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L’applicazione dell’abuso del processo nel diritto tributario

In assenza di norme specifiche contenute nel c.p.c. italiano che espressamen- te si applichino all’abuso processuale, è pur sempre necessario identificare i pos- sibili parametri normativi nel codice di rito civile. Innanzitutto, si consideri il di- sposto dell’art. 88, il quale, come già esposto in precedenza, impone alle parti ed ai loro difensori di “comportarsi in giudizio con lealtà e probità” 271, vale a dire che non è sufficiente un comportamento legalmente valido, occorrendo un quid pluris costituito dall’agire in modo corretto e onesto272, valutabile in senso posi- tivo sul piano morale273.

                                                                                                               

271  Cfr. G. Scarselli, Lealtà e probità nel compimento degli atti processuali, in Riv. trim. dir.

proc. civ., 1998, 91 ss.

272 Cfr. per tutti E. Zucconi Galli Fonseca, Commento sub art. 88, in Commentario breve al co-

dice di procedura civile, a cura di F. Carpi, M. Taruffo, Padova, 2012, 335 ss.

273 Per una interessante applicazione del principio di lealtà e di probità processuale, di cui

all’art. 88 c.p.c., laddove la Suprema Corte ha ritenuto di non concedere un termine per effettua- re la notificazione (in precedenza omessa) dell’impugnazione a una parte totalmente vittoriosa, nell’ipotesi in cui l’impugnazione medesima sia dichiarata inammissibile ovvero improcedibile, v. Cass., sez. un., 3 novembre 2008, n. 26373, in Riv. dir. proc., 2009, 1684 ss., con nota di L.P. Comoglio, Abuso dei diritti di difesa e durata ragionevole del processo: un nuovo parametro per i poteri direttivi del giudice? In questo arresto, la S.C. sottolinea che, in considerazione dei pote- ri di direzione del procedimento attribuiti al giudice dagli artt. 175, 1o comma e 127, 1o e 2o comma c.p.c., il principio della ragionevole durata del processo impone «al giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di energie processuali e formalità da ritenere superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo» o dall’effettività del contraddittorio e dei diritti di difesa «partecipativa», che sono attribuiti su ba- se paritaria per effetto delle garanzie del giusto processo a tutti i soggetti «nella cui sfera giuri- dica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti»

Un altro importante referente normativo è costituito dall’art. 96 c.p.c., norma speciale rispetto al precetto generale contenuto nell’art. 2043 c.c.274, che al primo

comma disciplina la fattispecie della parte soccombente che agisce o resiste in giudizio con mala fede o colpa grave, suscettibile di essere condannata, su istan- za dell’altra parte, al risarcimento dei danni che sono liquidati, anche d’ufficio, nella sentenza275. Il successivo terzo comma, introdotto dall’art. 45, dodicesimo comma, della l. n. 69 del 2009, ha arricchito in modo generalizzato276 le conse- guenze dell’illecito processuale di una nuova sanzione e prevede, in modo singo- lare e non poco discutibile, un potere del giudice molto ampio e, forse, discrezio- nale o arbitrario, di sanzionare anche d’ufficio comportamenti non precisamente individuati, mediante la condanna della “parte soccombente al pagamento, a fa-

vore della controparte, di una somma equitativamente determinata”277, senza in-                                                                                                                

274 In tal senso, cfr. P. Nappi, Commento sub art. 96, in Codice di procedura civile commentato,

dir. da C. Consolo, tomo I, Milano, 2010, 1060. L’Autore sottolinea che l’art. 96, rispetto all’art. 2043 c.c., contempla le particolari ipotesi di illecito in relazione alla qualità di parte del processo. La specialità della norma è sottolineata anche da D. Volpino, L. M. Paliero, Commen- to sub art. 96, in Commentario breve al codice di procedura civile, a cura di F. Carpi, M. Taruf- fo, cit., 366, con riferimento alle diverse ipotesi che possono integrare un illecito processuale.

275 Non osta all’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da lite temeraria

l’omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subito dalla parte vittoriosa, il quale è costituito dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costret- ta a contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa. Conseguentemente, il risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. va inteso in senso non poco ampio, comprensivo del danno sia patrimoniale, sia non patrimoniale.

276 «In ogni caso» (con cui esordisce l’art. 96, 3o comma c.p.c.) si estrinseca in una «formula

generica e generale» che «è a dir poco inopportuna»: così P. Nappi, Commento sub art. 96, cit., 1074.

