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Il rex sacrorum nell’ultimo secolo della repubblica

Nel documento Il rex sacrorum a Roma e nell'Italia antica (pagine 149-156)

NELLA ROMA REPUBBLICANA

3.4. Il rex sacrorum nell’ultimo secolo della repubblica

Il sistema dei collegi sacerdotali, mutato secondo i ritmi e le modalità che abbiamo visto, non subì più cambiamenti sostanziali durante l’ultimo periodo repubblicano. Infatti, oltre ai pontifices, anche gli augures e i decemviri (poi quindecemviri) sacris faciundis, cui si erano aggiunti infine i triumviri (poi septemviri) epulones, continuarono a godere di grande prestigio e a svolgere il ruolo di consultori ufficiali del senato e dei magistrati.145 Solo andò accentuandosi

la prossimità del loro rango a quello magistratuale, come dimostra innanzitutto l’introduzione di un limite all’accumulo delle cariche sacerdotali, che rispecchiò le

144 Il parere di Latte, Römische Religionsgeschichte, pp. 195-196, è il seguente: l’ordo sacerdotum si sarebbe formato come gerarchia puramente onorifica proprio al momento della “rivoluzione pontificale”; inoltre, la presenza del flamen Quirinalis nell’ordo stesso dimostrerebbe una sua definizione successiva al 350 a.C., quando Quirino sarebbe stato identificato con Romolo e innalzato tra le più importanti divinità cittadine: di conseguenza, anche la “rivoluzione pontificale” sarebbe posteriore al 350.

145 Per il prestigio legato all’appartenenza ai collegi, valga per tutti la testimonianza di Cic. Att. 2, 5,2; 2, 9,2; fam. 2, 7,3; Caelius ap. Cic. fam. 8, 4,1; 8, 14,1. Per le consultazioni ufficiali dei pontefici da parte del senato, si ricordi il celebre caso della domus di Cicerone (fonti cit. supra, nota 25); per un magistrato che interroga gli auguri, cfr. ad es. Cic. dom. 15,39-41; per i quindecemviri che sono incaricati di consultare gli oracoli Sibillini, cfr. ad es. Cic. fam. 1, 1,1-2; 1, 4,2; Plin. n.h. 17, 243; Dio 39, 15,1-2 e 39, 60-61; consultazioni degli epulones non sono mai attestate esplicitamente, ma sono da ritenersi probabili sulla scorta di Cic. har. resp. 10,21. È noto peraltro che il ricorso ai consulti sacerdotali divenne abnorme negli anni delle guerre civili, in quanto fu sfruttato per fini politici: sull’argomento cfr. il classico L.R. Taylor, Party Politics in the Age of Caesar, Berkeley-Los Angeles 1949, pp. 76-97, con discussione di molte delle fonti appena citate; più recentemente Beard-North-Price, Religions of Rome, vol. 1, pp. 150-174.

parallele restrizioni volute per le magistrature (lex annalis).146 A ciò si unì il varo

della lex Domitia, che nel 104/103 estese il sistema di elezione popolare in uso per il pontefice massimo agli altri sacerdoti dei collegi maggiori e lo affidò al controllo dei consoli.147 Da tale provvedimento, che fu quindi applicato anche ai membri del

collegio pontificale, rimasero significativamente esclusi il rex sacrorum e i flamines maiores, insieme a tutti i sacerdoti minori.148

A questa situazione tardo-repubblicana si può ricondurre l’origine del lemma Maximus Pontifex che si trova nell’epitome di Festo-Paolo:

MAXIMUS PONTIFEX dicitur, quod maximus rerum, quae ad sacra et religiones pertinent, iudex sit vindexque contumaciae privatorum magistratuumque.149

Si noti come il pontefice massimo – che alla voce Ordo sacerdotum viene ancora genericamente definito, per di più al quinto posto tra i sacerdoti, iudex atque arbiter rerum divinarum humanarumque – divenga qui iudex maximus dei culti e delle pratiche religiose, nonché addirittura loro garante (vindex) contro

