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Rex sacrorum e pontifex maximus in epoca alto-repubblicana

Nel documento Il rex sacrorum a Roma e nell'Italia antica (pagine 127-134)

NELLA ROMA REPUBBLICANA

3.2. Rex sacrorum e pontifex maximus in epoca alto-repubblicana

Gli anni compresi tra l’espulsione e la morte di Tarquinio il Superbo (509- 495) furono per Roma un periodo di incertezza dal punto di vista religioso, per via delle conseguenze che avrebbe potuto provocare una rottura della ritualità su cui si basavano i rapporti pacifici tra la città e gli dei. Il problema era rappresentato, in particolare, dai sacra che il re in esilio non era più nella condizione di compiere in prima persona. Del resto, il fatto che in precedenza questi incarichi rituali non erano stati affidati ai sacerdoti collaboratori del monarca, bensì erano rimasti di sua stretta competenza, dimostra che il loro adempimento era considerato irrinunciabile per il benessere della comunità e spettava necessariamente a un rex: ecco perché, pur nell’attesa che fosse eleggibile il primo rex sacrorum, i Romani non poterono cancellarli e neppure sospenderli. Nel frattempo, sembra inevitabile che gli altri sacerdoti dell’ordo divenissero il punto di riferimento per la res publica: infatti, sopravvissuti senza traumi all’abbattimento della

monarchia, dovettero essere loro a prendere in carico la temporanea ma completa responsabilità sui culti del vecchio re.71

Le fonti, che sono completamente all’oscuro di fasi transitorie nella religione tra il 509 e il 495, non possono essere di grande aiuto. Forse, data la posizione eminente nell’ordo sacerdotum, si può pensare che la competenza sui sacra regali fosse affidata al flamine di Giove o, al limite, suddivisa tra i tre flamini maggiori: nulla è tuttavia sicuro a proposito di quell’intervallo storico di probabile adattamento per il flaminato, visto che il culto capitolino stava prendendo (o aveva ormai preso) il sopravvento sull’arcaica triade a cui i flamini maggiori erano specificamente votati.72 L’attenzione deve dunque ricadere sui pontefici: in

effetti, quanto si è detto del ruolo di “canonisti”, svolto già durante la monarchia, fa ritenere verosimile che proprio a loro fosse affidato il controllo su cerimonie tanto importanti.

Anzi, in quel delicato frangente, i pontefici dovettero acquisire – sotto la guida del più anziano tra loro, il pontifex maximus – il ruolo di supervisori generali del culto, concentrando nelle proprie mani la funzione che in passato era stata da loro svolta in subordine rispetto al re. Se così fu, anche dopo l’entrata in carica del primo rex sacrorum, bisogna ritenere che i pontefici continuassero comunque a mantenere la supervisione su tutti i sacra, compresi quelli dello stesso rex sacrorum e dei flamini: era del resto negli interessi della res publica avere tra i sacerdoti una specifica figura di controllo, che fu trovata appunto nel pontifex maximus.

Simili osservazioni riportano con urgenza al problema dell’attendibilità del racconto di Livio, in cui si afferma che il rex sacrorum fu sottomesso all’autorità del pontifex maximus contestualmente alla sua creazione.73 Ora mi sento di dire

che, in parte, la notizia può essere accolta: lo storico infatti, nonostante gli abbellimenti retorici (suoi) e la compressione cronologica (delle sue fonti),

71 Momigliano, Il rex sacrorum, p. 358, pare avere ragione quando afferma che, con la cacciata dei Tarquinî, le famiglie che esprimevano questi sacerdoti non avrebbero avuto interesse a sminuirne le competenze, ma al limite potevano mirare ad aumentarle.

72 Cfr. Dumézil, La religion, pp. 273-276.

comprendeva bene che l’attività eminentemente cultuale di un sacerdote come il rex sacrorum non poteva che essere posta sotto il controllo di un esperto come il pontifex maximus. Tuttavia, se è lecito parlare di generale supervisione del pontefice massimo, non si può dare per certo, come fa invece Dumézil, che il rex sacrorum si piegasse da subito alla sua autorità.74 In altre parole, fatto salvo

l’accresciuto ruolo del pontefice, non è da tralasciare troppo frettolosamente la possibilità, prospettata fra gli altri da Latte, che la carica di rex sacrorum ereditasse per un certo tempo il primo posto effettivo tra i sacerdoti e che, come tale, fosse onorata e ambita.75