277 Sottolinea C. Glendi, Nuove disposizioni generali del codice di procedura civile e processo

tributario, in Corr. trib., 2010, 2569, che l’art. 96, 3o comma c.p.c. non dovrebbe avere una fun- zione risarcitoria o indennitaria, laddove sembra prevalere «un profilo punitivo, di cui peraltro verrebbe a fruire la parte vittoriosa, quale premio per aver cooperato a far emergere una situa- zione giudicata meritevole di sanzione», ma restano sfumati ed incerti i relativi presupposti, non essendo chiaro se sono i medesimi dei primi due commi dell’art. 96, ovvero anche altri. Ag- giunge l’Autore, in senso pienamente condivisibile, che è sconcertante «l’apparente carenza di limiti quantitativi all’esercizio di un potere ancorato al labile ed enigmatico parametro dell’equità, salvo il solo connotato della soccombenza ». Anche M. Taruffo, L’abuso del pro- cesso, cit., loc. cit., 123, critica

tale disposizione e sottolinea che la condanna ha per oggetto il pagamento di somme indetermi- nate, equitativamente determinate dal giudice in virtù di «una sorta di potere discrezionale asso- luto». Ai sensi della sentenza del Tribunale di Prato 6 novembre 2009, in Foro it., 2010, I, 2229, 2232 ss., con nota di G. Scarselli,

Il nuovo art. 96, 3o comma, c.p.c.: consigli per l’uso, manifesta un abuso del processo l’ipotesi in cui l’esercizio di un’azione convenzionale sia congegnato in modo da essere eccedente e de- viato rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale formalmente perseguito ed è orientato ad otte- nere un ingiustificato allungamento dei tempi processuali in violazione del principio del giusto processo (nella specie, in un giudizio ordinario di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale

dicare un limite massimo alla condanna e nemmeno la necessaria valutazione sulla colpa grave o la mala fede nell’aver proposto la domanda giudiziale o nell’avervi resistito278.

Peraltro è importante evidenziare come la riforma apportata con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 abbia introdotto l’articolo 2-bis che recita testualmente

“si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo e terzo, del co- dice di procedura civile” facendo, dunque, ora, espresso rinvio al codice di rito.

Il legislatore ha dunque confermato l’applicabilità dell’art. 96 del c.p.c., anche se pure nel previgente articolo 15 del D.Lgs n 546/1992 ante riforma, era prassi, per il rinvio generico di cui al secondo comma dell’articolo 1 del D.Lgs n 546/1992, applicare il suddetto art. 96 del c.p.c.

Nel seguito della trattazione, dunque, si andrà ad inquadrare la normativa della cosiddetta “lite temeraria” e i suoi ambiti di applicazione.

3.4.1 La responsabilità processuale aggravata per lite temeraria: il nuovo comma 2-bis dell’art. 15

Come detto poc’anzi, la riforma introdotta con il D.Lgs. del 24 settembre 2015 n.156, ha aggiunto all’art. 15 il nuovo comma 2-bis che rinvia espressa- mente al codice di procedura civile e più esattamente all’art. 96, primo e terzo comma del codice di rito.

La trattazione fin qui condotta della disciplina delle spese, come risultante all’esito degli ultimi interventi normativi, consente, di affermare che se nella normalità la condanna alle spese assolve alla funzione di garantire l’effettività della tutela giudiziale, impedendo che il processo possa risolversi in danno della                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

ha ritenuto di applicare l’art. 96, 3o comma c.p.c. quale sanzione civile a carico del soccomben- te, suscettibile di evitare che il processo venga instaurato senza ragioni, laddove la vicenda che forma l’oggetto del giudizio evidenzia il pretestuoso ricorso alla giustizia, in termini sia di op- posizione meramente dilatoria, sia di condotte processuali correlate e finalizzate unicamente ad ostacolare la realizzazione del diritto del creditore, appunto mediante l’abuso del processo).

278 Sembra che la condanna possa essere pronunciata, anche d’ufficio, senza l’allegazione e la

prova della parte vittoriosa di aver subito un pregiudizio dal comportamento della controparte, che abbia indebitamente abusato degli strumenti del processo.

parte vittoriosa, il cosiddetto “victus victori”, tuttavia la stessa può assumere una valenza sanzionatoria nei casi in cui il diritto di agire e di resistere in giudizio vada oltre i limiti del dettato costituzionale, che non può in alcun caso legittimare iniziative sconsiderate.

