• Non ci sono risultati.

La compensazione delle spese di giudizio

Prima dell’ultima riforma avvenuta con il D.Lgs 24 settembre 2015 n.156, il superato art. 15 enunciava letteralmente che “la parte soccombente è condannata

a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con sentenza. La commis- sione può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile”. Era dunque

prassi consolidata, tramite espresso richiamo della norma, quella di applicare in toto l’art. 92 del codice di procedura civile. Appare, dunque, opportuno e neces- sario, alla luce di ciò, andare a trattare e approfondire l’evoluzione che l’artt. 91 e 92 del c.p.c hanno avuto nel corso dell’ultimo decennio, con una esposizione sia della giurisprudenza formatasi in questi anni sia dei vari aggiustamenti introdotti dal legislatore alle suddette norme, rilevanti in punto di decisione sulle spese di lite nel processo civile.

Il principio di soccombenza, come già ribadito, costituisce il principio gene- rale dell’ordinamento processuale civile, e trova piena applicazione anche nel processo tributario, quello secondo cui la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa le spese processuali, ex art. 91 c.p.c.

Nella consapevolezza che la compensazione frustri il principio victus victori, risolvendosi, indirettamente, in un incentivo ad un’infondata e temeraria resi- stenza in giudizio, il legislatore è intervenuto più volte in tempi recenti sul dispo- sto dell’art. 92 c.p.c. al fine di contenere il ricorso all’istituto in parola. In un primo momento, con la l. n. 263/05, con riferimento ai procedimenti instaurati successivamente al 10 marzo 2006, il legislatore aveva inserito l’onere di motiva- re ex professo la decisione di compensare le spese processuali, onde consentire un effettivo controllo della formazione del convincimento del giudice e del pro- cesso logico che lo aveva indotto ad operare una deroga al principio di soccom- benza.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

ricordato e su di loro gravante. Ipotesi particolare potrebbe essere costituita da un contenzioso avente ad oggetto un diniego di rimborso.

Nel regime anteriore a quello introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. a), L. 28 dicembre 2005 n.263, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi doveva trovare un adeguato supporto motivazionale, an- che se, a tale fine, non era necessaria l’adozione di motivazioni specificatamente riferite a detto provvedimento, purché tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso erano chiaramente ed inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione107.

Da ciò ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche al- lorché le argomentazioni svolte per la statuizione contengano in sé considerazio- ni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolamentazione delle spese adot- tata, come nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisa, ovvero di oggettive difficol- tà di accertamenti in fatto, idonee ad incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa ed il costo delle attività processuali ri- chieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente re- stio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze proces- suali.

A seguito dell’art. 2, comma 1, lett. a), L. 28 dicembre 2005, n. 263, il testo originario dell’art. 92, comma 2, c.p.c. viene modificato con l’introduzione di una locuzione aggiuntiva, la quale stabilisce che i “giusti motivi” devono essere

“esplicitamente indicati nella motivazione”.

Viene così introdotta una regolamentazione vincolante in ordine alla motiva- zione della compensazione delle spese per “giusti motivi”, che deve ora essere specifica e cioè specificamente riferita alle ragioni che giustificano la deroga al principio generale della soccombenza, cosicché tali ragioni non possono più es- sere desunte, come nel regime previgente, dall’impianto motivazionale della de- cisione, e, quindi, con un riscontro effettuato per relationem. Pertanto, dopo tale novella, non può più ritenersi soddisfatto l’obbligo di motivazione quando la compensazione si fondi ad esempio sulla peculiarità della fattispecie, che non consente il controllo sulla congruità delle ragioni poste alla base di tale decisio-                                                                                                                

ne, neppure se integrate dal percorso motivazionale.108

A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 45, comma 11, L. 18 giugno 2009, n. 69, la locuzione utilizzata dall’art. 92, comma 2, c.p.c. nel testo modificato nel 2005, per regolare la compensazione delle spese, dopo l’ipotesi della soccom- benza reciproca, e cioè: “o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati

nella motivazione”, viene sostituita dalla seguente: “o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”.

Con la previsione secondo cui le ragioni giustificatrici della compensazione delle spese di lite devono essere non soltanto esplicitate, ma esser anche gravi ed eccezionali, la novella vuole in sostanza evidenziare che non ogni ragione, per il fatto d’essere specificata, può essere motivo di compensazione, ma solo quelle di rilevante portata e cioè meritevoli di apprezzamento e tutela e che tali ragioni de- vono anche essere eccezionali e cioè idonee a costituire una ragionevole eccezio- ne alla regola generale della soccombenza.

