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Le immobilizzazioni materiali e immaterial

IL FALSO IN BILANCIO: PROFILI ECONOMICO AZIENDAL

2.3 Il bilancio con valutazioni economicamente scorrette

2.3.1 Le immobilizzazioni materiali e immaterial

La valutazione delle immobilizzazioni materiali e immateriali costituisce una delle problematiche più controverse dell’accertamento del falso in bilancio, in quanto il processo contabile che porta ad individuare i componenti di competenza economica dell’esercizio trovano fondamento in ragionamenti congetturali.

Le immobilizzazioni materiali e immateriali sono il valore dei fattori produttivi a fecondità ripetuta pluriennale rinviati al futuro in quanto destinati a essere remunerati mediante i ricavi futuri19.

Le immobilizzazioni immateriali possono essere definite come costi ad utilità pluriennale non dotati del requisito della tangibilità comprese nelle seguenti categorie: − gli oneri pluriennali, tra i quali rientrano i costi di impianto e di ampliamento e i

costi di sviluppo20;

− i beni immateriali, tra i quali rientrano i diritti di brevetto industriale e i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, concessioni, licenze marchi e diritti simili; − l’avviamento, inteso come valore intrinseco dell’azienda che rende la somma di

singoli beni inferiore al valore globale dell’impresa riconosciuto dal mercato.

Per quanto riguarda gli oneri pluriennali il legislatore, ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 5 c.c., ha previsto quanto segue:

• innanzitutto si possono iscrivere solo con il consenso del Collegio sindacale;

• inoltre, i costi di impianto e ampliamento devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni, mentre i costi di sviluppo sono ammortizzati secondo la loro vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimarne attendibilmente la vita utile, sono ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni.

• infine, non è possibile distribuire dividendi fino a che l’ammortamento dei costi di impianto e ampliamento e di sviluppo non è completato, a meno che il loro valore non sia coperto da riserve disponibili; l’esistenza di riserve straordinarie, non                                                                                                                

19 V. ANTONELLI, R. D’ALESSIO, ”Guida operativa alla perizia contabile nel falso in bilancio”, Il sole

24 ORE, Milano, 2003, pag. 170.

caratterizzate da vincoli di legge o di statuto, rappresenta dunque la condizione per la distribuzione di dividendi in presenza di costi pluriennali immateriali non ancora ammortizzati.

Si intuisce che il legislatore ha seguito un criterio estremamente prudenziale per la disciplina di queste voci. Nella realtà operativa, infatti, sono quelle che permettono agli amministratori di limitare i risultati negativi o di evidenziare utili, attraverso la semplice capitalizzazione dei costi sostenuti. Sono poste che più di altre si prestano a questo tipo di manovra; basta infatti semplicemente stornarle dal conto economico allo stato patrimoniale: in questo modo si diminuiscono i costi di esercizio e quindi si eleva l’utile (o si limitano le perdite). Per questo motivo il legislatore ha stabilito che il maggior utile che si è generato per la capitalizzazione di costi immateriali, non potrà essere distribuito a meno che non esistano riserve disponibili di pari ammontare.

Quindi la capitalizzazione dei costi di impianto, ampliamento e di sviluppo può avvenire sulla base del presupposto che essi abbiano un’effettiva utilità pluriennale. Come già accennato, queste tipologie di attività si prestano particolarmente a manovre fraudolente; si consideri ad esempio l’artificiosa iscrizione di costi di impianto sopravvalutati; oppure la frequente sopravvalutazione di spese di sviluppo alle quali viene attribuita un’utilità eccessiva e sproporzionata rispetto alla realtà.

Difatti, l’atteggiamento di diffidenza del legislatore è dimostrata anche dalla necessità, per procedere alla capitalizzazione, della previa autorizzazione del collegio sindacale. Per quanti riguarda i beni immateriali, essi non sono disciplinati analiticamente in quanto non hanno quell’indeterminatezza che caratterizza gli oneri pluriennali. L’ammortamento avverrà in proporzione alla durata dell’utilizzazione, tuttavia:

• non è consentito l’allungamento del periodo di ammortamento oltre il limite legale o contrattuale;

• l’ammortamento dei marchi non può eccedere comunque 20 anni.

