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La nuova disciplina delle spese di giudizio nel processo tributario

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ  DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea magistrale in Consulenza

Professionale alle Aziende

TESI DI LAUREA

La nuova disciplina delle spese di giudizio

nel processo tributario

RELATORE CONTRORELATORE

Prof.ssa Giulia Boletto Prof.ssa Maria Luisa Azzena

CANDIDATO

Francesco Russo

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Alla mia famiglia perché senza il loro sostegno non sarebbe stato possibile raggiungere questo importante traguardo

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Introduzione ... VII CAPITOLO I

L’INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO “VICTUS VICTORI”

1.1 Profili storici evolutivi della condanna alle spese ... 9

1.2 La normativa attuale ... 13

1.2.1 L’articolo 15 del D.lgs. 546/92 nella sua versione originaria ... 15

1.3 Il principio di soccombenza: acquisizione di un importante principio civilistico ... 19

1.4 Il nuovo articolo 15 del D.lgs. 546/92 come modificato dal D.lgs.156/2015 ... 29

CAPITOLO II LE SPESE DI GIUDIZIO NEL PROCESSO TRIBUTARIO 2.1 Oggetto della condanna alle spese di giudizio ... 37

2.2 La determinazione dei compensi professionali ... 53

2.3 Il gratuito patrocinio ... 69

2.4 La compensazione delle spese di giudizio ... 72

2.5 La soccombenza reciproca: principio di causalità e compensazione alla luce del D.l. 12 settembre 2014 n.132 ... 77

2.6 Il nuovo comma 2 dell’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 ... 90

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CAPITOLO III

L’ABUSO DEL PROCESSO

3.1 L’abuso del processo: definizioni e confini ... 117

3.2 I doveri di lealtà e probità ... 127

3.3 La ragionevole durata del processo ... 131

3.4 L’applicazione dell’abuso del processo nel diritto tributario ... 145

3.4.1La responsabilità processuale aggravata per lite temeraria: il nuovo comma 2-bis dell’art. 15 ... 147

Conclusioni ... 161

Riferimenti bibliografici ... 163

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Il D. Lgs. n. 156/2015, recante “Misure per la revisione della disciplina degli

interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n.23”, ha attuato la più

ampia ed organica riforma della giustizia tributaria dall’approvazione del D. Lgs. 31 Dicembre 1992, n. 546.

Il legislatore delegato ha messo in atto un intervento di ampio respiro volto a ridisegnare il sistema fiscale secondo i principi di semplificazione e certezza, con riguardo alla tutela dei contribuenti e alla diminuzione del carico fiscale su di es-si gravante.

Il tentativo di realizzare un sistema fiscale più equo e trasparente non avreb-be potuto prescindere da un’organica razionalizzazione della disciplina del con-tenzioso tributario in grado di garantire la parità delle parti processuali anche nel-le liti tra contribuenti e Fisco.

Il presente elaborato, si propone di mettere in luce l’attuale disciplina delle spese di giudizio, a seguito della riforma apportata con il D.Lgs. 156/2015, evi-denziando i cambiamenti apportati rispetto alla disciplina previgente.

In particolare, il legislatore, ha riscritto completamente l’articolo 15 del D. Lgs. 31 dicembre 1992 n.546, in tema di spese del processo, dotandolo di una propria autonomia rispetto alla normativa previgente, la quale rinviava al codice di procedura civile, causando alle volte problemi applicativi.

Nella redazione della tesi sono poste alcune domande tra le quali: su chi gra-va l’onere del pagamento delle spese di giudizio? In quali casi è possibile com-pensare le spese? E inoltre, è possibile riscontrare un uso eccessivo, da parte del-le commissioni tributarie, in tema di compensazione deldel-le spese di giudizio?

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Nel primo capitolo, dopo aver esposto i tratti evolutivi del principio “victus victori” si andrà a confrontare il “ vecchio” e il “nuovo” articolo 15 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e come esso è mutato con la riforma di cui al D.Lgs 156/2015.

