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Le epigrafi: storia romana e storia italica

NELL’AREA TIRRENICO-LAZIALE

2.1. Le epigrafi: storia romana e storia italica

Al pari della maggior parte delle epigrafi italiche, anche i documenti sui reges sacrorum vanno manovrati con estrema cautela, per via del carattere stesso dei testi riportati, spesso frammentari e incompleti, o ad ogni modo molto brevi, dato l’impiego per lo più funerario. Ne discende un problema interpretativo che è aggravato dalla difficoltà non solo di sciogliere le frequenti abbreviazioni, bensì di identificare i personaggi citati, al punto che un’approfondita ricerca prosopografica sarebbe impossibile: di questi reges sacrorum, in mancanza di altra evidenza, non si può così che riconoscere solo il nome, talvolta neppure completo.

Precisato questo, le nostre epigrafi sollevano un’ulteriore questione di grande rilievo, in quanto provengono da città italiche entrate per lo più a far parte del dominio romano come municipia e, in secondo luogo, risalgono a epoca non anteriore alla tarda repubblica:8 in altre parole, sono tutte di molto

successive al periodo arcaico in esame. Il problema è tanto più interessante in quanto è parte del fervido dibattito storiografico che è cresciuto, tra Otto- e Novecento, intorno all’origine e allo sviluppo delle istituzioni municipali – soprattutto l’edilità, la dittatura e l’ottovirato,9 la cui presenza dopo il bellum

sociale appariva ‘anomala’ rispetto al quattuorvirato ‘canonico’10 – e, più in

generale, intorno alle modalità seguite da Roma nella sistemazione del territorio

8 Definizione di municipium, da considerarsi valida per l’età repubblicana, in Cornell, The Beginnings of Rome, p. 323: «... a word whose original significance is uncertain, but which in later times was the standard term for any community incorporated into the Roman state as a self governing body of Roman citizens». Per l’evoluzione del concetto di municipium (IV sec. a.C.-III sec. d.C.), cfr. invece M. Humbert, Municeps et Municipium: définition et histoire, in Gli Statuti Municipali, Pavia 2006, pp. 3-29 (con puntuale analisi dei testi antichi). Sull’organizzazione municipale – per il cui studio sono fondamentali non solo le epigrafi, ma anche le fonti antiquarie e giuridiche –, cfr. monografia dello stesso Humbert, Municipium et civitas sine suffragio. L’organisation de la conquête jusqu’à la guerre sociale, Roma 1978, spec. pp. 3-43 (fonti) e 285-402 (magistrature e autonomia dei municipi).

9 Sull’ottovirato, a cui – a differenza di dittatura e edilità – intendiamo solo accennare in queste pagine, vedi De Martino, Storia della costituzione romana, vol. 2, p. 98 nota 5 e p. 109, oltre che Campanile-Letta, Studi, pp. 45-48.

10 Sul quattuorvirato come magistratura tipica dei municipi dopo la guerra sociale, cfr. De Martino, Storia della costituzione romana, vol. 3, spec. pp. 295-306; inoltre, U. Laffi, La struttura costituzionale nei municipi e nelle colonie romane. Magistrati, decurioni, popolo, in Gli Statuti Municipali, Pavia 2006, pp. 109-131.

italico di volta in volta conquistato. Infatti, sono sorte e si sono confrontate al riguardo due opposte teorie, che rispecchiano altrettanti modi di vedere le relazioni tra Roma e l’Italia: la prima, che vorrebbe Roma rispettosa degli istituti italici, secondo la quale le istituzioni municipali attestate in epoca romana possono essere la continuazione di quelle arcaiche originarie, mantenute anche sotto il controllo di Roma; l’altra – informata, si può dire, dal principio per il quale “Roma tutto dà e nulla riceve” – che vedrebbe questi istituti importati da Roma, se non proprio imposti dalla città dominatrice alle comunità soggette. La storiografia moderna ha così oscillato tra queste due istanze interpretative, con la prima collocando l’Italia sul piano di una piena dignità rispetto a Roma, della cui storia sarebbe stata fattore caratteristico, all’insegna di un processo evolutivo convergente, per esempio dal punto di vista istituzionale; con la seconda, invece, finendo per negare un ruolo indipendente all’Italia, che sarebbe stata del tutto sopraffatta dalla superiorità romana.11

Il dibattito ha finito per riguardare, sia pure con un interesse nettamente inferiore, anche l’istituto del rex sacrorum municipale e la sua origine. Non c’è da stupirsi, in questo senso, se alcuni studiosi hanno sollevato il dubbio che l’esistenza di reges sacrorum fuori dell’Urbe possa essere collegata al progressivo ampliamento del dominio romano, nel Lazio e poi in Italia, e quindi altro non sia che un effetto della romanizzazione, che agì anche nell’ambito delle cariche pubbliche e sacerdotali.12 Per converso, ad altri è parso doveroso considerare la

possibilità che la presenza di reges sacrorum italici sia dovuta ad uno sviluppo del