In ogni caso può sussistere la pratica della ingiustificata iscrizione in bilancio di beni immateriali per un valore attivo sopravvalutato o del tutto giustificato. Si pensi all’ipotesi di un brevetto, spesso acquistato in Paesi esteri, iscritto tra le attività per un valore cospicuo; nella realtà dei fatti potrebbe trattarsi di un bene immateriale di assai minore utilità, dalle difficili o impossibili applicazioni pratiche, oppure proprio fasullo, cioè fondato su documentazioni completamente falsa.

Per quanto riguarda invece la valutazione dell’avviamento, è dettata dall’art. 2426 comma 1 n. 6 c.c. ed è anch’essa prudenziale; si stabilisce infatti che:

• l’avviamento può essere iscritto solo se acquisito a titolo oneroso (quindi non solo in caso di cessione ma anche di fusione, se esistono i presupposti, nel bilancio della società risultante dalla fusione o dell’incorporante) e nei limiti del costo sostenuto. • è necessario il consenso del Collegio sindacale (norma analoga a quanto previsto per

gli oneri pluriennali);

• l’ammortamento dell’avviamento è effettuato secondo la sua vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimarne attendibilmente la vita utile, è ammortizzato entro un periodo non superiore a dieci anni. Nella nota integrativa deve essere fornita una spiegazione del periodo di ammortamento dell’avviamento. Le immobilizzazioni materiali possono essere definite come beni di uso durevole costituenti parte dell’organizzazione permanente della società, destinati a essere sfruttati come strumenti di produzione del reddito (strumentalità).

In particolare, i problemi da risolvere nelle valutazioni delle immobilizzazioni sono di due tipi: la determinazione del valore iniziale e il calcolo della quota di ammortamento. Con riferimento al valore iniziale, ovvero il valore con il quale le immobilizzazioni sono accolte per la prima volta in bilancio, esso è dato dal costo, variamente configurato a seconda delle modalità di acquisizione di tali beni (acquisto da terze economie, costruzione in economia, apporto). In maniera sintetica si può affermare che:

− Nel caso di acquisto da terze economie, il valore originario è dato dal costo di acquisto, il quale comprende il costo effettivamente sostenuto aumentato di tutti i costi accessori d’acquisto, di trasporto, di messa in opera.

− Nelle costruzioni in economia, il valore originario è dato dal costo di produzione, il quale comprende tutti gli oneri direttamente imputabili al bene (quali materie prime ed accessorie, mano d’opera diretta, ecc.) e una ragionevole quota di oneri indiretti (ad esempio l’energia elettrica comune a più lavorazioni) e di interessi passivi (si pensi agli interessi sui capitali presi a prestito per finanziare la costruzione del bene).

− Nel caso di apporto, il valore del bene si determina sulla base del valore delle azioni cedute al socio conferente, confrontato però con il valore di mercato o i costi attuali di costruzioni in economia del cespite, al fine di verificarne la congruità.

In tutti e tre i casi il valore che si ottiene è fondato su stime e congetture. Come tale esso non può essere definito con certezza, e non può essere soggetto a un giudizio di verità- falsità. È possibile, però, individuare alcuni casi in cui il valore iniziale

dell’immobilizzazione può essere considerato economicamente scorretto e quindi inattendibile.

Un ampio spazio di manovra nella valutazione delle immobilizzazioni si ha nel caso in cui oggetto dello scambio è uno stabilimento completo di impianti, macchinari e attrezzature. Il prezzo che si forma in questo scambio deve scomporsi in tanti valori distinti da attribuirsi ai singoli beni, fermo restando che il periodo di ammortamento per tutti questi fattori è differente. Tale operazione di attribuzione può dar luogo a numerosi arbitrii.

Un’altra ipotesi è il caso di apporto da parte dei soci; infatti si potrebbero verificare delle sopravvalutazioni dei beni non sempre giustificate. Queste si determinano quando i soci vendono, dei beni alla società e compensano poi il credito di prezzo con il debito di apporto. A tal proposito il legislatore ha individuato tali rischi, cercando di mitigarli con una specifica normativa sia per le società a responsabilità limitata sia per le società per azioni21.

Altri esempi in cui è possibile avere una valutazione scorretta sono quelli della permuta, dei beni pervenuti alla società a titolo gratuito e dall’acquisto agevolato da contributi pubblici a fondo perduto.