Nel secondo capitolo, invece, si andrà ad analizzare e approfondire i singoli commi che compongono il “nuovo” articolo 15, soffermandosi sul principio di soccombenza reciproca e i suoi presupposti di applicazione.

Nel terzo capitolo, infine, è stato ritenuto opportuno affrontare, senza nessu-na pretesa di esaustività, il concetto di “ abuso del processo” con riferimento alla lite temeraria di cui all’art. 96 del codice di procedura civile. Un tema, oggigior-no, assai dibattuto sia in dottrina sia in giurisprudenza.

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CAPITOLO I

L’INTRODUZIONE DEL PRINCIPIO “VICTUS VICTORI”

1.1 Profili storici evolutivi della condanna alle spese

La nascita della questione della condanna alle spese giudiziali si può ritrovare da un lato nella necessità di istituire un ufficio che dirimesse le controversie tra i cittadini, dall’altro nella progressiva formalizzazione delle procedure e nella sempre crescente complessità delle questioni da risolvere tenuto conto dell’evoluzione che hanno avuto i rapporti sociali.

Nel diritto romano1, sotto legis actiones, non si rinviene traccia di questo im-portante principio. E’ opportuno stabilire, per quanto le fonti permettono, quali fossero le spese del processo civile romano2. Delle varie spese, che l’inizio di un processo richiede, le vere spese giudiziali rimasero ignote al processo romano, data la semplicità del diritto e della sua relativa procedura non vi è da stupirsi che manchi ogni minimo accenno alle spese di giudizio.

Altro aspetto rilevante di tal periodo, era il divieto della rappresentanza in giudizio3. Le parti comparivano dinanzi al giudice di persona senza l’assistenza di un avvocato, la cui istituzione si fa risalire a Romolo.

L’assistenza e non la rappresentanza era l’ufficio del patrono che si prestava gratuitamente e senza speciali studi. Il ristorno che otteneva il difensore si mani-festava attraverso le cause che egli stesso curava in tribunale e poteva acquisire la                                                                                                                

1 Cfr. C. Zezza, Sulla condanna alle spese nei giudizi innanzi alle commissioni tributarie, in 1 Cfr. C. Zezza, Sulla condanna alle spese nei giudizi innanzi alle commissioni tributarie, in

Boll. trib. n. 4/2000.

2 G. Chiovenda, La condanna sulle spese giudiziali, Roma 1900.

3 Gaio, IV,82: Cum olim, quo tempore legis actiones in usu essent, alterius nomine agere non

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Con l’avvento di Nerone la disciplina in tema di spese giudiziali andò cam-biando progressivamente, introducendo per la prima volta l’obbligo di pagamen-to, da parte del cliente, di un onorario all’avvocato che lo assisteva anche se non convenuto. Invero già nell’impero di Claudio si riconosce l’onorario dell’avvocato come lecito e si stabilisce il massimo a diecimila sesterzi4.

Tale innovazione nel panorama giuridico è da giustificarsi in primo luogo nell’incremento della produzione legislativa sempre più rilevante, ma anche alla moltiplicazione dei commerci seguita dall’espansione dell’Impero romano che portava i cittadini ad emigrare e ad assentarsi frequentemente con il risultato che diventava sempre più difficile comparire personalmente in giudizio. Il legale, dunque, vedeva mutare la sua posizione da protettore e amico qual era l’antico patrono a un vero e proprio procuratore professionista che assumendo l’interesse della parte e la sua rappresentanza in giudizio, doveva essere fornito di un’adeguata preparazione ed una certa pratica della procedura e del diritto.

