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L’applicazione dell’art 2409 c.c.

IL FALSO IN BILANCIO: PROFILI CIVILISTICI

3.4 Responsabilità per il bilancio falso

3.4.3 L’applicazione dell’art 2409 c.c.

Ai sensi dell’art. 2409 comma 1 c.c. “Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla società. Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione”.

Dalla lettura della relazione illustrativa della riforma societaria pare si possa trarre la conclusione che il citato articolo non si debba applicare alle S.r.l., ma solo alle S.p.a., anche se, laddove sia presente il collegio sindacale, l’art. 2409 c.c., dovrebbe comunque trovare applicazione, quale che sia il tipo di società che lo ha adottato, e tale

interpretazione aprirebbe la porta pure alla tesi secondo la quale l’atto costitutivo di una S.r.l. potrebbe, in ogni caso, prevedere l’applicabilità dell’articolo in commento.

Si ritiene pacifico invece che nelle S.p.a. la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c., possa essere proposta anche dal consiglio di gestione, coerentemente con i poteri di vigilanza che ad esso sono attribuiti. Si discute piuttosto se la competenza sia collegiale, fatta salva la possibilità del singolo consigliere di rivolgersi al pubblico ministero perché sia lui, se ne ravvisa gli estremi, a proporre l’azione.

Occorre dire che il denunziante deve indicare nella denuncia quali siano le gravi irregolarità che ritiene commesse, e non può quindi limitarsi a indicare genericamente sospetti su falsità contenute nel bilancio. Si ritiene che l’indicazione delle irregolarità non deve però assurgere all’obbligo di fornire la piena prova, ma siano sufficienti seri indizi, perché in caso contrario perderebbe significato l’ispezione che il tribunale può ordinare.

È vasta la casistica circa l’applicazione dell’art. 2409 c.c., che comunque è stato ritenuto, come detto, applicabile anche alle irregolarità dannose che si concretizzano in falsi in bilancio, anche nell’ipotesi in cui i bilanci siano approvati dall’assemblea dei soci.

Per esempio sono irregolarità ai sensi dell’articolo le citate violazioni dei principi di redazione del bilancio (nella specie, quelli di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta, di iscrizione dei crediti secondo il presumibile valore di realizzo, di competenza) (Trib. Roma, 13/07/2000, in Giur. It., 2000, 2103), la mancata esposizione in bilancio di un cospicuo debito nei confronti di terzi (Trib. Napoli, 31/01/1991, in Società, 1991, 1094), la valutazione di un cospicuo credito non secondo il presumibile valore di realizzazione (art. 2425, n. 6, c.c.), l’omessa indicazione nella relazione degli amministratori di fatti di rilievo verificatisi dopo la chiusura dell’esercizio (art. 2429- bis, c.c., A. Milano, 19/10/1988, in Società, 1989, 177), la redazione di un bilancio falso o non chiaro (T. Milano, 30/10/1986, in Foro it., 1987, I, 1284), l’esposizione in bilancio di passività inesistenti ed attività inferiori a quelle effettivamente realizzate (T. Busto Arsizio, 16/05/1986, in Foro pad., 1986, I, 386), l’omessa indicazione dei crediti e debiti, la formazione di situazioni patrimoniali non corrispondenti alla realtà, la sottrazione di attività sociali, le omissioni contabili (T. Ascoli Piceno, 07/08/1982, in Dir. Fallim., 1983, II, 209).

l’oggetto e gli effetti dell’impugnazione di delibera di approvazione del bilancio e del procedimento di cui all’art. 2409 c.c., sono diverse e solo parzialmente coincidenti; nella prima si controverte e si decide, all’esito di un processo a cognizione piena ed esauriente concluso con sentenza idonea al giudicato, della rispondenza del bilancio a chiarezza e del rispetto dei principi di verità e correttezza, posti dall’art. 2423 c.c., e valutati alla stregua dei criteri di cui agli art. 2423-bis e seguenti; nel secondo, si accerta sommariamente la fondatezza o meno della denuncia di gravi irregolarità nella gestione della società, nell’interesse esclusivo di quest’ultima, senza statuire definitivamente su diritti soggettivi dei soci o dei terzi. Conseguentemente, il giudice dell’impugnazione, seppure possa utilizzare per la formazione del suo convincimento le risultanze del procedimento camerale, non deve pedissequamente riportarsi agli accertamenti ed alla valutazione in quella sede effettuati per ritenere non veritiero o falso il bilancio e dichiarare la nullità della delibera che lo ha approvato, ma occorre che proceda ad un accertamento autonomo o comunque ad una valutazione critica degli accertamenti compiuti e dei provvedimenti assunti in sede camerale (Cass., sez. I, 29/09/1999, n. 10804).                                                  

CAPITOLO IV

IL FALSO IN BILANCIO: PROFILI PENALI

 

   

4.1 Premessa

La   violazione   delle   norme   imposte   dal   codice   civile   per   la   redazione   del   bilancio   d’esercizio   (art.   2423   e   segg.   C.c.),   oltre   a   comportare   la   sanzione   civile   dell’invalidità   della   delibera   di   approvazione,   può,   ricorrendo   i   presupposti   che   saranno  in  seguito  analizzati,  integrare  il  reato  ex  art.  2621  c.c.,  ed  essere  quindi   sanzionata   penalmente.   Il   reato   di   cui   si   parla   è   il   reato   di   falso  in  bilancio   come   fattispecie  particolare  del  reato  di  false  comunicazioni  sociali.  

Per  poter  adeguatamente  comprendere  e  affrontare  l’oggetto  di  questo  capitolo,  è   necessario  inizialmente  esporre  alcuni  concetti  base  del  diritto  penale,  avvertendo,   però,   che   la   sinteticità   di   questa   parte   della   trattazione   rende   necessaria   un’esposizione  molto  schematica.  

Il  diritto  penale45  è  un  insieme  di  norme  giuridiche  con  le  quali  lo  Stato  proibisce,   mediante   l’irrogazione   di   una   pena,   determinati   comportamenti   umani   (azioni   o   omissioni).  Il  fatto  che  viene  proibito  dallo  Stato  con  la  previsione  di  una  pena  si   definisce  reato;  il  quale  pertanto  non  è  altro  che  il  comportamento  umano  che  viola   la  norma  penale.  

Tradizionalmente  i  reati  si  distinguono  in  due  classi:  i  delitti  e  le  contravvenzioni.  Il   criterio  per  distinguere  queste  due  ipotesi  di  reato  non  va  ricercato  tanto  nella  loro   natura   intrinseca   (e   quindi   a   livello   qualitativo),   quanto   nella   loro   maggiore   o   minore   gravità,   ossia   in   base   all’entità   e   qualità   della   sanzione   che   il   legislatore   attribuisce   al   fatto   (e   quindi   a   livello   quantitativo).   In   particolare,   sono   delitti   i   reati   per   i   quali   sono   comminate   le   pene   dell’ergastolo,   la   reclusione   e   la   multa;   sono  contravvenzioni  i  reati  puniti  con  l’arresto  e  l’ammenda.  

In  ogni  reato  è  riscontrabile  un  soggetto  attivo,  ossia  colui  che  viola  un  comando   imposto  dallo  Stato  compiendo  l’illecito  penale.  Con  riferimento  al  soggetto  attivo,  i   reati  si  distinguono  in  propri  e  comuni:  i  primi  possono  essere  commessi  solo  da