Per quanto riguarda la permuta, spesso la valutazione del bene acquistato avviene al valore netto contabile del bene ceduto in permuta. Tale soluzione non è corretta quando il bene acquistato ha un valore di mercato o un valore d’uso sicuramente superiore o quando sia con sicurezza determinabile un costo di costruzione superiore. Infatti, valutando il bene acquistato al valore netto contabile del bene ceduto, non solo non si rileva la plusvalenza realizzata, ma si sottovaluta il bene acquistato con conseguente calcolo di ammortamenti ridotti negli esercizi successivi.

Per i beni pervenuti alla società a titolo gratuito o a prezzo simbolico, non è corretto omettere la loro iscrizione all’attivo. Tale iscrizione deve avvenire al presumibile valore di mercato attribuibile alla data di acquisizione a cui vanno aggiunti i costi di inserimento e messa in opera nel processo produttivo. In contropartita del valore iscritto nell’attivo, la dottrina ritiene corretto iscrivere il maggior valore a conto economico. Quando l’acquisto di un cespite è agevolato con contributi in conto capitale, si possono avere due modalità di rilevazione:

                                                                                                               

21 Si rimanda agli articoli del codice civile 2343 e seguenti per le società per azioni e 2465 per le società a

− La prima prevede che il contributo erogato viene iscritto nel conto economico dell’esercizio nel quale è intervenuta la delibera di erogazione e, a fine esercizio, la quota non di competenza viene “sospesa” mediante rilevazione di un risconto passivo. Gli anni successivi si reitera il procedimento, fino al termine della vita utile dei beni per i quali il contributo è stato erogato. Tale modalità prende il norme di “tecnica dei risconti passivi pluriennali” ed è il metodo “consigliato”;

− La seconda prevede che il contributo viene iscritto direttamente a riduzione del costo dei cespiti relativamente ai quali è stato erogato. Tale modalità prende il nome di “tecnica della riduzione del costo dei beni” ed è il metodo alternativo.

Fin qui sono stati analizzati alcuni problemi che possono sorgere nella determinazione del valore iniziale dell’immobilizzazione.

Occorre precisare che tale valore può essere successivamente aumentato tramite la capitalizzazione di spese di manutenzione straordinaria, ossia di spese che si concretizzano in un incremento significativo e misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza, o prolunghino la vita utile dei vari cespiti22. Anche in questo caso si possono verificare arbitrii e incertezze: capitalizzare spese che in realtà non incrementano il valore d’uso dell’immobilizzazione comporta un’emersione del risultato d’esercizio in cui la spesa è effettuata, superiore al reale.

Per quanto riguarda l’ammortamento, esso è il processo attraverso il quale si ripartisce il costo delle immobilizzazione fra gli esercizi durante i quali esse vengono economicamente sfruttate.

Il calcolo della quota di ammortamento viene svolta in base a un piano la cui redazione richiede la conoscenza di tre elementi:

1. Valore da ammortizzare: è rappresentato dal costo storico, che nella fase iniziale è dato dal costo di acquisizione dei beni strumentali e dagli eventuali oneri accessori, diminuiti dal presunto valore di recupero, ossia della somma che si prevede di realizzare cedendo il bene al termine del suo periodo di vita utile. All’inizio del processo di ammortamento, la determinazione del valore di realizzo costituisce una previsione troppo estesa nel tempo e dunque inattendibile. Si preferisce, solitamente, rinunciare a tale calcolo, facendo pari a zero il valore stesso, in modo da ripartire l’intero costo di acquisizione. Tuttavia non può dirsi economicamente corretta l’adozione di piani di ammortamento rigidi, ossia di piani che non vengono                                                                                                                

continuamente rivisti in relazione alle varie possibilità di utile impiego dei cespiti nel lasso di tempo futuro.

2. Il periodo di ammortamento: significa prevedere la durata utile del bene materiale o immateriale da ammortizzare, determinando il tempo durante il quale esso troverà economica utilizzazione nell’impresa. Alcuni fattori che incidono sulla vita utile di un bene sono il logorio fisico del cespite, l’obsolescenza tecnologica che può far risultare superati determinati impianti ancorché nuovi, le politiche aziendali di manutenzione e rinnovo dei cespiti e le modalità di sfruttamento dell’impianto. È molto importante stimare correttamente la vita utile di un cespite per evitare di avere cespiti completamente ammortizzati ma ancora funzionanti o, al contrario, cespiti non più utilizzabili ma ancora da ammortizzare. Si può affermare che analizzare i fattori che influenzano la vita utile delle immobilizzazioni vuol dire “percepire i vincoli che queste pongono alla gestione”23; da questi vincoli discendono nuovi piani di gestione i quali, a loro volta, portano a una revisione dei piani di ammortamento.