Tuttavia, solo con l’Imperatore Zenone5, il principio della condanna alle spe-se del giudizio fu codificato nella costituzione, la quale entrò solo successiva-mente a far parte del codice Giustinianeo. Dalla costituzione appare che la modi-ficazione e l’innovazione sta in ciò, che, per la prima volta, si pronuncia la con-danna nelle spese del soccombente, puramente e semplicemente: “ogni giudice deve condannare il vinto nelle spese”. Si può dunque enunciare che nel diritto romano già per opera di Zenone, e più chiaramente, come vedremo, con Giusti-niano si giunge all’enunciazione di quello stesso principio della condanna del soccombente nelle spese, che è comune alle procedure moderne.

Con questa legge è dunque compiuto il passaggio dall’antico al nuovo. La condanna alle spese richiedeva dapprima la prova della malafede nel soccomben-te: ora, ogni soccombente benché in buona fede è soggetto alle spese.

                                                                                                               

4 Bethmann-Hollweg, R, CP, II, 89, pag. 205 5 De fructibus et litis expensis, VII, LI.

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il giudice ravvisi nel soccombente la malafede, dovrà aggravarlo di una vera e propria pena pari, ad un decimo delle spese, a favore dell’erario, tranne il caso che ne aggiudichi una parte al vincitore. Tuttavia si discute in dottrina se tale normativa rappresenti la fonte di un generale principio della condanna alle spese dalla parte soccombente in giudizio. Infatti una parte di essa6 afferma che le leggi successive a quella di Zenone legavano la condanna alle spese del giudizio non alla soccombenza ma alla condotta temeraria della parte. È opportuno ricordare che alcuni soggetti, tra i quali il Fisco, stavano in giudizio gratis o pagavano le spese in misura ridotta7. Quanto alla procedura della condanna nelle spese, la legge di Zenone prescrive che la condanna debba essere pronunciata nella sen-tenza. Ciò costituiva una modificazione non lieve alla norma anteriore, secondo cui il giudice non statuiva la condanna delle spese nella sentenza o nella pronun-cia immediatamente successiva, ma dichiarava l’obbligo del soccombente di re-stituire le spese e da questa dichiarazione nasceva l’azione contro il vinto per la ripetizione delle spese.

Successivamente a Zenone, fu opera di Giustiniano legiferare sulle spese del processo, senza tuttavia, apportare innovazioni sostanziali sulla materia.

È però d’obbligo cogliere le modificazioni, seppur lievi, subite dall’istituto in oggetto nella storia della procedura romana.

La legge di Giustiniano aggiunse, al divieto di appellare sulla sola questione delle spese, già espresso nella legge di Zenone, che negava ogni azione per il re-cupero delle spese quando mancava la dichiarazione analoga del giudice, anche il divieto, al vincitore dell’appello incidentale sulle spese nel caso in cui il soccom-bente avesse appellato contro il merito della sentenza e questa o avesse omesso di pronunciare sulle spese, o le avesse compensate, o attribuite solo in parte. È dunque vietato appellare principalmente o incidentalmente sul punto delle sole

                                                                                                               

6 Cfr. R. Vecchione, voce Spese giudiziali, in Nuoviss. Digesto Italiano, XVII, Torino, 1970. 7 In questo caso una costituzione di Anastasio introdusse il principio di reciprocità, stabilendo

che, se qualcuno avesse perduto una causa contro uno di questi soggetti, avrebbe ricevuto il me-desimo trattamento.

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Ciò che di nuovo appare in quest’epoca attiene al giuramento sulle spese. Al vincitore è rimesso di determinare, giurando, l’entità delle spese sofferte, che prima era abbandonata all’apprezzamento del giudice, tuttavia, tale giuramento è una semplice guida per il giudice il quale è libero di non attenersi alla quantità pretesa dall’interessato non riconoscendo in tal modo le spese giurate.

Con Giustiniano si ha anche il superamento della massima, appartenente al diritto romano classico, che il solo vinto temerario subisse la condanna alle spe-se, estendendo la stessa anche al condannato contumace, più precisamente all’attore contumace benché vincitore.