146 Dopo il 174 (morte di Ti. Sempronio Longo, augur e Xvir s.f.), non si conosce alcun caso sicuro di doppio sacerdozio fino al 47 (quando Cesare, già pontifex maximus, divenne augur): le fonti sono raccolte in G.J. Szemler, The Dual Priests of the Republic, «RhM» 117 (1974), pp. 73-78, secondo cui l’accumulo fu evitato dagli inizi del II secolo a.C. senza essere proibito formalmente (pp. 85-86); al contrario Scheid, La religion, p. 119, pensa all’introduzione di un vero e proprio limite legale. Ad ogni modo, appare sicura una legge che vietò a due persone della stessa gens di far parte contemporaneamente dello stesso collegio sacerdotale, come dice Dio 39, 17,1: su cui J.A. North, Family Strategy and Priesthood in the Late Republic, in Parenté et stratégies familiales dans l’antiquité Romaine, Roma 1990, pp. 527-543; A. Drummond, The Ban on Gentiles Holding the Same Priesthood and Sulla’s Augurate, «Historia» 57 (2008), pp. 367-407. Sulle coeve restrizioni per l’esercizio delle magistrature, cfr. A.E. Astin, The Lex Annalis before Sulla, Bruxelles 1958, spec. pp. 5-7, 27-28, sulla base di Liv. 40, 44,1.

147 Fonti: Cic. leg. agr. 2, 7,18 (testo in nota 127) e ad Brut. 1, 5,4, Vell. 2, 13,3, e Suet. Nero 2,1, su cui cfr. Delgado Delgado, Criterios, pp. 74-78. North, Family Strategy, p. 531, ben sottolinea che la lex Domitia contribuì a identificare «the four major colleges as a group with common status and common regulations»; meno convincente è l’idea che, solo nel 104/103, fossero introdotte anche le prime limitazioni all’accumulo dei sacerdozi. Infatti si ricordi, a conferma di un processo in atto da tempo, che una legge analoga alla Domitia era già stata proposta, pur senza successo, nel 145: cfr. E. Rawson, Religion and Politics in the Late Second Century B.C. at Rome, «Phoenix» 28 (1974), pp. 208-212 (= Ead., Roman Culture, pp. 165-168).

148 Dagli effetti della lex furono esclusi, nell’ambito del collegio pontificale, anche le Vestali (per le quali rimaneva in vigore la già citata lex Papia), i pontefici minori e i flamini minori, per i quali probabilmente bastava la nomina diretta del pontefice massimo e non era richiesta l’inauguratio: cfr. Vanggaard, The Flamen, p. 56, e Van Haeperen, Le collège pontifical, pp. 101- 102.

149 Fest.-Paul. p. 113 L. Definizione simile in Plut. Num. 9,8-9, che deve dipendere da una fonte tardo-repubblicana: cfr. Van Haeperen, Le collège pontifical, p. 63.

l’arroganza dei cittadini, privati e magistrati.150 Rispetto all’ordo sacerdotum, è

allora chiaro che la presente definizione di Festo-Paolo, non lasciando spazio a sacerdoti come il rex sacrorum e i flamines, deve appunto risalire all’ultima fase della repubblica, quando l’esercizio di tutti i sacra, pubblici e privati, dipendeva dall’autorità del pontefice massimo: si era così determinata l’esistenza di un supremo sacerdozio, il cui potere di coercitio – valido in materia sacrale su tutti i cittadini – veniva esercitato in particolare sui membri del collegio pontificale, ormai senza possibilità di appello.151

In effetti, dopo la tormentata successione del rex sacrorum nel 180, non conosciamo più episodi di scontro tra i sacerdoti del vecchio ordo, a eccezione della contesa che sorse per un comando militare tra il pontefice massimo, P. Licinio Crasso Divite Muciano, e il flamine Marziale, L. Valerio Flacco, entrambi consoli del 131: il primo fu comunque vincitore sul secondo.152 Si aggiunga che,

durante le guerre civili, ci fu una vera e propria riluttanza all’esercizio del flaminato Diale, il quale rimase addirittura vacante per 75 anni (dalla morte di L. Cornelio Merula nell’87/86 fino al ripristino voluto da Augusto nel 12/11),153

150 Per il valore dell’espressione vindex contumaciae privatorum magistratuumque, cfr. Van Haeperen, Le collège pontifical, pp. 64-65.

