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I doveri di lealtà e probità

L’art. 88 è sito all’interno del primo libro del codice di procedura civile, ine- rente le disposizioni generali, III titolo, riguardante le parti ed i difensori, capo III, che disciplina i loro doveri.

La disposizione stabilisce che: “le parti e i loro difensori hanno il dovere di

comportarsi in giudizio con lealtà e probità. In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle Autorità che esercitano il potere disci- plinare su di essi”.

La norma ha avuto in passato nella pratica scarsa applicazione ed in dottri- na231, si è anche sostenuto che la disposizione conterrebbe solo un precetto eti- co, privo di qualunque contenuto normativo232. A sostegno dell’assunto si faceva leva sulla mancata previsione di un potere sanzionatorio del giudice, da esercitar- si quale diretta reazione a condotte improbe e non leali tenute dai difensori.

Il rinnovato interesse per il tema dell’abuso ha, invece, fatto assumere alla disposizione un ruolo centrale e si è sottolineato che la stessa, lungi dall’esaurire la sua funzione solamente sul piano metagiuridico, si pone, al contrario, come criterio di valutazione delle condotte processuali delle parti, costituendo anche il presupposto per la irrogazione di sanzioni233.

                                                                                                               

231 La Relazione del Guardasigilli Grandi al codice al § 17 (Contro la malafede processuale), in-

dica la «moralizzazione» del processo come «uno dei principi ispiratori del nuovo Codice», ri- chiamando proprio l’art. 88, nella cui formulazione vede «un richiamo ammonitore» per parti avvocati «rivolto alla loro coscienza».

232 D.BORGHESI, L’abuso del processo in www.associazionicivilisti.it definisce l’art 88 c.p.c.

come “ proclamazione di principio”.

In effetti la tesi di chi ravvisa nella norma un precetto di carattere morale è innanzitutto smentita dalla espressa previsione di un dovere che, in quanto tale, non può che essere connotato di giuridicità.

D’altro canto il collegamento del precetto con le disposizioni contenute negli artt. 116 e 175 c.p.c., che prevedono rispettivamente il potere del giudice di trarre elementi di convincimento anche dal comportamento processuale delle parti ed il potere/dovere di attivarsi per garantire il “leale” svolgimento del procedimento, induce a ritenere che la disposizione operi come limite generale delle regole che governano il processo. Sebbene, infatti, quest’ultimo sia, indubbiamente, una lot- ta che ciascuna parte conduce nel suo esclusivo interesse, tuttavia non può essere consentito che il risultato perseguito venga raggiunto attraverso una illecita com- promissione della sfera giuridica altrui234

Il richiamo al necessario rispetto degli obblighi di lealtà e probità comporta, allora, che la parte è lasciata libera di utilizzare gli strumenti previsti dall’ordinamento, per far valere gli elementi a sé favorevoli e per conseguire una posizione di vantaggio, a condizione che detta posizione sia il frutto di abilità ed accortezza nell’uso degli strumenti processuali, e non consegua, invece, a con- dotte sleali e fraudolente.

Così intesi, gli obblighi di lealtà e probità assumono un ruolo centrale nell’esperienza processuale235, divenendo anche modalità imprescindibile per l’attuazione del contraddittorio e, attraverso di esso, del giusto processo.

Se, infatti, si supera l’orientamento tradizionale che, muovendosi su un piano logico, formale, vede nel contraddittorio solo un mezzo per garantire il fair play,

                                                                                                               

234 “Succede nella lotta processuale quel che accade nella guerra, quando una convenzione in-

ternazionale limiti i mezzi di offesa...: qualunque atto che violi la convenzione stessa è indub- biamente antigiuridico e legittima la sanzione” S. SATTA –C.PUNZI Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 116.

ovverosia la parità delle armi236, e lo si intende in senso “forte”237, come stru- mento attraverso il quale si realizza la effettività della tutela giurisdizionale, ga- rantendo l’uguaglianza sostanziale delle parti, il dovere di lealtà diventa impre- scindibile per la corretta dialettica processuale, in quanto l’agire sleale crea una situazione di disparità ed ostacola la realizzazione del fine al quale il processo tende, che è quello di far emergere la verità, sia pure non assoluta ma processua- le.

Il controllo sulla lealtà e sulla probità delle parti, quindi, consente di recupe- rare una dimensione etica oltre che logica del processo238 e ciò perché lealtà e probità sono qualità della morale umana239, che assumono rilievo giuridico nel momento in cui divengono regola di condotta dell’agire processuale delle parti.