Con la sua legge Giustiniano disciplina una particolare condanna nelle spese, previa e indipendente dal giudizio di merito: la condanna nelle spese della con-tumacia. Non si è ammessi a purgare la contumacia se non rimborsando all’avversario le spese incontrate fino al momento della costituzione del contu-mace: la base della condanna nelle spese, in questo caso, è il solo fatto che nell’assenza di una delle parti dal giudizio si sono svolti una serie di atti che la purgazione della contumacia rende successivamente inutili.

In conclusione, le disposizioni di Zenone e Giustiniano sulle spese raccolte nel Codice sono semplicemente confermate in vigore dalla Nov. 82, C. 10. Le innovazioni apportate sono due: una riguardante la liquidazione, l’altra la com-pensazione delle spese. In primo luogo, per reprimere gli abusi del giudice, Giu-stiniano prescrive che esso non possa, nella condanna delle spese, scostarsi dalla quantità giurata dalla parte vincitrice: il giuramento, però, è preceduto dalla tas-sazione, con cui il giudice prefigge il limite massimo di attendibilità del giura-mento8. La seconda innovazione apportata da Giustiniano attiene, come accenna-to, alla compensazione prevedendo che se il giudice crede di compensare le spese lo deve dire espressamente nella sentenza9, al fine di superare l’inconveniente de-rivante dal sistema che impediva di distinguere quando la omissione era dovuta                                                                                                                

8 “Ne arrepta occasione in immensum iuretur”, L. 4, § 2, D. de in lit. iur., 12, 3.

9 In ciò e non altro consiste. La facoltà di compensare non è punto estesa, come pare intenda la

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giudice.

1.2 La normativa attuale

Lo studio dell’introduzione del principio di soccombenza nel processo tribu-tario, impone di ripercorrere, seppur brevemente, la sua complessa mutazione normativa che ha portato all’assetto attuale definito nei suoi contenuti dai d.lgs. 31 dicembre 1992, n.545 e n. 546 ma successivamente modificato da nuovi rile-vanti interventi legislativi e, in particolare, dall’art. 3 bis del d.l. 30 settembre 2005, n. 248, convertito in legge il 2 dicembre 2005, n. 248, dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge il 4 agosto 2006 n. 248, dall’art. 35, comma 26 quinquies d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge il 4 agosto 2006, n. 248, dall’art. 2, comma 1, d.l. 8 aprile 2008, n. 59, convertito dalla legge il 6 giugno 2008, n. 101 e, ultimamente, in attuazione dell’art. 10 della Legge Delega 11 marzo 2014, n. 23, il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, pubblicato sul supple-mento ordinario n. 55/L alla Gazzetta Ufficiale del 7 ottobre 2015, che ha appor-tato rilevanti modifiche ad alcune disposizioni contenute nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, concernente la disciplina del processo tributario tra cui le spese del processo, di cui parleremo più approfonditamente in seguito.

Il percorso evolutivo che ha caratterizzato la giustizia tributaria conosce es-senzialmente tre fasi.

La prima, risiede, nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, che affermava il principio in forza del quale le liti relative all’imposte venivano devolute all’autorità giudiziaria ordinaria.

La seconda fase evolutiva fu disciplinato dal D.P.R. n. 636 del 1972 che rap-presento senz’altro un momento di svolta rispetto al procedimento contenzioso preesistente, ma molti restavano i suoi limiti, come la mancata previsione della condanna alle spese in ragione della soccombenza: l’impossibilità di vedersi rim-borsare le spese processuali rappresentava, infatti, un ingiusto deterrente per chi, convinto della correttezza del proprio operato, si trovava costretto a rinunciare

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del 1972 non prevedeva l’obbligo della difesa e assistenza in giudizio, ma è ov-vio che, salvo ipotesi del tutto marginali, non era realistico pensare che un tribuente, normalmente inesperto del diritto tributario, potesse validamente con-trastare una pretesa d’imposta sostenuta dall’ufficio finanziario con la propria competenza professionale.