Non è, invece, condivisibile l’opinione di chi279ritiene che l’obbligo di refu- sione delle spese, avrebbe in ogni caso funzione sanzionatoria. Infatti, la sanzio- ne presuppone un atto illecito e detta illiceità non può essere ravvisata se non al- lorquando la condotta processuale sia sleale o scorretta ovvero qualora l’agire e il resistere in giudizio avvengano nella piena consapevolezza del proprio torto.

La disciplina delle spese, quindi, realizza un giusto contemperamento degli interessi in gioco, poiché l’ordinamento deve da un lato garantire la possibilità di ricorrere al mezzo processuale, dall’altro assicurarsi che iniziative processuali pretestuose pregiudichino non solo i soggetti coinvolti in processi ingiustificati e lesivi, ma anche tutti coloro i quali, avendo pienamente diritto alla tutela, non la ricevono o la ricevono in tempi irragionevoli, a causa dei ritardi dovuti alla proli- ferazione di cause temerarie.

In considerazione alle motivazioni sopra esposte si basa il presupposto dell’art. 96 c.p.c. che recita testualmente al primo comma “Se risulta che la parte

soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giu- dice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimen- to dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”, e al terzo comma “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art 91, il giudice anche d’ufficio può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”280

Dalla formulazione letterale dell’articolo si evince che i presupposti per l’applicabilità del primo comma sono la sussistenza di un elemento oggettivo,                                                                                                                

279 F.CORDOPATRI, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, cit.

280 Comma aggiunto ex art 45, c. 12, l.18-6-2009 n 69, in vigore dal 4-7-2009 ed applicabile ai

quale è la soccombenza; di uno stato soggettivo rappresentato dal dolo o dalla colpa grave; di un danno ingiusto cagionato nella sfera giuridica del soggetto ri- sultato vittorioso dal comportamento della controparte.

Va evidenziato subito come il danno subito debba essere diverso ed ulteriore rispetto alla mera resistenza in giudizio e debba poter essere addebitato proprio alla male fede del litigante.

Sono pertanto evidenti i punti in comune con l’istituto della responsabilità ex artt. 2043 e seguenti del codice civile, sicché in molti281 riconducono la re- sponsabilità processuale ex art. 96 comma 1 all’interno della responsabilità ex- tracontrattuale.

I presupposti della condanna per il risarcimento che nasce dalla c.d. “lite te- meraria” è anzitutto la sussistenza del danno nonché del nesso di causalità tra condotta e danno medesimo che devono essere specificatamente provati; la com- petenza a pronunciare su tale danno spetta funzionalmente al giudice che conosce nel merito la causa cui si riferiscono i pretesi danni.

C’è chi ritiene282 che la suddetta responsabilità si configuri esclusivamente come sanzione di condotte processuali, totalmente svincolata dalle situazioni di diritto sostanziale fatte valere in giudizio. Le norme di diritto processuale, infatti, se da un lato prevedono particolari forme di responsabilità, dall’altro non danno vita ad un nuovo corpus unitario tale che si possano considerare rette da principi a sé stanti283.

                                                                                                               

281 In tal senso si veda: C.M.BIANCA, Diritto civile, 5 volume, giuffre editore Milano 2012 pag

773 e seg; G.ROMUALDI, dall’abuso del processo all’abuso del sistema giustizia, in op.cit pag 46 e seg; A.GIUSSANI, voce Responsabilità aggravata in diritto online Treccani 2013; G.FINOCCHIARO, La funzione punitiva del danno esistenziale da lite temeraria, in dir.proc.civ 2005 pag 2127 e seg; G.FINOCCHIARO, Ancora sul nuovo art 96 comma 3 cpc, in riv.dir.proc.2011 pag 1184 e seg; T.DELLA MASSARA, Terzo comma dell’art 96 cpc: quando, quanto e perché? In Nuov,giur.civ.comm. 2012 aggiornamenti, pag 55 e seg; M.VACCARI, Art 93 comma3 cod,proc civ profili applicativi e prospettive giurisprudenziali, in NGCC 2011 pag 73 e seg.

282 CALVOSA, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in Riv. trim.

dir. e proc. civ., 1954, 378.

Al contrario si utilizzano nozioni ed istituti di diritto sostanziale quali sono i concetti di responsabilità, imputabilità, dolo, colpa284 il che rende evidente come l’art. 96, quanto meno nel primo comma, delinei una responsabilità speciale di natura aquiliana.