151 Al di fuori del collegio pontificale, è incerto come il pontifex maximus esercitasse la sua autorità: Mommsen, Römisches Staatsrecht, vol. 2.1, p. 22, riteneva che egli detenesse una sorta di imperium, che si sarebbe manifestato nella presidenza di particolari comitia curiata e tributa. Oggi si tende a negare al pontefice ogni forma di imperium, mentre si discute (come vedremo meglio infra, nel Cap. 5) sulla presidenza comiziale: cfr. l’importante articolo di Bleicken, Oberpontifex, pp. 345-366; inoltre, Latte, Römische Religionsgeschichte, p. 400; A. Calonge, El pontifex maximus y el problema de la distinción entre magistraturas y sacerdocios, «AHDE» 38 (1968), spec. pp. 9-11 e 16-18; A. Magdelain, La loi à Rome. Histoire d’un concept, Paris 1978, pp. 82-85; Szemler, s.v. Pontifex, coll. 344-346; J. Scheid, Le prêtre et le magistrat. Réflexions sur les sacerdoces et le droit public à la fin de la Républic, in Des ordres à Rome, Paris 1984, spec. pp. 266-270.

152 È però evidente che qui, rispetto agli episodi documentati tra il 242 e il 180, la controversia sacerdotale fu solo il pretesto per una lotta tutta politica: Cum Aristonico bellum gerendum fuit P. Licinio L. Valerio consulibus. Rogatus est populus quem id bellum gerere placeret. Crassus, consul, pontifex maximus, Flacco collegae, flamini Martiali, multam dixit, si a sacris discessisset: quam multam populus remisit, pontifici tamen flaminem parere iussit (Cic. Phil. 11, 8,18). Cfr. commento in J. Bleicken, Kollisionen zwischen Sacrum und Publicum. Eine Studie zum Verfall der altrömischen Religion, «Hermes» 85 (1957), pp. 454-455, e Richard, Sur quelques grands pontifes, pp. 800-801.

153 Bisogna notare che l’unico flamine Diale identificabile prima di Merula è un Cornelio Scipione, inaugurato nel lontano 174 a.C.: cfr. Szemler, The Priests, p. 168 con nota 7; Vanggaard, The Flamen, p. 62; Rüpke-Glock, Fasti, vol. 2, pp. 921-922. Incerta è la data della morte di Merula: cfr. Van Haeperen, Le collège pontifical, pp. 416-418; pure la data dell’intervento

mentre i suoi sacra furono presi in carico, senza soluzione di continuità, dagli altri membri del collegio pontificale.154 Una sorte poco migliore toccò al rex

sacrorum: infatti, dietro il silenzio disinteressato delle fonti, dobbiamo sospettare che il sacerdozio, per quanto attivo, fosse ricoperto con una certa irregolarità.155

Ad ogni modo, come nel caso del flamine Diale, alla mancanza del rex poterono eventualmente supplire i colleghi pontefici.156

Solo in età cesariana veniamo a conoscere l’esistenza di due nuovi reges sacrorum, la cui identità è oggetto di un vivace dibattito:

1) Il primo è un Sulpicius Ser. f. di cui Festo sembra ricordare l’inaugurazione, richiesta da un pontefice massimo di nome Metellus ed eseguita – secondo l’integrazione fatta propria da Lindsay – da un augure di nome Claudius:157 se è

corretto identificare il pontefice massimo con Q. Cecilio Metello Pio e l’augure con Ap. Claudio Pulcro,158 Sulpicio dovette essere inaugurato rex prima del 64/63,

l’anno della morte dello stesso Metello, e quindi potrebbe corrispondere

augusteo è incerta, ma sicuramente da collocarsi dopo il 6 marzo del 12 a.C.: cfr. infra, Cap. 4.1 con nota 17.