11 La prima teoria fu abbracciata con forza da A. Rosenberg; la seconda trovò il suo primo autorevole sostenitore in Th. Mommsen, seguito ad esempio da G. De Sanctis, H. Rudolph, A. Degrassi e W. Simshäuser (citt. in bibliografia finale): su cui ampia e documentata esposizione in Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, pp. 122-126, con aggiornamenti in Campanile-Letta, Studi, pp. 33-34. Ancora, cfr. De Martino, Storia della costituzione romana, vol. 2, pp. 97-98, e Humbert, Municipium, pp. 287-293, secondo cui la varietà delle costituzioni municipali prova che «Rome a fondamentalement respecté les magistratures qu’elle trouva sur place et les maintint au stade d’evolution inégale, selon les municipes, qu’ils avaient atteint» (p. 292), cioè mantenendo, secondo i casi, la forma più primitiva dei magistrati unici o quella più progredita della struttura collegiale della magistratura eponima.

12 Così si esprimeva già G. De Sanctis, La origine dell’edilità plebea, «RFIC» n.s. 10 (1932), pp. 433-445, con particolare riguardo al caso tuscolano, su cui peraltro avremo modo di tornare diffusamente: vedi infra, Cap. 2.3. Il dubbio anche in Bernardi, Prove, pp. 27-29.

tutto autonomo, e persino anteriore da un punto di vista cronologico, rispetto ai fatti che condussero all’istituzione del re dei sacrifici romano.13

A ben vedere, le due prospettive, se portate all’estremo, rischiano di diventare troppo unilaterali ed esclusive, perché entrambe finiscono per veicolare comunque l’idea di uno scontro insanabile tra due “poli”, vale a dire tra Roma e le città italiche, latine in particolare. Così appare riduttivo sia sostenere che fosse necessariamente Roma a rappresentare il modello per gli istituti magistratuali italico-laziali, sia avanzare l’ipotesi per la quale fossero senz’altro le città latine ad anticipare e influenzare gli sviluppi istituzionali romani. Nel secondo dopoguerra, una nuova linea interpretativa, che ha dato la possibilità di una proficua mediazione tra gli estremi, è stata aperta dagli studi di Santo Mazzarino: la questione di fondo è se la storia delle istituzioni municipali – quali la dittatura e l’edilità – non possa essere inquadrata sullo sfondo generale di un’evoluzione magistratuale che fu propria, già in età arcaica, non solo di Roma e del Lazio, ma anche del più ampio contesto italico. Il merito dello studioso è proprio quello di avere sottolineato il ruolo giocato dalla κοινή culturale italica nei rivolgimenti istituzionali che interessarono Roma nel VI secolo a.C.14

In effetti, il confronto delle testimonianze letterarie con documenti artistici e con testi epigrafici di varia natura (non solo di lingua latina, ma anche etrusca e umbra) consente di dire che, dalla metà del VI secolo, una vasta area dell’Italia centrale fu interessata dall’abbattimento di regimi monarchici a vantaggio di ordinamenti repubblicani, variamente costituiti ed evoluti:15 risultato dei

13 Cfr. Momigliano, Il rex sacrorum, pp. 358-360: al riguardo vedi però ulteriori precisazioni infra, Cap. 2.7.

14 Tale consapevolezza dell’inscindibilità di Roma dalle comunità circostanti è un merito riconosciutogli ad esempio da Pallottino, Storia, pp. 24-30 (ove si trova un aggiornamento critico sulle tendenze degli ultimi decenni nello studio della dialettica Roma/Italia e si sostiene, ancor più, la necessità di conferire piena dignità al filone storico dell’Italia preromana).

