra il rex sacrorum e l’archon basileus non possono essere lette come una conferma della derivazione del primo dal secondo, visto che quest’ultimo, a quanto pare, era sì discendente dell’antico re ateniese, ma era stato creato in circostanze storiche remote e completamente diverse; in più, con la sua carica annuale e non vitalizia, era incluso al secondo posto nel collegio magistratuale dei nove arconti, al contrario del rex sacrorum che era sacerdote in carica a vita.175

Ad ogni modo, sono soprattutto i riscontri archeologici a indebolire la tesi di Ampolo, la quale si basa, in ultima analisi, sulla convinzione che l’edificio ricostruito intorno al 500 fosse il primo ad assumere la denominazione e la funzione di Regia, in collegamento diretto col rex sacrorum, mentre nelle sue

174 Cfr. Torelli, Storia, pp. 195-196 (conferme archeologiche degli stretti contatti tra Atene e l’area tirrenico-laziale). Del resto, una conoscenza delle coeve vicende politiche greche pare intravedersi nella notizia che, alla fine del suo regno, Tarquinio avrebbe mandato un’ambasceria in Grecia, al santuario di Delfi, della quale avrebbe fatto parte anche L. Giunio Bruto, il principale artefice del passaggio alla repubblica: cfr. Liv. 1, 56,4-13, su cui cfr. Ogilvie, A Commentary on Livy, p. 216.

quattro fasi anteriori – nonostante le dimensioni e il numero di ambienti fossero in pratica gli stessi – si sarebbe trattato di un semplice santuario, senza alcun collegamento con i re veri e propri.176 Questi erano, d’altra parte, i primi risultati

che l’archeologo Frank Brown aveva confermato alla metà degli anni Sessanta, sulla base della scoperta, negli strati prerepubblicani dell’edificio, di terrecotte architettoniche che ancora si potevano attribuire solo ad un santuario.177 Oggi, il

problema delle lastre in terracotta è stato risolto dai risultati degli scavi condotti in arcaici centri dell’Etruria interna: in particolare, sono decisive le scoperte monumentali di Poggio Civitate, presso Murlo, e di Acquarossa, presso Ferento, i quali furono luoghi di grande fioritura fino alla loro irreversibile decadenza o distruzione, da collocarsi alla fine del VI secolo. Qui, infatti, sono stati portati alla luce rilievi fittili coevi alle terrecotte romane, non all’interno di santuari, ma all’interno di vere e proprie dimore signorili, a cui peraltro non mancano connotazioni cultuali specifiche, che permettono di qualificarle come vere e proprie ‘dimore regali’ o ‘regge’. Inoltre, le somiglianze con la Regia romana riguardano sorprendentemente la struttura complessiva, se è vero che, pure nei palazzi di Poggio Civitate e Acquarossa, la pianta comprende un’ala allungata e composta da tre ambienti in serie.178

Allo stato attuale degli studi, si deve pertanto riconoscere che l’edificio della Regia, nonostante i numerosi rifacimenti, mantenne sempre la stessa struttura e lo stesso numero di ambienti dalla sua prima fase, risalente al VII secolo, fino addirittura alla ricostruzione tardo-repubblicana del 36 a.C., finanziata dal pontefice Cn. Domizio Calvino:179 si trattò, insomma, di un edificio nato in

funzione della regalità, come abitazione e luogo di culto, e rimasto connesso alla

176 Cfr. Ampolo, Analogie, pp. 443-444 e 450.

177 Cfr. Brown, New Soundings, p. 53. Riproduzione di una delle terrecotte architettoniche in Coarelli, Il Foro Romano I, p. 63, fig. 18.

178 Su Poggio Civitate e Acquarossa, cfr. Pallottino, Etruscologia, pp. 130-131 e 291, e Torelli, Storia, pp. 174-181 e 186-188; sulle terrecotte, cfr. Coarelli, Il Foro Romano I, p. 61, che trova raffronti anche con tombe monumentali, ad es. di Tuscania.

179 Tra la costruzione agli albori della repubblica e quella del 36 a.C., un altro sicuro rifacimento della Regia è databile al III secolo; solo dopo l’incendio che la distrusse nel 36 a.C., tuttavia, il marmo sostituì il tufo come materiale da costruzione: cfr. in sintesi Ross Holloway, The Archaeology, p. 63. Per la figura e l’operato di Calvino, cfr. l’aggiornato R.T. Ridley, The Absent Pontifex Maximus, «Historia» 54 (2005), pp. 296-297, sulla base di Plin. n.h. 34, 48, Dio 48, 42, e CIL VI 1301 (= ILS 42).

regalità anche in epoca repubblicana, ma solo come luogo di culto del rex sacrorum. A questo punto, non c’è più bisogno di ricercare paralleli architettonici nel mondo greco, poiché – come afferma Coarelli – «la Regia di Roma non è più isolata, e la sua storia, la sua struttura e le sue funzioni possono essere ormai in parte chiarite sulla base di precisi confronti in area etrusca».180

Quanto alla nostra ricerca, la discussione sull’evidenza archeologica della Regia ha una conseguenza importante, poiché viene a completare il ragionamento di carattere storico sviluppato alla fine del Capitolo Primo, confermando che il sicuro rifacimento dell’edificio, avvenuto alla fine del VI secolo, non può essere messo direttamente in relazione con la nascita del rex sacrorum. Certo, alla luce della contemporanea sistemazione urbanistica che interessò tutta l’area del Foro Romano, il restauro della Regia viene a rappresentare un “atto politico della repubblica ai suoi inizi” e, peraltro, conferma la sostanziale attendibilità della cronologia tradizionale sull’abbattimento della monarchia;181 ma non può essere

visto come una conferma della contestuale istituzione del rex sacrorum, perché – come ammette Coarelli – la destinazione a solo uso cultuale della Regia potrebbe non coincidere con l’inizio stesso della repubblica.182

180 Coarelli, Il Foro Romano I, p. 61 (inoltre, pp. 64-5 con nota 34). In questa direzione si è infine corretto anche lo stesso Brown, La protostoria, pp. 35-36.

181 Cfr. supra, Cap. 1.3, in particolare nota 75. 182 Coarelli, Il Foro Romano I, p. 64.

2.9. Appendice II: il rex Nemorensis e la regalità federale in ambito