In relazione all’elemento soggettivo va detto che la dottrina distingue la mala fede dalla colpa grave, individuando la prima nella coscienza di operare sleal- mente o nella piena consapevolezza di avere torto, e la seconda nella mancanza di diligenza della parte nel valutare se il diritto sia sussistente o se l’atto sia ritua- le.

La giurisprudenza, invece, tende a sussumere l’elemento soggettivo nel con- cetto unitario di temerarietà, ravvisata nella colpevole ignoranza, nel mancato doveroso impiego della necessaria diligenza, nella consapevolezza del proprio torto, nella volontà di servirsi del processo per scopi estranei ai suoi fini istitu- zionali285.

In presenza dei presupposti per la applicabilità dell’art. 96 comma 1 c.p.c., è necessario che la richiesta di condanna venga espressamente formulata dalla par- te nel giudizio nel quale la condotta temeraria è stata tenuta286.

Passando ad analizzare il terzo comma dell’art 96 c.p.c., introdotto dalla leg- ge 18.06.2009 n. 69, non si può di certo affermare che il legislatore nel formulare il suddetto comma, abbia brillato in chiarezza e sistematicità.

                                                                                                               

284 C.M.BIANCA, Diritto civile vol V, cit. pag 775.

285 Codice di procedura civile commentato a cura di C. Consolo, art. 96, Milano 2013 pag. 1066. 286 Si tende ad escludere in giurisprudenza e in dottrina che possa essere competente a decidere

sulla responsabilità aggravata un giudice diverso da quello che è chiamato a decidere sulla do- manda principale, poiché solo questi è in possesso degli elementi necessari per accertare la sus- sistenza della temerarietà. È esclusa quindi l’esperibilità di un’autonoma azione risarcitoria in un separato giudizio dinanzi a un giudice diverso. L.P.COMOGLIO, Abuso del processo e ga- ranzie costituzionali, cit. pag. 348. In tal senso anche Cass. S.U. 15.11.2007 n. 23726, in Riv.dir.proc, 2008 pag 1435 e in Foro.it, 2008, pag. 1514

Si tratta, infatti, di una disposizione indeterminata, generica ed ambigua287, che pone non poche difficoltà interpretative quanto alla individuazione della na- tura, dei presupposti applicativi, dei criteri che devono guidare nella quantifica- zione della somma, di cui parleremo a breve.

Il comma si apre con una locuzione particolarmente ambigua, prevedendo che il giudice possa “in ogni caso”, condannare anche d’ufficio la parte soccom- bente al pagamento di una somma equitativamente determinata.

Se si volesse valorizzare il solo tenore letterale della disposizione si potreb- be, quindi, sostenere che è la soccombenza della parte l’unico presupposto neces- sario per la condanna, senza che sia richiesto l’elemento soggettivo dell’illecito.

La dottrina ha espresso al riguardo opinioni contrastanti.

Alcuni autori288,valorizzando il tenore letterale della disposizione, evidenzia- no che occorre prescindere dall’elemento soggettivo, sia perché solo così si dà un senso all’espressione “in ogni caso”, sia in quanto diversamente verrebbe meno qualunque distinzione fra il primo ed il terzo comma, e si finirebbe per frustrare l’intento del legislatore, che, con la novella del 2009, ha voluto chiaramente estendere i casi di responsabilità aggravata, con finalità deflattive del contenzio- so.

Non manca, però, chi sostiene289 che, al contrario, non si possa prescindere dall’elemento soggettivo, poiché altrimenti si violerebbe il principio della re- sponsabilità personale e dell’imputabilità e la norma finirebbe per porsi in con- trasto con l’art.24 Cost..

                                                                                                               

287 In tal senso: P.PORRECA, L’art 96, 3° comma, fra ristoro e sanzione in Foro.it 2010, pag.

2241; G.FINOCCHIARO, Ancora sul nuovo art 96 comma 3° cpc in Riv.dir.proc. 2011, pag. 1184.

288 M.F.GHIRGA, op.cit. pag 86 ; F.FRADEANI, Note sulla lite temeraria ex art 96 co 3 cit.;

LUISO, Prime osservazioni sul disegno di legge Mastella in Riv. trim.dir. e proc. civ., 2007, pag.605 e seg.

