IL FALSO IN BILANCIO: PROFILI PENALI
La punibilità è estesa anche al caso in
4.12 Principali rapporti con altre fattispecie (cenni)
4.12.1 False comunicazioni sociali e frode fiscale
Il tema dei raccordi tra la normativa penale e quella concernente le valutazioni di bilancio e tributarie è da sempre al centro di un ampio dibattito, sviluppatosi sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale. Oggi l’argomento risulta di ancor più stringente attualità, alla luce delle più recenti evoluzioni normative.
Con la riforma del sistema sanzionatorio tributario, apportata dal D.Lgs. 158/2015, è stato abrogato l’articolo 7 del D.Lgs. 74/2000, il cui contenuto è stato trasposto nell’articolo 4 (“Dichiarazione infedele”) e implicitamente recepito nell’articolo 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”) dello stesso decreto. Il “nuovo” articolo 4 del D.Lgs. 74/2000, ai fini della dichiarazione infedele, esclude la punibilità nei casi in cui l’interpretazione di un fatto (valutativo) venga
adeguatamente rappresentata in bilancio o in altra documentazione fiscalmente rilevante e non si determini, altresì, un errore eccedente la soglia prevista al comma 1-‐ter (affinché si determini rilevanza penale è necessario che gli elementi attivi sottratti all’imposizione, tenuto conto anche degli elementi passivi fittizi, siano superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore a 3 milioni di euro). Ne deriva che si configura una fattispecie avente rilevanza penale-‐tributaria, nella particolare forma della dichiarazione infedele, solo nell’ipotesi in cui l’interpretazione di un fatto (valutativo) non venga adeguatamente rappresentata in bilancio o in altra documentazione fiscalmente rilevante e si determini un errore eccedente la anzidetta soglia. Preliminarmente, con riferimento all’articolo 3 del D.Lgs. 74/2000, ai fini della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, si osserva che, nella nuova formulazione, il fatto costituisce non più un reato proprio bensì reato comune poiché ne è stato ampliato l’ambito soggettivo/applicativo. Infatti, la soppressione della disposizione che richiede l’elemento della «falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie», comporta che anche i soggetti che non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, in presenza degli altri presupposti richiesti dalla norma, possono incorrere nel reato. Il “nuovo” articolo 3, in sostanza, individua quali elementi caratterizzanti la frode fiscale:
a) la realizzazione di operazioni simulate oggettivamente e soggettivamente; b) l’utilizzo di documenti falsi; nonché
c) l’utilizzo di altri mezzi fraudolenti, idonei ad ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria.
Ciò detto, con riferimento alla questione che in questa sede interessa, non sembra possibile ipotizzare che una “erronea valutazione” rientri nelle previsioni di cui ai punti sub a) e sub b). Ciò in quanto, in tali casi, non è la trasposizione in bilancio di un fatto aziendale, quale la valutazione, a determinare il reato ma la falsità della operazione stessa (nel caso della simulazione) ovvero i documenti utilizzati per redigere il bilancio. Differentemente, non sembra possa essere escluso che, in alcuni casi, una erronea valutazione possa configurare una ipotesi delittuosa collegata all’utilizzo degli “altri mezzi fraudolenti” (locuzione, questa, particolarmente ampia) citati dalla norma. Potrebbe verificarsi, ad esempio, nei
casi nei quali la valutazione svolta in bilancio risulta essere palesemente contraria alle indicazioni tecniche che regolano la redazione dei bilanci ovvero nei casi in cui il contribuente non è in grado di spiegare o documentare, in alcun modo, le proprie scelte interpretative e/o queste ultime risultano talmente insostenibili da far emergere un dolo specifico di evasione “da frode”.
Altresì, al fine di possedere un quadro di riferimento completo sul tema, occorre fare cenno alle risposte sanzionatorie, previste in materia penale-‐societaria, in relazione ai fatti connessi alle valutazioni. Infatti, l’impianto civilistico del bilancio presuppone, nella sua redazione, il momento valutativo. Le valutazioni, tuttavia, non sono “libere” ma vincolate alle norme e alla correlata prassi contabile. Il tema della rilevanza penale delle erronee valutazioni ha creato un contrasto giurisprudenziale, composto solo recentemente dalla pronuncia delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22474/2016 (paragrafo 4.3.2) , che si è espressa sul tema della rilevanza, sul piano delle false comunicazioni sociali, delle valutazioni di bilancio.
La sentenza citata parte dalla considerazione che non può esservi alcun dubbio sulla natura prevalentemente valutativa del bilancio di esercizio. Conseguentemente, con riferimento alla riforma dell’articolo 2621 del Codice civile, nulla è stato modificato in merito all’esistenza del reato di falso valutativo. In particolare, la soppressione dell’inciso «ancorché oggetto di valutazione», nulla ha modificato in merito alla (confermata) esistenza del reato di falso valutativo di bilancio. Ciò in quanto, secondo l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte, appare corretto far coincidere i “fatti materiali”, con le “valutazioni”.
È opportuno, a questo punto, verificare il coordinamento tra le norme concernenti i reati tributari (D.Lgs. 74/2000) e quelle di natura penale, regolanti il reato di “false comunicazioni sociali” (reato c.d. “falso valutativo di bilancio”). In particolare, ai fini dell’applicazione, in via esclusiva ovvero concorrente dei suddetti diversi regimi penali (reato di falso in bilancio e reati di infedele dichiarazione o di dichiarazione fraudolenta), pare possibile affermare che è necessario, di volta in volta, accertare la reale intenzione dei soggetti agenti (in termini di dolo specifico), ossia accertare l’effettivo scopo perseguito. Ciò, fatta salva la necessità di valutare la sussistenza del concorso formale ex articolo 81 del Codice penale.