Alla cautela induce una preziosa testimonianza di Plinio il Vecchio, secondo cui, ancora agli inizi del III secolo a.C. (e in particolare all’epoca dell’allontanamento di Pirro dall’Italia), il rex sacrorum aveva il primato nelle datazioni sacrali.76 Per l’introduzione di quest’uso, che è arduo ricondurre a un

qualsiasi momento dei primi secoli della repubblica, dobbiamo risalire con tutta probabilità al periodo monarchico: infatti, almeno nel corso del VI secolo, non sarebbe stato affatto strano – anche alla luce del testo punico delle lamelle di Pyrgi – l’impiego di una datazione per re e per anni di regno.77 Sembra insomma

74 Dumézil, La religion, pp. 110-111, nel sostenere l’immediata sottomissione del rex sacrorum al pontifex maximus, dà pienamente ragione a Tito Livio. Allo stesso modo pensano J. Bayet, Histoire politique et psychologique de la religion romaine, Paris 1969, p. 101; Martin, L’idée de royauté, vol. 1, pp. 113-120, e Seguin, Remarques, p. 412. Cfr. inoltre Momigliano, Il rex sacrorum, p. 362, secondo cui fu la necessità di controllare il rex sacrorum che costrinse a dare immediatamente nuova autorità al pontefice massimo.

75 A favore di questa possibilità, si sono espressi genericamente A. Bouché-Leclercq, Les pontifes de l’ancienne Rome. Étude historique sur les institutions religieuses de Rome, Paris 1871, pp. 289-290; Wissowa, Religion, p. 504; L. Homo, Institutions politiques romaines, Paris 1970, p. 42; Szemler, The Priests, pp. 62-63 e 76-77; Id., s.v. Pontifex, col. 342; Guarino, La rivoluzione della plebe, p. 143; Blaive, Rex Sacrorum, pp. 131-133; J. Bleicken, Oberpontifex und Pontifikalkollegium: eine Studie zur römischen Sakralverfassung, «Hermes» 85 (1957), pp. 345- 366, e soprattutto Latte, Römische Religionsgeschichte, pp. 117 e 195-212, secondo cui il rex sacrorum perdette il primato solo a seguito di una “rivoluzione pontificale”.

76 Cfr. Plin. nh 11, 71,186, che sta parlando di un’innovazione nella procedura di osservazione degli exta: Non semper autem in parte extorum habitum est: L. Postumio L.f. Albino rege sacrorum post CXXVI Olympiadem, cum rex Pyrrhus ex Italia decessisset, cor in extis haruspices inspicere coeperunt. Sulla base del computo olimpico, il fatto è riferibile all’anno 276 a.C., anche se Pirro lasciò l’Italia solo nel 275: cfr. Szemler, The Priests, p. 68 nota 1. Secondo Momigliano, Il rex sacrorum, pp. 363-364, la notizia pliniana, alla luce del riferimento a Pirro e alle olimpiadi, potrebbe derivare indirettamente da Timeo.

77 Per il testo della lamella di Pyrgi, dove Thefarie Velianas (definito mlk ‘l Kyšry’ = “re su Caere”) appare al potere da tre anni (l-mlky šnt šlš), cfr. Pallottino, Etruscologia, pp. 188 e 446.

che il rex sacrorum ricevesse in eredità l’onore dell’eponimato proprio dalle competenze sacrali del vecchio re, ciò che difficilmente si sarebbe verificato nel caso in cui, agli inizi della repubblica, non lui ma il pontifex maximus avesse superato per importanza tutti gli altri sacerdoti.78 Se dunque il rex sacrorum poté

conservare il primato sacrale di nome e di fatto, è altresì logico credere che, al contempo, anche i tre flamini maggiori mantenessero la loro originaria posizione nell’ordo sacerdotum.

In tale contesto è improbabile che la nomina dei sacerdoti dipendesse dall’arbitrio del pontefice massimo, tanto più che la famosa procedura della captio pontificale è certa soltanto a partire dalla media età repubblicana.79 In

principio, il compito di eleggere rex sacrorum e flamines maiores doveva essere demandato a una decisione collegiale dei sacerdoti dell’ordo. In effetti, l’ormai noto passo di Dionisio sul primo rex sacrorum, anche ad un esame superficiale, permette di escludere che la sua nomina spettasse al solo pontefice massimo, in quanto vi si legge alla lettera che essa fu affidata ai “pontefici”: τοὺς ἱεροφάντας … ἐκέλευσαν ἀποδεῖξαι τὸν ἐπιτηδειότατον τῶν πρεσβυτέρων.80 A ben vedere, del

resto, la generica espressione “ἱεροφάντες”, che in una prospettiva attualizzante tardo-repubblicana sembra indicare il collegio pontificale, non può che accennare, se riferita agli inizi del V secolo, al suo più antico nucleo costituito dall’ordo sacerdotum.

