• Non ci sono risultati.

I soggetti responsabili 1 Organo amministrativo

IL FALSO IN BILANCIO: PROFILI CIVILISTICI

3.4 Responsabilità per il bilancio falso

3.4.1 I soggetti responsabili 1 Organo amministrativo

Per   quanto   riguarda   gli   amministratori   delle   S.r.l.   l’art.   2476   c.c.   dispone   che   “gli   amministratori  sono  solidalmente  responsabili  dei  danni  derivanti  dall’inosservanza   dei   doveri   ad   essi   imposti   dalla   legge   e   dall’atto   costitutivo   per   l’amministrazione   della  società”  mentre  per  quanto  riguarda  gli  amministratori  della  S.p.a.  l’art.  2392   c.c.   dispone   che   “devono   adempiere   i   doveri   ad   essi   imposti   dalla   legge   e   dallo   statuto   con   la   diligenza   richiesta   dalla   natura   dell’incarico   e   dalle   loro   specifiche   competenze.  Essi  sono  solidalmente  responsabili  verso  la  società  dei  danni  derivanti   dall’inosservanza   di   tali   doveri,   a   meno   che   si   tratti   di   attribuzioni   proprie   del   comitato  esecutivo  o  di  funzioni  in  concreto  attribuite  ad  uno  o  più  amministratori”.   Con  il  riferimento  generico  a  tutti  gli  obblighi  imposti  dalla  legge,  la  responsabilità   solidale   degli   amministratori   si   verifica   sia   nell’ipotesi   in   cui   il   bilancio   falso   ha   cagionato  danni,  sia  nell’ipotesi  in  cui  vi  sia  stata  la  deliberazione  dell’assemblea  (o   del  consiglio  di  sorveglianza)  che  lo  ha  approvato.  

Le violazioni nella redazione del bilancio possono portare a sopravvalutazioni del patrimonio sociale e, quindi, ad una ripartizione di utili che non corrisponde ad un concreto attivo ed al pagamento di imposte non dovute. In tale ipotesi la prova del danno è abbastanza agevole risolvendosi con una perizia contabile. Pure i terzi possono subire danni dalle sopravvalutazioni perché indotti dai conti sociali ad intrattenere rapporti con la società. Esempi di illegali sopravvalutazioni di poste del bilancio e, quindi, del patrimonio sociale sono: illecite rivalutazioni delle immobilizzazioni oltre il prezzo di costo; iscrizione in bilancio come spese incrementative di spese che in realtà sono di semplice manutenzione; omissione o irragionevole sottovalutazione degli ammortamenti; mancata svalutazione dei crediti in ipotesi in cui sia chiaro che il valore di presunto realizzo non potrà essere pari al valore nominale; ecc.. Tali artifici, che costituiscono vere e proprie violazioni degli articoli 2423-2425 c.c., oltre a determinare l’invalidità dei bilanci e la possibilità di ricorrere al tribunale ex art. 2409 c.c., possono determinare la responsabilità degli amministratori quando siano produttivi di danno

(come, ad esempio, nel caso di quei fornitori o banche, che, sulla base di bilanci falsamente ottimistici, abbiano concesso dilazioni o mutui, che poi la società, divenuta o riconosciuta insolvente, non è stata in grado di adempiere).

La violazione nella redazione del bilancio può però anche determinare una sottovalutazione del patrimonio sociale. In questo caso la prova del danno potrebbe essere meno agevole che nell’ipotesi precedente, in quanto la società non subisce nessuna perdita diretta ed immediata da tale comportamento. In queste ipotesi, qualunque sia la voce dell’attivo che risulti irragionevolmente sottovalutata o addirittura omessa, e qualunque sia la voce del passivo che risulti irragionevolmente sopravvalutata, l’inadempimento dell’amministratore non determina in genere alcun danno alla società o ai creditori sociali, poiché sia la società sia i creditori possono contare su riserve occulte non emergenti dal bilancio. Difficile è anche provare l’esistenza di un danno diritto dei singoli soci, poiché anche se dal bilancio fosse emerso un utile maggiore, non solo non è detto che l’assemblea ne avrebbe deliberato la distribuzione, ma in ogni caso potrebbe sostenersi che le riserve occulte hanno aumentato il valore della società, e di riflesso quello della partecipazione del socio, il quale non sembra venga pertanto a subire un danno dalla mancata (o minore) distribuzione dei dividendi. Vi possono essere casi in cui le sottovalutazioni o le riserve occulte create dagli amministratori possono determinare una loro responsabilità. Ciò si può verificare, ad esempio, se le riserve siano costituite non mediante sottovalutazioni delle poste dell’attivo o sopravvalutazioni delle poste del passivo, ma mediante falsificazioni, in genere del conto economico, che consentono la creazione di fondi neri (ad esempio con sottofatturazioni o mancate fatturazioni, o con incremento fittizio dei costi, ecc.). In queste ipotesi si vengono a creare disponibilità extrabilancio, che gli amministratori possono impiegare a loro piacimento senza alcun controllo dei soci. Anche in questi casi la responsabilità non deriva dalla semplice irregolarità contabile, poiché la mancata contabilizzazione ufficiale di denaro o beni della società non causa un depauperamento del patrimonio sociale. Il danno deriva dalle ulteriori violazioni che gli amministratori possono commettere nella utilizzazione di tali fondi che, come è noto, si prestano facilmente ad essere impiegati in operazioni compiute in conflitto d’interesse, o al di fuori dell’oggetto sociale, se non anche in veri e propri indebiti prelevamenti personali: inadempimenti questi che costituiscono la diretta fonte di responsabilità degli amministratori.

In ogni caso, nel giudizio occorrerà accertare il fatto doloso o colposo causalmente produttivo del pregiudizio in capo al soggetto danneggiato, mentre non è necessaria la prova del dolo specifico.