L’evidente necessità di un correttivo comportò un primo ritocco alla discipli-na processuale, attuato con la legge n. 739 del 1981 ma affinché si giungesse ad un processo capace di garantire una tutela piena ed effettiva si dovette attendere la riforma intrapresa con la delega nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1992, n. 413 ed attuata con i decreti già richiamati del 31 dicembre 1992, n. 545 e n. 546.

La condanna alle spese di giudizio, principio di soccombenza, è stata intro-dotta, quindi, per la prima volta, nel processo tributario, con il D.Lgs. n.546/1992. L’art. 39, D.Lgs. 26.10.1972 n. 636, escludeva, infatti, l’applicabilità degli artt. 90 – 97 c.p.c.

Tale previsione era stata ritenuta costituzionalmente legittima, perché la Corte Costituzionale10 aveva rilevato che: “l’istituto della condanna del soccombente

nel pagamento delle spese ha bensì carattere generale, ma non è assoluto e inde-rogabile” e nel processo tributario la deroga era ingiustificata dalla peculiarità

del rito “pur sempre diverso e più snello dell’odierno procedimento civile”. Nel vecchio regime del contenzioso tributario, ante riforma del 1992, non es-sendo prevista la soccombenza dell’Amministrazione Finanziaria con condanna alle spese processuali, non esisteva alcun rischio per gli uffici, i quali appellava-no quasi sempre le sentenze favorevoli, ciò comportava, come conseguenza, una smisurata crescita di giudizi pendenti.11

                                                                                                               

10 Cfr. Cort. Cost. 24.11.1982 n. 120

11 Si verificava addirittura che il mancato appello veniva censurato davanti alla Corte dei conti

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L’articolo 15 nella sua originaria versione del 1992, rubricato “spese di giudi-zio” al primo comma recitava: “La parte soccombente è condannata a

rimborsa-re le spese di giudizio che sono liquidate con sentenza”. Prosegue poi

disponen-do che “la commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte

le spese, a norma dell’art. 92 secondo comma del c.p.c”. Il richiamato secondo

comma dell’art. 92 che oggi dispone “Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel

caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurispruden-za, rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.12

L’articolo 15 in oggetto applicava, dunque, un principio generale di respon-sabilità per le spese di giudizio, comune anche al processo civile13 e al processo amministrativo, secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, salvo il potere di compensazione da parte del giudice tributario a norma dell’art. 92 secondo comma c.p.c. La disciplina della soccombenza reciproca, ivi richiamata sarà esaminata approfonditamente nel capitolo successivo eviden-ziando, preliminarmente, solo le recenti innovazioni che vi sono state, iniziando dall’art 2, comma 1, lett. a), legge 263, 28 dicembre 2005, che ha modificato il comma 2 dell’art 92, c.p.c., successivamente modificato dall’art. 45, comma 11, legge 18 giugno 2009, n.69 in vigore dal 4 luglio 2009 ed applicabile ai giudizi instaurati successivamente a tale data ex. art. 58, comma 1 legge 69/2009 e infi-ne ulteriormente riformato ad opera del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, converti-to, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

Il secondo comma del medesimo articolo disponeva che “i compensi agli

in-caricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base delle rispettive tariffe

                                                                                                               

12 Comma così sostituito ex art.13, comma 1, d.l. n.132/2014, convertito in legge n.162/2014. Il

testo precedente del comma così disponeva:” Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensa-re, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. Il presente comma era stato già sostituito ex legge n.263/2006 (art.2 comma 1) ed applicabile ai procedimenti instaurati successivamente a tale data; poi modificato ex legge n.69/2009 (art.45 comma 11), in vigore dal 4/7/2009 ed appli-cabile ai giudizi instaurati successivamente a tale data.