154 Tac. ann. 3, 58 conferma infatti che saepe pontifices Dialia sacra fecisse, si flamen valitudine aut munere publico impediretur. Quinque et septuaginta annis post Cornelii Merulae caedem neminem suffectum, neque tamen cessavisse religiones: cfr. Beard-North-Price, Religions of Rome, vol. 1, pp. 130-132.

155 Cfr. Szemler, The Priests, p. 99 con nota 5.

156 In effetti, una frammentaria testimonianza di Festo (p. 310 L) lascia intendere che, almeno nei giorni QRCF (si tratta del 24 marzo e del 24 maggio: vedi Cap. 5), il ruolo del rex poteva essere svolto da un pontefice: si quis alius pro rege... <pon>tifex...

157 Fest. pp. 462-4 L: <... SATURNO>/sacrificium fit cap<ite aperto>.../Metellus pontifex <maximus Claudium augurem iussis >/set adesse[t], ut eum... <Sul>/pici Ser. f. inaug<uratio >.../ret se sacra sibi fam<iliaria... sup>/plicandum esset capite.../esset, futurum, ut cum ap<erto capite>.../facienda esset, pontif<ex>.../Claudius provocavit.../tifici esset Claudius, fl.../Saturno sacra fecit rem...

158 Che Sulpicius Ser. f. fosse un rex sacrorum è stato supposto da Mommsen: a suo dire il passaggio di Festo riferisce che il pontefice Metello inflisse una multa all’augure Claudio che si era rifiutato di inaugurare Sulpicio. I moderni hanno in genere accettato l’identificazione di Mommsen, anche se suscita perplessità l’ipotesi di uno scontro aperto tra pontefice massimo e augure: cfr. Bleicken, Kollisionen, p. 456, Szemler, The Priests, p. 175, e Linderski, The Augural Law, p. 2219; vi si è opposto R.E.A. Palmer, The Deconstruction of Mommsen on Festus 462/464 L, or the Hazards of Restoration, in Imperium sine fine: T. Robert S. Broughton and the Roman Republic, Stuttgart 1996, pp. 75-101, secondo cui Festo tramanderebbe un altro esempio di contrasto tra pontefice massimo e flamen nel III secolo a.C.: Metellus sarebbe infatti L. Cecilio Metello, che nel 223 avrebbe inflitto una multa a C. Claudio contrario ad essere inaugurato flamen al posto di Q. Sulpicio. Da ultimo, Rüpke-Glock, Fasti, vol. 2, pp. 1304-1305, è tornato alla datazione proposta da Mommsen, ma vede in Sulpicio un probabile flamen, forse Quirinalis.

all’anonimo rex sacrorum che partecipò alla cena aditialis del flamine L. Cornelio Lentulo Nigro.159

2) Il secondo è L. Claudio, citato nell’orazione De haruspicum responsis tra i pontefici che furono chiamati a giudicare sulla consacrazione della casa di Cicerone, nel settembre dell’anno 57:160 tra gli altri studiosi, Szemler pensa che si

tratti di un appartenente alla famiglia dei Claudii Pulchri;161 in realtà, si può

soltanto dire genericamente che un Claudio era appunto rex sacrorum nel 57, dopo essere stato inaugurato intorno al 60, sotto il pontificato massimo di Cesare.162