Nonostante questi interventi volti a limitare l’ambito operativo della com- pensazione, l’introduzione legislativa di formule eccessivamente vaghe quali

“giusti motivi” o “gravi ed eccezionali ragioni” idonee a fondare l’applicazione

dell’istituto hanno di fatto mantenuto un’ampia discrezionalità in capo al giudice nel decidere se disporre una regolamentazione delle spese di lite non in linea con l’intervenuta soccombenza piena di una parte: discrezionalità che neppure l’onere di puntuale motivazione ha saputo effettivamente contenere.

A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 13 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162, l’art. 92, comma 2, c.p.c. viene sottoposto ad un processo di integrale revisione, dal momento che scompare da esso la previsione di carattere aperto che contrassegna il regime della compensazione delle spese di lite, rappresentata un tempo dalla locuzione sui “giusti motivi” divenuti poi, con la riforma del 2009, per ragioni di maggiore rigore espressivo, “gravi ed eccezionali ragioni”, per lasciare invece posto ad una previsione di tipo “tassativo”; ristretta peraltro a due soli casi oltre a quello della soccombenza reciproca, e cioè l’”assoluta novità della questione                                                                                                                

trattata” ed il “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimen- ti”, al di fuori dei quali casi non è quindi consentito al giudice la compensazione

delle spese di lite.

L’art. 91 c.p.c. nel testo vigente a seguito delle modifiche apportate dal legi- slatore nel 2009 e 2012, al comma 1 dispone che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la pro- posta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 92 c.p.c.

Il comma 4 della stessa norma citata attualmente dispone che nelle cause previste dall’art. 82 c.p.c., primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda. L’art. 92 c.p.c. nel testo vigente per effetto delle modifiche apportate dal legislatore nel 2005, 2009 e 2014, prevede che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’art. 91 c.p.c., può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, mentre se le ritiene eccessive o superflue, e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per tra- sgressione al dovere di cui all’art. 88 c.p.c., essa ha causato all’altra parte.

Pertanto, per effetto di quest’ultima modifica legislativa, se vi è soccomben- za reciproca ovvero nel caso di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero.

Ove le parti si sono conciliate, le spese s’intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazio- ne.

La costante giurisprudenza di legittimità ritiene che ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, l’essenziale criterio rivelatore del- la soccombenza è l’avere dato causa al giudizio, posto che la soccombenza non è esclusa dalla circostanza che, una volta convenuta in giudizio, la parte sia rimasta contumace o abbia riconosciuto come fondata la pretesa che aveva prima lasciato

insoddisfatta così da renderne necessario l’accertamento giudiziale. Pertanto, l’individuazione del soccombente si fa in base al principio di causalità, con la conseguenza che la parte obbligata a rimborsare alle altre le spese che hanno an- ticipato nel processo, è quella che, col proprio comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non ri- spondenti al diritto, ha dato causa al processo od al suo protrarsi.

Non può avere, perciò, rilievo alcuno, ai fini dell’applicazione della discipli- na fissata nell’art. 92 c.p.c., la circostanza che la parte che ha dato causa al pro- cesso abbia poi omesso di costituirsi in esso e comunque di dispiegare attività di- fensiva, condotta alla quale va attribuita valenza totalmente neutra siccome ini- donea a costituire indice di esclusione del dissenso e addirittura di adesione all’avversa richiesta, e che, anzi, può semmai considerarsi espressione di mera indifferenza rispetto alle ragioni di economia che dovrebbero indurre le parti all’adozione di ogni cautela utile ad evitare inutili dispendi di energia processua- le109.

Quindi il rigetto di parte della domanda ovvero di alcune delle domande pro- poste dalla stessa parte configura l’ipotesi di parziale soccombenza reciproca, che giustifica la compensazione totale o parziale delle spese di lite, in applicazione del principio di causalità, in forza del quale sono imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate.110

                                                                                                               

109 Cass. 30 maggio 2016, n. 11179; Cass. n. 3038/2016, ord.; Cass. n.373/2015 110 Cass. 14 ottobre 2016, n. 20838

2.5 La soccombenza reciproca: principio di causalità e compensazione