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te il “regolamento per la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per le professioni”, ai sensi dell’articolo 9 del D.L. n. 1 del 24/1/2012 convertito con modifiche in L. n. 27 del 24/3/2012, entrato in vigore il 23 agosto 201214. Il noto decreto fissa, quindi, le nuove modalità di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi professionali degli avvocati, e, nel caso che ci occupa, degli altri difensori tecnici laddove il giudice deve liquidare il compenso del professionista in assenza di accordo tra le parti in ordine allo stes-so. Nel compenso di cui alle tabelle del DM15:

• Non sono comprese le spese da rimborsare, incluse quelle concordate in modo forfettario, né oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo;

• I costi degli ausiliari del professionista sono invece ricompresi tra le spese dello stesso;

• Nel caso d’incarico collegiale il compenso è unico, ma il giudice può au-mentarlo fino al doppio;

• Se l’avvocato difende più parti il compenso unico può essere aumentato fino al doppio;

• Ugualmente se l’avvocato difende una parte contro più persone o parti. Se il procedimento si conclude con una conciliazione il compenso è aumenta-to fino al 25%;

• Per gli incarichi non conclusi, si tiene conto dell’opera effettivamente svolta;

• Il giudice può diminuire o aumentare ulteriormente il compenso in rela-zione alla circostanze concrete;

                                                                                                               

14 Sino alla data di entrata in vigore del DM 140 e per i processi già definiti a tale data ma

anco-ra da liquidarsi, la Corte di Cassazione ha precisato che si applicano le previgenti tariffe profes-sionali di riferimento che erano disciplinate:

• pe r gli a vvoc a ti da l D .M . n. 127 de l 08 a prile 0 4 ;

• pe r i dottori c om m e rc ia listi da l D .P .R . n. 645 de l 10 ottobre 1994; • pe r i ra gionie ri e pe riti c om m e rc ia li da l D .P .R . n. 100 de l 06 m a rz o

1997.

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sioni per i rapporti con colleghi e ausiliari.

Come detto e precisato anche dalla Suprema Corte, le disposizioni si applica-no alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Comunque le soglie numeriche indicate non sono vincolanti per la liquidazione.

All’atto della liquidazione il giudice deve tenere altresì conto: del valore della controversia, nonché delle questioni trattate, del pregio e dei risultati dell’opera. Deve anche tenere conto dell’urgenza della prestazioni. Costituisce elemento di valutazione negativo l’adozione di condotte abusive tali da ostacolare la defini-zione del procedimento in tempi ragionevoli.

L’art. 15 comma 2 bis del D.Lgs. 546 precisava anche la modalità della liqui-dazione delle spese a favore dell’Ufficio. Nella liquiliqui-dazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle Finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’Ente locale, se assistito da propri dipenden-ti, si applica la tariffa vigente16 per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato. La novella sulle tariffe si ritiene sia ap-plicabile anche per la liquidazione a favore degli Enti impositori. Individuate dunque le fasi difensive e gli scaglioni di riferimento il giudice applicherà, così come prevede la norma la riduzione del 20% che d’altronde era preveduta per la peculiare attività e tariffa degli onorari. La riscossione avviene mediante iscri-zione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

Questo, dunque, fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, era il contenuto dell’art. 15 in termini generali, e risultava, quindi, impre-scindibile cercare di attribuirgli un significato mediante l’integrazione con il co-dice di procedura civile, in particolare dagli artt. 90-97. Non c’è più quell’esclusione espressa prevista nell’art. 39, D.Lgs. 26.10.1972 n. 636, quindi per il rinvio generico che fa l’art. 1 del D.Lgs. n.546/1992 alle disposizioni del codice di procedura civile, tutte queste disposizioni sulla responsabilità delle par-ti per le spese processuali si ritengono applicabili al processo tributario là dove                                                                                                                

16 Articolo 9, comma 2, D.L. 24 gennaio 2012 n.1 convertito, con modificazioni, dalla legge 24

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applicabili tutte queste disposizioni ad eccezione dell’art. 95 che si riferisce alle spese del processo di esecuzione, qui la ragione è ovvia, perché il processo di esecuzione forzata non si svolge davanti al giudice tributario bensì di fronte a quello ordinario e questa, dunque, è la motivazione per cui l’art. 95 non è appli-cabile.