3.4.1.2 Organo di controllo

Nelle  ipotesi  di  falso  in  bilancio  è  facile  ipotizzare    una  concorrente  responsabilità   dei  sindaci  con  l’attività  illecita  degli  amministratori.  Si  pensi  ad  esempio  ad  una   non  corretta  postazione  a  bilancio  che  comporta  la  corresponsione  di  imposte  non   dovute,  errata  postazione  nata  da  una  non  corretta  decisione  degli  amministratori,   ma   non   rilevata   dall’attività   di   controllo.   Occorre   comunque   evidenziare   che   la   responsabilità  dei  sindaci  non  è  derivante  sempre  e  comunque  dall’insuccesso  del   controllo,   ma   sicuramente   dal   fatto   che   questo   o   non   è   stato   esercitato   o   è   stato   esercitato  senza  la  dovuta  diligenza.  

L’art.   2407   c.c.   stabilisce   la   disciplina   generale   in   tema   di   responsabilità   dei   sindaci:    

I   sindaci   devono   adempiere   i   loro   doveri   con   la   professionalità   e   la   diligenza   richieste   dalla   natura   dell’incarico;   sono   responsabili   della   verità   delle   loro   attestazioni   e   devono   conservare   il   segreto   sui   fatti   e   sui   documenti   di   cui   hanno   conoscenza  per  ragione  del  loro  ufficio.  

Essi  sono  responsabili  solidalmente  con  gli  amministratori  per  i  fatti  o  le  omissioni  di   questi,   quando   il   danno   non   si   sarebbe   prodotto   se   essi   avessero   vigilato   in   conformità  degli  obblighi  della  loro  carica.  

All’azione   di   responsabilità   contro   i   sindaci   si   applicano,   in   quanto   compatibili,   le   disposizioni  degli  articoli  2393,  2393-­‐bis,  2394,  2394-­‐bis  e  2395.”  

Dunque,  la  responsabilità  dei  sindaci  si  affianca  ad  una  concorrente  responsabilità   degli   amministratori   e   con   essi   possono   pertanto   essere   legittimati   passivi   di   un’azione   di   responsabilità   se   hanno   pertanto   concorso   a   cagionare   il   danno   che   l’attore  vuole  vedere  risarcito.  

La  raggiunta  prova  che  il  danno  non  si  sarebbe  prodotto  con  una  corretta  attività   del  sindaco  è  elemento  necessario  per  poter  ritenere  assodato  il  concorso  causale   del   controllore   al   verificarsi   del   danno.   Perciò   possiamo   ipotizzare   una   responsabilità  del  sindaco  allorquando:  

• I  sindaci  non  abbiano  adeguatamente  controllato,  con  la  dovuta  professionalità   e  diligenza  richieste  dalla  natura  dell’incarico;  

• Si  sia  verificato  un  danno  patrimoniale;  

• Sussista  un  rapporto  causale  tra  l’attività  omessa  o  insufficiente  dei  sindaci  e  il   danno.  

Di   contro   non   è   sufficiente   dimostrare   che   i   sindaci   non   abbiano   agito   come   avrebbero   dovuto   per   addossargli   delle   responsabilità,   poiché   ciò   non   comporta   automaticamente   la   nullità   del   bilancio,   se   a   tale   negligenza   non   corrisponda   l’esistenza  di  irregolarità  ed  invalidità  specifiche  del  bilancio  stesso.  

Infine,  non  possiamo  non  menzionare  la  responsabilità  delle  società  di  revisione  o   dei   revisori,   i   quali   rispondono   per   responsabilità   extracontrattuale   per   i   danni   derivanti   a   terzi   dell’attività   di   controllo   e   di   certificazione   del   bilancio,   anche   nell’ipotesi  di  revisione  volontaria,  effettuata  su  incarico  della  società  controllata   (Cass.,  sez.  III,  18/07/2002,  n.  10403).  

Viceversa  la  società  di  revisione  risponde  per  responsabilità  contrattuale  verso  la   società.  

L’art.  15  del  d.lgs.  39/2010  ha  sostituito  l’abrogato  art.  2409-­‐sexies  c.c.  riguardante,   in   passato,   la   responsabilità   dei   soggetti   incaricati   del   controllo   contabile   delle   società   disciplinate   dal   codice   civile.   L’art.   15   ripropone,   nella   sostanza,   quanto   stabilito   nell’art.   2409-­‐sexies   primo   comma   c.c.   che   prevedeva   anch’esso   una   responsabilità  solidale  nei  confronti  della  società  revisionata,  dei  soci  e  dei  terzi,   derivante  da  inadempimento  dei  propri  doveri.  Non  era  contenuta  nell’art.  2409-­‐ sexies   la   precisazione,   ora   contenuta   nell’art.   15   primo   comma,   secondo   cui   “nei   rapporti   interni   tra   i   debitori   solidali”,   gli   stessi   rispondono   entro   i   limiti   del   contributo  effettivo  al  danno  cagionato.    

Non sembra creare problemi interpretativi la mancanza di un espresso collegamento, in precedenza stabilito dall’art. 2407 primo comma c.c., alla “professionalità e diligenza richieste dall’incarico”. Infatti, l’art. 15 primo comma d.lgs. n. 39/2010 non richiede espressamente che i revisori operino con diligenza. Tuttavia è scontato che, in applicazione dei principi generali, essi debbano operare diligentemente. La diligenza richiesta ai revisori non è quella del buon padre di famiglia, disciplinata dall’art. 1176 primo comma c.c., bensì quella specifica contenuta nell’art. 1176 secondo comma, il quale stabilisce che: “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti l’esercizio di

un’attività professionale, la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

3.4.2 I soggetti danneggiati