Sono invece ben documentati i requisiti politico-sociali che i Romani stabilirono per l’accesso alla carica di rex sacrorum, in aggiunta a quelli validi per

La natura istituzionale del potere rivestito dal personaggio è molto discussa: cfr. la bibliografia citata supra, Cap. 2.6 nota 124.

78 In mancanza di altre fonti, non si può dire fino a quando un simile sistema di datazione, attestato per l’anno 276 ca., sia stato utilizzato.

79 Come vedremo meglio sotto, la captio esercitata dal pontefice massimo è documentabile dal III secolo a.C. Senza fondamento, dunque, gli studiosi hanno spesso creduto che un simile potere gli spettasse sin dall’inizio della repubblica (da Mommsen, Römisches Staatsrecht, vol. 2, pp. 25-26, attraverso Wissowa, Religion, pp. 487 e 510, e Dumézil, La religion, pp. 578-579, fino a Van Haeperen, Le collège pontifical, pp. 96-102).

tutti i sacerdozi (la cittadinanza romana, la libera nascita e la mancanza di difetti fisici).81 Nello specifico, il rex sacrorum:

 doveva essere patrizio;82

 doveva essere figlio di genitori uniti in matrimonio con l’antica cerimonia della confarreatio e, a sua volta, doveva unirsi in matrimonio per confarreatio;83

 non poteva esercitare alcun incarico politico-militare.84

Non c’è dubbio che le prime due limitazioni, strettamente collegate tra loro, furono il frutto del contesto proto-repubblicano travagliato dal conflitto patrizio- plebeo. D’altra parte, se nei primi tempi della repubblica tutti i sacerdoti erano patrizi, non sarebbe affatto strano che la confarreatio fosse contemporaneamente necessaria per tutte o per la maggior parte delle figure sacerdotali.85 Il dato

tuttavia rilevante è che, anche dopo la conclusione del conflitto tra gli ordini, solo al rex sacrorum continuò a essere richiesta l’appartenenza patrizia (insieme ai flamini maggiori e ai Salii),86 ma pure a essere imposta la confarreatio (insieme

81 Fonti antiche raccolte e discusse in Wissowa, Religion, p. 491, e Szemler, The Priests, p. 31. Sul requisito dell’integrità fisica, cfr. però i dubbi di M.G. Morgan, Priests and Physical Fitness, «CQ» 24 (1974), pp. 137-141.

82 Cfr. soprattutto Liv. 6, 41,9, che si riferisce alla situazione sacerdotale dei primi secoli della repubblica, fino alle leggi Licinie-Sestie.

83 Fondamentale è Gai. Inst. 1, 112: Farreo in manum conveniunt per quoddam genus sacrificii, quod Iovi Farreo fit: in quo farreus panis adhibetur, unde etiam confarreatio dicitur; complura praeterea huius iuris ordinandi gratia cum certis et sollemnibus verbis praesentibus decem testibus aguntur et fiunt. Quod ius etiam nostris temporibus in usu est : nam flamines maiores, id est Diales, Martiales, Quirinales, item reges sacrorum, nisi ex farreatis nati non leguntur; ac ne ipsi quidem sine confarreatione sacerdotium habere possunt. Si ricordi inoltre che il rex, come i flamines, non poteva divorziare: cfr. supra, nota 40.

84 La fonte più esplicita è Dion. Halic. 5, 1,4: [sc. ἱερῶν βασιλεύς] ὃς οὐδενὸς ἤμελλεν ἕξειν ἑτέρου πλὴν τῶν περὶ τὰ θεῖα σεβασμῶν τὴν προστασίαν, ἁπάσης λειτουργίας πολεμικῆς καὶ πολιτικῆς ἀφειμένος. Cfr. anche Plut. q.R. 63, che specifica il divieto per il rex di δημηγορεῖν (lat. contionari o habere contionem): in realtà – nonostante F. Pina Polo, Las contiones civiles y militares en Roma, Zaragoza 1989, p. 55, che accetta il dato letterale plutarcheo – doveva trattarsi del divieto di agere cum populo, come vedremo nel Cap. 5.3.