Si definiscono comportamenti leali quelli che sono posti in essere nel rispetto di valori di correttezza fissati da un codice comportamentale; probi quelli che ri- sultano essere stati ispirati da una integrità di coscienza e di costumi.

Per trasgredire ai doveri comportamentali è, pertanto, necessario che il sog- getto violi il codice di condotta a cui deve attenersi nello svolgimento degli atti processuali, tenendo un comportamento contrario alle normali regole di corret- tezza.

La violazione deve essere sorretta dal necessario elemento soggettivo, ossia dalla volontà di compiere l’atto espressione di malafede processuale240.

                                                                                                               

236 Questa dottrina rinviene nel contraddittorio mero principio logico formale che esplica la sua

funzione garantendo i medesimi poteri alle parti senza preoccuparsi delle modalità con le quali tali poteri vengono utilizzati.

237 N. Picardi, Manuale del processo civile cit. pag. 193

.

238 M. Gradi, Sincerità dei litiganti ed etica della narrazione nel processo civile, in Lo Sguardo,

Rivista di Filosofia, 8,2012 pag.

239 G. Romualdi Dall’abuso del processo all’abuso del sistema giustizia, cit. pag. 37.

240 Si veda A. Dondi, L’abuso del processo civile nella prospettiva de iure condendo in Riv.

trim. dir. e proc. civ., 2007; G.G. Poli, Osservatorio sulla cassazione civile in Riv.dir.proc., 2012, pag. 547; A. Dondi, Manifestazione della nozione di abuso del processo in Dir.privato, 1997, Padova pag. 459 e seg.

Sono dunque molte le difficoltà che si incontrano nel momento in cui occorre valutare in concreto la condotta delle parti e distinguere i comportamenti sleali da quelli resi necessari dalle esigenze di difesa.

Secondo parte della dottrina è da evidenziare che, non costituiscono viola- zione dell’art. 88 c.p.c.: la costruzione di tesi favorevoli al proprio cliente attra- verso l’esposizione solo parziale degli orientamenti giurisprudenziali; il compor- tamento del difensore che sfrutti l’errore dell’avversario, anche qualora si rag- giunga in tal modo un risultato utile contrastante con la giustizia sostanziale; le dissertazioni giuridiche anche se originali o in contrasto con principi giurispru- denziali consolidati241

Infine un breve accenno a quelle che possono essere le sanzioni derivanti dal- la violazione del suddetto art. 88 c.p.c. che apparentemente non prevede alcun potere del giudice di sanzionare i comportamenti sleali o improbi tenuti dalle par- ti. Infatti il primo comma si limita a dettare la regola di condotta, mentre il se- condo comma impone al giudice di riferire alle autorità competenti per l’esercizio del potere disciplinare il comportamento scorretto del difensore.

La portata e la rilevanza dell’art. 88, quindi, si coglie solo leggendo la norma unitamente ad altre disposizioni del codice242 ed in particolare all’art. 92 c.p.c., che prevede il potere del giudice di condannare la parte, indipendentemente dalla soccombenza, al rimborso delle spese che la controparte abbia dovuto affrontare a seguito della violazione degli obblighi di lealtà e probità.

E’ stato osservato che attraverso l’utilizzo dell’avverbio “indipendentemen-

te”, usato nel primo comma dell’art. 92 c.p.c., il legislatore non ha solo reso evi-

dente la deroga operata al nesso “soccombenza-condanna”243, ma ha voluto porre

l’accento sulla diretta ed esclusiva derivazione della condanna dalla violazione                                                                                                                

241 G. Scarselli, Lealtà e probità nel compimento degli atti processuali cit. pag. 99 e seg.; anche

G.SCARSELLI, Il nuovo art. 96 comma 3 consigli per l’uso in Foro.it. 2010 pag. 2231.

242 G. Vanacore, Il dovere processuale di lealtà e di probità e le espressioni sconvenienti ed of-

fensive: riflessioni sugli art 88 e 89 cpc, in Resp. civ. 2011 pag 340.

243 F. Cordopatri, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, cit. pag 880; e in Un princi-

dei doveri di lealtà e probità244, evidenziandone, quindi, il carattere sanzionato- rio.

In conclusione, quindi, l’esplicito riferimento operato dall’art. 92 c.p.c. all’art. 88 c.p.c. fa sì che si possa affermare che dalla violazione dei principi di lealtà e di probità discendono diverse responsabilità e sanzioni: l’una di natura esclusivamente disciplinare, strettamente connessa alla violazione delle regole deontologiche; l’altra ascrivibile alla responsabilità civilistica, sanzionata in sede di condanna alle spese.