Tra le riflessioni che hanno accompagnato l’indagine prosopografica, si deve ricordare l’ipotesi di Rüpke secondo cui L. Claudio poté esercitare il sacerdozio per circa vent’anni. Il calcolo appare a prima vista azzardato, perché non è dimostrabile che il personaggio, entrato in carica verso il 60, abbia passato indenne il periodo delle guerre civili e sia sopravvissuto fino alla fine degli anni Quaranta.163 Eppure, bisogna credere che un rex sacrorum fosse in carica quando

Cesare, nel 46/45, fece approvare i provvedimenti legislativi a noi noti attraverso la tabula Heracleensis, tra i quali si sancivano le modalità per la cura viarum della capitale (ll. 20-82) e, a un certo punto, si ricordavano i veicoli (plostra) da

159 Come già visto nel Cap. 3.1.1, è Macr. Sat. 3, 13,11 che parla della cena, nominando i convitati: cfr. a proposito gli aggiornamenti prosopografici proposti da Tansey, The Inauguration, spec. p. 248 nota 45.

160 Cic. har. resp. 6,12: testo riportato per intero e commentato supra, Cap. 3.1.1.

161 Szemler, The Priests, p. 175 (ma prima ancora Broughton, The Magistrates, vol. 2, p. 206), si fonda su Cic. dom. 49,127, in cui l’oratore si rivolge a L. Claudio definendolo gentilis di Clodio: ... etiam tu rex, disce a gentili tuo, quamquam ille gentem istam reliquit... In realtà, da questo rapido cenno non possiamo avere conferme sul cognomen di Claudio: cfr. da ultimo Rüpke- Glock, Fasti, vol. 2, pp. 875-876.

162 La data di inaugurazione può essere rintracciata con una certa attendibilità perché – come abbiamo visto sopra, in nota 27 – l’elenco ciceroniano dei sacerdoti rispetta l’ordine di entrata in carica di ciascuno di essi: cfr. Rüpke-Glock, Fasti, vol. 2, p. 875 nota 4 e p. 876 nota 1. Non appare persuasivo Broughton, The Magistrates, vol. 3, p. 54, quando ipotizza che il L. Claudio conosciuto come senatore di rango questorio nel 73 (Id., The Magistrates, vol. 2, pp. 114- 115, sulla base di SIG3 747) sia il padre del nostro Claudio, nonché suo predecessore nel sacerdozio del rex sacrorum: piuttosto, è logico pensare che si tratti di un unico L. Claudio, senatore (almeno nel 73) e rex sacrorum (dal 60 ca).

163 Rispetto a Rüpke-Glock, Fasti, vol. 1, pp. 127-137; vol. 2, p. 875, si tenga anche presente che L. Claudio, se era senatore di rango questorio già nel 73 (cfr. nota precedente), alla fine degli anni Quaranta sarebbe stato (forse troppo) avanti con l’età.

usarsi nelle cerimonie pubbliche per il trasporto dei flamini, delle Vestali e, appunto, del rex sacrorum (ll. 62-65):

Quibus diebus virgines Vestales, re[gem] sacrorum, flamines, plostreis in urbe sacrorum publicorum p(opuli) R(omani) caussa/ vehi oportebit [...] e(ius) h(ac) l(ege) n(ihilum) r(ogatur).164

A proposito si noti che, mentre il riferimento all’uso dei plostra da parte dei sacerdoti è probabilmente tralatizio,165 la menzione specifica del rex sacrorum

(accanto a quella generica di flamines [maiores ?]) appare comprensibile solo se si ammette che, intorno al 45, il sacerdozio era in piena funzione: così interpretato, il passaggio della tabula viene a confermare che la continuità nell’esercizio sacerdotale del rex sacrorum fu una caratteristica dell’età cesariana.