In termini generali, se nella condotta dell’agente, oltre agli altri presupposti richiesti dalle norme di riferimento, è riscontrabile il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, allora la consapevole esposizione in bilancio di fatti materiali rilevanti, non rispondenti al vero, sarà punibile ai sensi delle norme penali, come falso valutativo di bilancio; diversamente, se nella condotta dell’agente è riscontrabile il fine di conseguire un indebito vantaggio fiscale, allora saranno applicabili le norme penali-‐tributarie (restando salvo il principio di specialità).
Ciò premesso, sembra possibile affermare che l’erronea valutazione di bilancio può comportare conseguenze sanzionatorie diverse, a seconda che la condotta illecita sia riconducibile a soggetti non Ias adopter, i quali, per la redazione del bilancio di esercizio applicano, ai fini dichiarativi/fiscali, il c.d. principio di derivazione (semplice) ovvero a soggetti Ias adopter, i quali per la redazione del bilancio di esercizio utilizzano, ai fini dichiarativi/fiscali, il principio di derivazione rafforzata. Infatti, per i soggetti non Ias adopter, qualora le disposizioni circa la modalità di valutazione degli assets aziendali siano coincidenti, sia per la normativa civilistica che fiscale, il compito risulterà “più arduo”, in quanto l’indagine circa la (erronea) valutazione dovrà dirigersi verso lo scopo realmente perseguito dall’agente per inquadrare correttamente la fattispecie, se rilevante sul piano penale delle false comunicazioni sociali e/o sul piano penale-‐tributario. Diversamente se le disposizioni circa la modalità di valutazione degli assets aziendali non sono coincidenti tra la normativa civilistica e quella fiscale, il compito sarà, per così dire, “agevolato”, in quanto, la norma violata e, conseguentemente, l’intento perseguito dall’agente apparirà più chiaramente delineabile. Ne dovrebbe derivare, nella generalità dei casi, una più semplice comprensione circa l’eventuale applicabilità della sanzione penale collegata alle fase comunicazioni sociali o di quella penale-‐ tributaria.
Riflessioni (in parte) differenti possono essere svolte per i soggetti Ias adopter, che, come detto, determinano il reddito imponibile in forza del principio di “derivazione rafforzata”, con la conseguenza che, mentre per la classificazione, l’imputazione temporale e la qualificazione rilevano, anche ai fini tributari, le regole di natura civilistica, per la valutazione e la quantificazione (degli assets) valgono regole specifiche di natura (esclusivamente) fiscale. Quindi, anche in
questo caso, il compito circa l’individuazione dello scopo perseguito dall’agente dovrebbe essere agevolato. Detto questo, non può, però, non considerarsi anche l’ipotesi (particolare) in cui la valutazione sia strettamente correlata a una scelta di classificazione. È il caso, ad esempio, degli strumenti finanziari, la cui scelta classificatoria incide direttamente sul criterio di valutazione in bilancio degli stessi (fair value o costo ammortizzato) e, quindi, anche in via mediata sulle modalità di determinazione del reddito d’impresa. In questa situazione, sarà opportuno indagare circa il reale scopo perseguito dall’agente, poiché esiste, come detto, una coincidenza tra i criteri di valutazione rilevanti ai fini civilistici e quelli rilevanti ai fini fiscali. Infatti, in tale ipotesi, uno stesso criterio, avendo una “doppia rilevanza” (sul piano civilistico e sul piano fiscale) potrebbe comportare una “doppia violazione”, rilevante sia sul piano penale che su quello penale-‐tributario. Qualora, ad esempio, attraverso una erronea valutazione, si realizzi una compressione del patrimonio aziendale (si pensi alla valorizzazione delle perdite da fair value correlate a strumenti finanziari, in realtà, non destinati alla vendita), il fine perseguito dall’agente sarà, presumibilmente, quello di conseguire un indebito risparmio d’imposta, rilevante, quindi, ai fini penali-‐tributari e non ai fini penalistici, del falso valutativo di bilancio. Diversamente, qualora non si realizzi una compressione patrimoniale ma, al contrario, si realizzi una erronea “ipervalutazione”, il fine perseguito potrebbe, più verosimilmente, essere quello di falsare il bilancio con conseguenze di natura penale-‐societaria. In questo secondo caso, infatti, l’ “ipervalutazione” potrebbe essere considerata funzionale a evitare di comunicare, con il bilancio, una situazione di potenziale o attuale dissesto economico-‐ finanziario.
In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, appare evidente come erronee valutazioni possano determinare, quantomeno astrattamente, conseguenze penali tanto sul piano delle false comunicazioni sociali, quanto su quello dei c.d. reati fiscali. In termini generali, come detto, occorrerà analizzare il reale intento perseguito dall’agente e, nello specifico, se l’obiettivo sia quello di procurare per sé o per altri un ingiustificato profitto (situazione, questa, rilevante agli effetti delle false comunicazioni sociali) e/o quello di un vantaggio in termini di minore imposizione (situazione, invece, rilevante agli effetti dei reati tributari).