15 Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, pp. 101-122: nella sua ricostruzione sono di fondamentale importanza la tradizione etrusca su Mastarna conservata nei dipinti della celebre Tomba François di Vulci (su cui vedi anche supra, Cap. 1, nota 77); la lettura in chiave storica di alcuni rilievi provenienti da città come Chiusi e Velletri (rispettivamente pp. 76-80 e 67- 74, su cui si tornerà con ampiezza infra), che attesterebbero la nascita di magistrature repubblicane parallelamente al caso romano (infatti, i due rilievi risalgono alla seconda metà del VI secolo); infine, le corrispondenze linguistiche tra etrusco e latino: zilaθ o zilaχ (di per sé equivalente a “magistrato”, poi precisato da altri elementi nelle epigrafi a significare “supremo magistrato”, ad. es. zilaθ purθ), che nella interpretatio latina è dictator o praetor o magister

medesimi fermenti, le nuove res publicae appaiono fondate su un sistema di magistrature, di cui quella suprema poté essere – secondo i casi – unica o collegiale, annuale ed eponima o vitalizia. Nonostante le inevitabili sfaccettature, di cui quella romana fu solo un esempio, per noi certo meglio attestato e quindi più dibattuto, «esiste» – secondo Mazzarino – «una comune cultura italica, e un corrispondente travaglio costituzionale, in cui innovazioni ed esigenze di una città etrusca o latina od osca non restano senza eco negli stati vicini, ed anzi spontaneamente si affermano, determinate da analoghi presupposti e condizioni».16

Da questo punto di vista, si è potuto argomentare con efficacia che istituti come la dittatura e l’edilità non nascessero quali casi isolati, né a Roma, né in altra località laziale, ma fossero l’esito diffuso dei rivolgimenti politici che interessarono tutta l’area a partire dalla metà del VI secolo. Di conseguenza, la dittatura e l’edilità attestate per via epigrafica nei municipi romani possono essere lette non come istituti imposti dalla conquista, bensì come la continuazione di quelli omologhi nati autonomamente già in età arcaica,17 per

quanto poi la loro stessa sopravvivenza nei secoli (che certo significò – come si

(termini questi ultimi equipollenti al momento del passaggio dalle monarchie alle repubbliche, ma poi specializzatisi a seconda dell’evoluzione istituzionale nelle diverse località), e maru, che sembra corrispondere in latino ad aedilis. Pallottino, Etruscologia, Milano 19847, pp. 316-321 (altrettanto in Storia, pp. 105-108), conferma la sostanziale validità di queste corrispondenze linguistiche; in più, sottolinea la portata internazionale dell’abbattimento dei regimi monarchici, ma precisa (Etruscologia, pp. 230-236 e 318) che in Etruria probabilmente non ci fu una netta contrapposizione cronologica tra fase monarchica e fase repubblicana, se è plausibile la persistenza (o il riaffiorare) della monarchia in due casi, a Veii e Caere, ancora tra V e IV secolo (cfr. infra, Cap. 2.6). Per converso, grazie al rinvenimento dei cippi di Rubiera, è oggi attestata l’esistenza di uno zilaθ nell’Etruria padana intorno al 600; questo zilaθ poté essere un magistrato ausiliario del monarca o, forse, già il magistrato supremo del luogo: a proposito cfr. D. Briquel, La royauté en Étrurie. Les apports récents: confirmations et remises en cause, «Ktema» 12 (1987), pp. 145-148 (per il significato storico), e C. De Simone, Le iscrizioni etrusche dei cippi di Rubiera, Reggio Emilia 1992, pp. 10-15 (per gli aspetti linguistici), con le precisazioni di G. Colonna, Epigrafi etrusche e latine a confronto, in XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina. Roma, 18-24 settembre 1997. Atti, Roma 1999, p. 445.

16 Così Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, p. 165. Le sue parole sono state valorizzate ad es. da G. Camporeale, Terminologia magistratuale nelle lingue osco-umbre, «AATC» 21 (1956), pp. 39-40.

17 Cfr. Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, pp. 146-157 (sulla storia della dittatura). Sulla dittatura come possibile istituto dei Latini da epoca molto remota, cioè fin dal loro primo arrivo sui Colli Albani, cfr. Bernardi, Prove, pp. 26-31; vedi anche infra, nota 38.

vedrà meglio per Tuscolo – sviluppo nelle rispettive caratteristiche e funzioni) fu almeno in parte influenzata dalla progressiva espansione della potenza romana.18

Quanto a noi, ammesso che il passaggio dalla monarchia alla repubblica fosse un fenomeno che interessò un’area ben più vasta dei ristretti confini romani, è logico ipotizzare che, parallelamente al caso di Roma, si compissero altre riduzioni di reges a reges sacrorum, mantenuti per l’esecuzione di pratiche religiose che erano state proprie dei monarchi appena deposti, ma che non potevano essere alienate dalla carica regale per via della loro sacralità. In ultima istanza, si tratta di verificare se, in effetti, i reges sacrorum italici di epoca romana possano essere il relitto di istituti sorti già in età arcaica e poi conservati fin oltre la perdita dell’autonomia locale.

Di seguito, un’analisi delle epigrafi a nostra disposizione permetterà di affrontare il problema caso per caso e, quindi, di tracciare una sorta di mappa dei reges sacrorum ad oggi conosciuti.