A questo punto, il divario esistente tra il periodo precesariano – in cui non si conosce alcun rex sacrorum – e il periodo cesariano – in cui è certa la presenza di reges sacrorum – appare notevole e non può essere semplicemente imputato ai limiti della documentazione superstite. Piuttosto, si può ritenere che gli anni in cui Cesare fu pontefice, prima ordinario (dal 73) poi massimo (dal 63),166

conobbero un effettivo stimolo all’esercizio dell’ormai trascurato sacerdozio del rex sacrorum. Del resto, va ricordato che gli stessi anni furono caratterizzati da una significativa attività di ricerca antiquaria in campo religioso e dal tentativo concreto di rievocare istituti di cui si lamentava la dimenticanza o il disuso.167

Addirittura, Cesare fu in prima persona partecipe di questa temperie, se è vero che scrisse un’opera intitolata Pontificalia e, durante il pontificato massimo, non

164 CIL I2 593 = ILS 6085 = RS I 24. Tra i complessi problemi interpretativi che riguardano la tabula, c’è indubbiamente quello della cronologia: oggi i più convengono che, almeno nella forma, tutte le parti del testo risalgono all’età cesariana, alcune in particolare all’anno 45. Cfr. la discussione dei pareri in RS I 24 (spec. pp. 360-362).

165 Questo privilegio sacerdotale doveva infatti essere antichissimo: cfr. Martin, L’idée de royauté, vol. 1, p. 104.

166 Sulla carriera sacerdotale di Cesare, cfr. G. Zecchini, Cesare e il mos maiorum, Stuttgart 2001, pp. 35-63; tutte le fonti sono raccolte in Rüpke-Glock, Fasti, vol. 2, pp. 1057-1059.

167 Di questa ricerca antiquaria l’esempio più noto sono le Antiquitates rerum divinarum di Varrone, che parte della critica ritiene composte proprio tra il 62 e il 55: cfr. H.D. Jocelyn, Varro’s Antiquitates Rerum Diuinarum and Religious Affairs in the Late Roman Republic, «BRL» 65 (1982-83), spec. pp. 158-164; sintesi in Beard-North-Price, Religions of Rome, vol. 1, pp. 151-153. Per la ricerca o il rimpianto degli antichi istituti religiosi, cfr. ancora Varr. Men. 181; lL 6, 19; Cic. leg. 2, 33; nat. deor. 2, 9-10; div. 1, 26-8; 2, 71.

solo riesumò l’istituto giuridico della perduellio nell’accusa contro C. Rabirio,168

ma mostrò un generale interesse per i sacerdozi, per certi versi arcaicizzante: infatti, intervenne per aumentare di un’unità gli effettivi dei più importanti collegi e, soprattutto, aggiunse una terza categoria di Luperci (Luperci Iulii) alle due già esistenti.169 Sfortunatamente, è impossibile dire se fosse proprio

l’interessamento di Cesare, già prima del 63, a dare nuova linfa ad un sacerdozio come il rex sacrorum; è garantito, tuttavia, che Cesare se ne curò almeno negli anni del pontificato massimo, visto che fu lui a procedere con successo alla captio di L. Claudio, l’ultimo rex sacrorum repubblicano a noi noto.

168 La composizione di Pontificalia è ipotizzata sulla base di Or. gent. Rom. 16,4 ed è molto discussa: cfr. Martin, L’idée de royauté, vol. 2, p. 367 nota 285, e Zecchini, Cesare e il mos maiorum, p. 37. Non c’è invece dubbio sul recupero della perduellio: cfr. Martin, L’idée de royauté, vol. 2, pp. 367-370, e B. Liou-Gille, La perduellio: les procès d’Horace et de Rabirius, «Latomus» 53 (1994), pp. 3-38, secondo cui Cesare ripropose l’arcaica procedura sulla scorta degli Annali dei pontefici.

169 Della lex Iulia che aumentò gli effettivi dei collegi abbiamo già parlato: cfr. Cap. 3.1.1 con nota 47. Quanto ai Luperci, cfr. Dion. Halic. 1, 80,3, su cui Zecchini, Cesare e il mos maiorum, pp. 47-48.

IL REX SACRORUM DA AUGUSTO

Nel documento Il rex sacrorum a Roma e nell'Italia antica (pagine 149-156)