85 Sull’origine antica della confarreatio e le sue applicazioni, cfr. già Mommsen, Römisches Staatsrecht, vol. 3, p. 34; inoltre, J. Linderski, Religious Aspects of the Conflict of the Orders: The Case of confarreatio, in Social Struggles in Archaic Rome. New Perspectives on the Conflict of the Orders, Berkeley-Los Angeles 1986, pp. 244-261 (con ricca bibliografia precedente): a suo parere, è probabile che pure la regina sacrorum e la flaminica, partecipando direttamente del sacerdozio dei rispettivi mariti, dovessero essere figlie di genitori confarreati. Sintesi del problema si trova ora in Van Haeperen, Le collège pontifical, pp. 394-395.

86 Significativamente, nel 57 a.C., Cicerone si lamenta che, se ogni patrizio seguirà l’esempio di Clodio e si farà adottare in una famiglia plebea, ita populus Romanus brevi tempore neque regem sacrorum neque flamines [sc. maiores] nec Salios habebit (dom. 14,38). Altre conferme del

ai flamini maggiori):87 si trattò, insomma, di due elementi caratteristici di tutta

la storia del rex sacrorum (e dei flamini maggiori), anche se forse vennero introdotti in circostanze distinte del V secolo a.C., secondo l’evolversi della situazione sociale della città.88 Al contrario, la terza limitazione dovette essere la

conseguenza di una scelta deliberata agli inizi della repubblica, nel momento preciso in cui fu creato il rex sacrorum, allo scopo di mantenere netta la separazione del titolo di rex dall’esercizio del potere politico-militare.89 È chiaro,

infatti, che un rex ammesso a ricoprire un ruolo magistratuale non sarebbe più stato un rex specificamente ridotto ad sacra, in palese contravvenzione rispetto al principio che aveva animato il superamento della vecchia monarchia.

Il confronto con la situazione sacerdotale tardo-repubblicana spingerebbe a dire che i Romani, proprio con quest’ultimo divieto, già ponessero le premesse per il successivo superamento del rex sacrorum da parte del pontefice massimo, su cui mai gravò il divieto di esercitare cariche magistratuali. In realtà, non è credibile che, nel V secolo, i Romani perseguissero l’obiettivo deliberato di favorire l’ascesa del secondo a svantaggio del primo. Un cittadino patrizio, in effetti, era impossibilitato a ricoprire uffici pubblici solo dal momento in cui era eletto rex sacrorum, mentre in precedenza nulla gli precludeva l’esercizio delle magistrature, da cui derivava la possibilità di avere un posto, di fatto vitalizio, tra i senatori.90 Del resto, è sicuro che il secondo sacerdote dell’ordo, il flamine

Diale, anch’egli tenuto lontano dagli incarichi militari, fu durante la repubblica

perdurare della limitazione ai patrizi vengono da Tac. ann. 4, 16 e Fest.-Paul. p. 137 L (s.v. Maiores flamines).

87 Oltre al sopra citato Gai. Inst. 1, 112, cfr. Tit. Ulp. 9, 1 e Serv. ad Aen. IV 103, 339 e 374; ad Georg. I 31.

88 Secondo Linderski, Religious Aspects, pp. 252-255, le leggi delle XII Tavole – che imposero il divieto di connubium tra patrizi e plebei – avrebbero anche formalizzato l’obbligo della confarreatio per i sacerdoti.

89 Così pensa anche Cornell, The Beginnings of Rome, p. 233.

90 L’appartenenza al senato, che si venne caratterizzando come consesso di ex-magistrati, era sancita dalla lectio senatus: questa, affidata all’inizio ai supremi magistrati della repubblica (consules e tribuni militum cons. pot.), passò alla fine del IV secolo nelle mani dei censori (lex Ovinia), come attesta Fest. p. 290 L (s.v. Praeteriti senatores). In realtà, si sa poco del senato protorepubblicano: cfr. da ultimo T.J. Cornell, The Lex Ovinia and the Emancipation of the Senate, in The Roman Middle Republic. Politics, Religion, and Historiography, c. 400-133 B.C., Rome 2000, pp. 75-89, che lo riduce a una sorta di consiglio con appartenenza non vitalizia.

membro ex officio del senato:91 a maggior ragione, allora, l’appartenenza al senato

dovette essere assicurata ex officio a chi diventava il primo sacerdote della città, anche in assenza di una precedente carriera politica.92