3. I criteri di ripartizione del valore in base al periodo di vita utile. Tra i criteri di ripartizione si può distinguere:

• Ammortamento quote costanti, è il metodo preferibile, si assume che l’utilità del cespite (quindi il costo di competenza) si ripartisca nella stessa misura per ogni anno;

• Ammortamento quote decrescente, realizza una miglior correlazione tra ammortamento del costo del bene e relativi benefici attesi. In linea con il decremento di produttività che deriva dall’utilizzo del bene;

• Ammortamento a quote variabili in base ai volumi di produzione; rapporto tra le quantità prodotte nell’esercizio e la quantità di produzione totale.

La necessità di determinare numerose stime e congetture per il calcolo di questi tre parametri rende molto incerto l’ammontare della quota di ammortamento e molto ampia la discrezionalità tecnica dei redattori del bilancio.

Il valore di un’immobilizzazione non può essere considerata attendibile quando:

− Non c’è congruenza tra i programmi di gestione e l’insieme dei vincoli che limitano l’attività aziendale. Ad esempio, in seguito a un mutamento nei gusti dei consumatori o a un mutamento nelle politiche legislative che rendono più pericolosa                                                                                                                

23 F. SUPERTI FURGA, “Il bilancio di esercizio italiano secondo la normativa europea”, Giuffrè,

la concorrenza estera, l’impresa continua a seguire i programmi di gestione prestabiliti senza considerare l’impatto di queste novità.

− Non c’è coerenza tra i programmi di gestione e il calcolo della quota di ammortamento. Continuando con l’esempio precedente, ciò vuol dire che l’impresa rivede i programmi di gestione e, per esempio, stabilisce che un impianto non può essere più convenientemente utilizzato; questo mutamento nella vita utile dell’impianto, però, non trova poi riflesso in una modifica dei criteri di ammortamento. Oppure l’impresa, in seguito a una più rigorosa politica di manutenzione delle immobilizzazioni, che potrebbe allungare la vita utile degli impianti, non modifica i criteri di ammortamento.

Il rispetto delle coerenze previste in tali punti consente di evitare che il calcolo degli ammortamenti avvenga sulla base di inaccettabili politiche di bilancio, politiche che hanno sempre finalità opposte rispetto a quella di una ragionevole determinazione del reddito prodotto nell’esercizio. In tale contesto, soprattutto per le imprese di ridotte dimensioni, la normativa fiscale contribuisce a rappresentare in maniera non corretta il reale deperimento dei beni.

La possibilità di apprezzare la coerenza e la congruenza dipende anche dall’analisi di informazioni di carattere qualitativo che non emergono dai documenti contabili (stato patrimoniale e conto economico). Tali informazioni, invece, devono essere presenti nella nota integrativa e nella relazione sulla gestione che diventano quindi utili strumenti per apprezzare il grado di attendibilità di un bilancio.

Diverso dall’ammortamento (che, come detto, rappresenta la ripartizione sistematica del costo dell’immobilizzazione sull’intera durata prevista di utilizzazione della stessa) è il processo di verifica del valore del bene materiale o immateriale, a seguito del quale può essere necessario operare una svalutazione per perdita durevole di valore.

In particolare, qualora l’immobilizzazione risulti durevolmente di valore inferiore rispetto al valore netto contabile, occorre procedere ad una svalutazione. Se non è possibile stimare il valore recuperabile della singola immobilizzazione, deve essere determinato il valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi di cassa a cui l’immobilizzazione appartiene24.

Ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 3 c.c., il valore originario deve essere ripristinato nei successivi esercizi se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata.

Per meglio comprendere quanto sopra descritto, si propongono brevi esempi da cui emerge come la discrezionalità dei redattori del bilancio può influire sulla corretta rappresentazione della situazione aziendale. Esempi ricorrenti sono la capitalizzazione di costi e spese di viaggio o trasferte, manutenzioni e riparazioni ordinarie, pubblicità che in realtà non hanno un’utilità futura ma sono semplici componenti negativi di reddito di esercizio, al fine di diluire la perdita tra più esercizi, nella speranza di utili futuri quasi sempre, però, illusori. Altre volte, invece, si espongono nello stato patrimoniale beni inesistenti (ad esempio auto, mobili per ufficio) in quanto acquistati con il denaro della società ma trasferiti a terzi. Ciò comporta anche un’alterazione del conto economico tramite l’inserimento di fittizie quote di ammortamento dei beni stessi.