289 G.VANACORE, L’art 96,3°co,cpc nell’attuale sistema di responsabilità per le spese e danni

processuali in Resp.civ.,2011 pag. 614 e seg; G.FINOCCHIARO, Ancora sull’art 96 co 3 cpc , cit.; G.SCARSELLI, Le modifiche in tema di spese, in Foro.it. 2009 pag. 258.

Si sostiene, poi, che la tesi secondo la quale la condanna ex comma 3 do- vrebbe prescindere integralmente dalla colpa, finirebbe per concedere al giudice una discrezionalità talmente ampia da essere quasi arbitraria.

Astrattamente, infatti, ricorrendo la soccombenza, ogni condotta processuale potrebbe dare luogo alla applicazione della norma e ciò finirebbe per porre la stessa in contrasto con gli artt. 24 e 111 della Costituzione.

Si può dunque affermare che il primo e il terzo comma dell’art.96 c.p.c ab- biano una diversa natura ed una diversa funzione della condanna. Il primo com- ma, infatti, darebbe vita ad una condanna di natura risarcitoria, sussumibile all’interno dell’art 2043 cc, che trova la sua giustificazione nella necessità di ri- storare il pregiudizio subito dalla controparte a seguito dell’illegittimo utilizzo dello strumento processuale290.

L’ultimo comma, invece, avrebbe una funzione più propriamente sanzionato- ria, volta innanzitutto a dissuadere da un utilizzo distorto ed abusivo del proces- so. Si tratterebbe, quindi, di una sanzione a carattere pubblicistico, perché rivolta a reprimere, e al tempo stesso a scoraggiare, un determinato comportamento.

Se la norma s’interpreta in questi termini, si deve ritenere che il legislatore italiano, nel formularla, abbia assunto a modello i cosiddetti “danni punitivi”291di

derivazione anglosassone, cui però la Corte di Cassazione ha più volte negato a possibilità di ingresso di tale istituto, del tutto estraneo alla nostra cultura giuridi- ca e addirittura incompatibile con l’ordine pubblico292. La Suprema Corte293 ha                                                                                                                

290 Si tratta di un danno che, come si è detto, necessita di essere provato dalla parte, essendo

l’intervento officioso del giudice limitato alla sola liquidazione ,nei casi in cui il danno sia certo nell’an ma non esattamente determinato nel quantum.

291 In tal senso T.DELLA MASSARA, Terzo comma dell’art 96 cod.proc.civ: quando, quanto e

perché, cit. pag. 62.

292 La sentenza più nota è senz’altro Cass. 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, 1460,

con nota di G. Ponzanelli, Danni punitivi: no, grazie; in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, 981 ss. con nota di Ollari, I danni punitivi bussano alla porta: la Cassazione non apre; in questa Rivista, 2007, 4, 497 ss. Con nota di Fava, Punitive damages e ordine pubblico: la Cassazione blocca lo sbarco; in Danno e resp., 2007, 1126, con nota di Pardolesi, Danni punitivi all’indice?

293  Cass. 8 febbraio 2012, n. 1781, che ha rilevato come «nel vigente ordinamento il diritto al

affermato che “nel vigente ordinamento l’idea di punizione è estranea al risar-

cimento del danno, così come è indifferente la condotta del danneggiante”294;

ma la questione è stata di recente portata all’attenzione ed alla statuizione delle Sezioni Unite, con un’ordinanza che lascia spazio per un’eventuale ulteriore apertura del nostro sistema al riconoscimento di condanne di questo tipo.

Ma che i danni punitivi non siano consentiti nel nostro ordinamento è princi- pio più volte affermato dalla dottrina civilistica, oltre che ribadito dalla giuri- sprudenza di legittimità; “l’adozione di misure risarcitorie punitive deve neces-

sariamente passare per una regola di intermediazione legislativa: nel nostro or- dinamento non può avere valenza generale”; ed ancora: “non può essere suffi- ciente per la sua concessione la presenza nella condotta del danneggiante della malafede”295

Altra questione che si è posta in sede di applicazione del nuovo istituto è quella relativa alla teorica possibilità di un cumulo fra la condanna di cui ai commi 1 o 2 e quella di cui al comma 3.

In altri termini si è posto il problema se la sanzione equitativamente determi- nata costituisca una condanna ulteriore che si somma al risarcimento del danno previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 96 c.p.c., ovvero se si tratti di una liquidazione forfettaria ed equitativa dello stesso che esonera la parte dalla prova del danno, ma che, tuttavia, non può aggiungersi al danno liquidato nel caso concreto ai sen-