Si aggiunga che al rex sacrorum – e non al pontefice massimo – spettò con buona probabilità la presidenza dei comitia calata, cosiddetti perché il popolo vi veniva “calato”, vale a dire convocato, pur senza poteri deliberanti: qui, almeno fino alla pubblicazione dei fasti per opera di Cn. Flavio, sembra che il rex avesse il privilegio di annunciare, alle Calende, la data delle None e, alle None, le feste successive del mese; inoltre, è certo che i giorni 24 marzo e 24 maggio, indicati sui calendari con la sigla Q(uando) R(ex) C(omitiavit) F(as), diventavano da nefasti a fasti proprio grazie alla venuta del rex nel Comitium, dove si svolgevano i comitia calata testamentari.93

È infine plausibile che, in origine, il nostro sacerdote avesse la facoltà di nominare le Vestali, con le quali intratteneva uno stretto rapporto a livello cultuale, ereditato dalla passata monarchia.94 Al riguardo la cautela è d’obbligo,

in quanto tutta la tradizione degli studi moderni ha sostenuto, sulla base di un celebre capitolo di Aulo Gellio, che la captio delle Vestali toccasse sin dagli inizi della repubblica al pontefice massimo.95 A ben vedere, però, Gellio si limita ad

91 Come risulterà meglio in seguito, i flamini potevano adire le magistrature, ma di fatto fu loro impedito spesso di esercitarle, almeno nelle funzioni militari, poiché era vietato che il flamine classem procinctam extra pomerium, id est exercitum armatum, videre (Gell. n.A. 10, 15,4): cfr. Vanggaard, The Flamen, pp. 59-69. Il diritto del flamine a far parte del senato doveva essere molto antico e venne riaffermato nel III secolo: Liv. 27, 8,8 parla di un vetustum ius (cfr. sotto, nota 110: vicenda di C. Valerio Flacco).

92 Secondo Cornell, The Beginnings of Rome, p. 233, e Beard-North-Price, Religions of Rome, vol. 1, p. 56, il rex sacrorum non poté mai far parte del senato; più possibilista è Forsythe, A Critical History, pp. 167-168: «It therefore seems probable that... ex officio membership in the senate had once been the general rule for all or most priests of the state religion», così riprendendo R.E. Mitchell, The Definition of patres and plebs: An End to the Struggle of the Orders, in Social Struggles in Archaic Rome. New Perspectives on the Conflict of the Orders, Berkeley-Los Angeles 1986, spec. pp. 136-137.

93 Sulle funzioni dei comitia calata, nonché sull’annuncio del calendario mensile, torneremo ampiamente infra, nel Cap. 5. Allora vedremo che la presidenza dei comitia calata da parte del rex non contraddiceva il suo divieto di agere cum populo.

94 Di questo rapporto torneremo a parlare nel Cap. 5. Intanto si rammenti che l’indagine archeologica ha dimostrato la prossimità non casuale tra Regia, aedes Vestae e atrium Vestae (cfr. supra Capp. 1.3 e 2.8).

95 Gell. n.A. 1, 12. Cfr. Mommsen, Römisches Staatsrecht, vol. 2, pp. 25-26; Wissowa, Religion, pp. 504-510; Guizzi, Aspetti, pp. 99-124; Dumézil, La religion, pp. 578-579; inoltre Beard-North-Price, Religions of Rome, vol. 1, pp. 57-58, e soprattutto N. Mekacher-Fr. Van

attestare l’esistenza della captio pontificale nella piena età repubblicana, riconoscendo peraltro di non sapere nulla a proposito dell’epoca più antica, se non che fu il re Numa a istituire la prerogativa monarchica della scelta delle Vestali.96 Non sembra così impossibile credere che, con il rovesciamento della

monarchia, il potere di nominare le sacerdotesse curatrici del fuoco cittadino fosse passato in eredità al rex sacrorum, come parte di quei sacra ritenuti essenziali per il benessere della città e, pertanto, affidati alla competenza “regale”: del resto, la formula rituale che il pontefice massimo avrebbe pronunciato all’atto della captio deriva espressamente a Gellio dai Libri iuris pontificii di Q. Fabio Pittore e, quindi, non può rifarsi con certezza ad epoca anteriore al III secolo.97

Nonostante i punti ancora oscuri, abbiamo dunque indizi sufficienti per concludere che il rex sacrorum delle origini doveva essere un sacerdozio ambito e prestigioso, non inferiore al pontifex maximus.

3.3. Dal III al II secolo: il prevalere del pontifex maximus

Nel documento Il rex sacrorum a Roma e nell'Italia antica (pagine 127-134)