2.3.2 I crediti

Prima della riforma del D.Lgs. 139/2015, la corretta valutazione dei crediti presupponeva l’individuazione di due parametri: il valore nominale e il valore di presunto futuro realizzo attraverso la riscossione; il principio della prudenza esigeva che si considerava il minor valore tra i due.

Poiché il valore di presunto realizzo era normalmente inferiore al valore nominale, i crediti erano iscritti in bilancio a tale valore e ciò avveniva tramite la creazione di un fondo svalutazione crediti che rettificava l’importo nominale dei crediti.

Il D.Lgs. 139/2015 ha introdotto un nuovo criterio di valutazione: il costo ammortizzato, da utilizzare per la rappresentazione dei crediti, dei debiti e delle immobilizzazioni rappresentate da titoli, la cui prima rilevazione sia successiva al 1° gennaio 2016. In particolare, viene modificato l’art. 2426 comma 1 n. 8 c.c. stabilendo che “i crediti e i debiti sono rilevati in bilancio secondo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto del fattore temporale e, per quanto riguarda i crediti, del valore di presumibile realizzo”.

Ai sensi del nuovo comma 2 dell’art. 2426 c.c. (inserito dal D.Lgs. 139/2015), “per la definizione…di costo ammortizzato…si fa riferimento ai principi contabili internazionali adottati dall’Unione europea”. Rileva quindi, lo IAS 39 (§ 9), secondo cui “il costo ammortizzato di un’attività o passività finanziaria è il valore a cui è stata misurata al momento della rilevazione iniziale l’attività o la passività finanziaria al netto dei rimborsi di capitale, aumentato o diminuito dell’ammortamento complessivo utilizzando il criterio dell’interesse effettivo su qualsiasi differenza tra il valore iniziale

e quello a scadenza, e dedotta qualsiasi riduzione (operata direttamente o attraverso l’uso di un accantonamento) a seguito di una riduzione di valore o di irrecuperabilità”. Si tratta, in definitiva, di valutare lo strumento finanziario in modo da “ammortizzare” o, meglio, distribuire tutti i costi e i ricavi da esso generati lungo l’intera sua vita utile impiegando il tasso d’interesse effettivo.

Sempre l’art. 2426 c.c. chiede si tenga conto del fattore temporale; ciò significa che in sede di prima iscrizione si dovrà abbandonare il valore nominale laddove il tasso di interesse effettivo risulti significativamente diverso da quello di mercato, ossia quello che due parti indipendenti avrebbero applicato per operazioni similari, facendo così emergere i proventi e gli oneri finanziari impliciti.

Il nuovo criterio valutativo, derivato da principi contabili internazionali, quindi, sostituisce quello del valore nominale, soluzione semplice e soprattutto fondata su dati già disponibili nel sistema contabile. L’applicazione di logiche matematico-finanziarie, certamente in grado di rappresentare meglio le fattispecie, richiede invece numerose informazioni aggiuntive oltre a determinare un significativo innalzamento della difficoltà estimativa. Il criterio del costo ammortizzato può non essere applicato ai crediti se gli effetti sono irrilevanti, ai sensi dell’art. 2423 comma 4 del codice civile. Si può presumere che gli effetti sono irrilevanti se i crediti sono a breve termine (ossia con scadenza inferiore ai 12 mesi) o se i costi di transazione, le commissioni e ogni altra differenza tra valore iniziale e valore a scadenza sono di scarso rilievo. Il valore di presumibile realizzo e il valore nominale manterranno quindi un ruolo centrale nella valutazione relegando il costo ammortizzato e l’attualizzazione a eccezione facoltativa; la scelta di non applicare quest’ultimi, invocando il principio della rilevanza, dovrà essere però commentata in Nota integrativa.

Ai sensi dell’art. 2426 comma 1 n. 8 c.c., i crediti devono inoltre tenere conto del valore di presumibile realizzo. Quindi al termine dell’esercizio, è necessario stimare le cause che possono incidere negativamente sul valore di realizzo dei crediti. Tali cause