Orbene com’è oramai noto, la riforma17 ha profondamente modificato il testo dell’art. 15, ampliandolo e dotandolo di una propria autonomia giuridica evitan-do, in tal moevitan-do, di dover fare espresso rinvio al codice di procedura civile. Da una prima, seppur superficiale analisi della norma, si evinca come il legislatore abbia esclusivamente dato atto a una prassi che già si era consolidata nel corso del tempo tramite attuazione dei principi che regolano le spese del processo con-tenuti nel codice di procedura civile.

Si può, dunque, affermare che il legislatore nel modificare il suddetto articolo non abbia avuto nessuna forma d’innovazione giuridica, ma si sia limitato a dare all’impianto normativo, che regola il processo tributario, un’autonoma ed esau-stiva norma sulle spese del processo, semplificando la sua applicazione.

Nel secondo capitolo, sarà analizzata, in maniera approfondita, la trattazione dei singoli commi che compongono il nuovo art. 15, cercando di evidenziare tut-te quelle sfumature che lo carattut-terizzano.

 

                                                                                                               

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tante principio civilistico

Il termine “soccombenza” dal vocabolario della lingua italiana18 significa nel-lo specifico perdita della causa, sconfitta. Si definisce soccombente colui che ha ottenuto dalla sentenza una tutela inferiore rispetto alle richieste formulate nelle conclusioni. La soccombenza condiziona la sussistenza dell’interesse ad impu-gnare. Da tali ipotesi di soccombenza pratica, si distinguono quelle di soccom-benza teorica, che investono la parte vittoriosa che sia comunque rimasta soc-combente su talune questioni: ad esempio il convenuto che, difesosi in rito, abbia ottenuto un rigetto in merito. Il soccombente teorico, pur non potendo proporre impugnazione principale perché privo d’interesse, è in certi casi onerato, pena l’abbandono della questione, a riproporla espressamente in sede impugnazione ovvero a proporre impugnazione incidentale19 .

Ma prima di esaminare questo fenomeno e il suo fondamento giuridico è op-portuno incominciare col vedere in che cosa consistono le spese del processo e quali problemi sorgono rispetto ad esse. È ovvia la constatazione che anche l’attività processuale, come ogni attività umana, implichi un costo ed esso ri-guardi oneri fiscali ed compensi ai difensori ed eventuali consulenti tecnici, oltre ad altri oneri come i diritti di cancelleria. Nel capitolo successivo saranno detta-gliate tutte le spese che un inizio di processo può comportare. Il primo problema che vi si pone è stabilire chi deve incominciare ad anticipare le spese del proces-so. La soluzione è insita dall’art. 8 del D.P.R 30 maggio 2002 n.115 che ha sosti-tuito l’abrogato art. 9020 che recitava: “ ciascuna parte provvede alle spese degli

atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti neces-sari al processo quando l’anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato”. Il primo comma dell’art. 8 dispone, infatti, che ciascuna parte

prov-vede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e anticipa                                                                                                                

18 Vocabolario online Treccani 19  Artt.  246  e  371  c.p.c.  

20 Sull’argomento, con riguardo all’abrogato art.90 c.p.c., v. CARNELUTTI, Obbligo di

antici-pazione delle spese, in Riv. dir. proc. civ., 1941, I, p. 350 e ss.; MINOLI, momenti processuali e momenti extra processuali nella disciplina del carico iniziale delle spese di causa, in Studi in onore di Redenti, II, Milano, 1951, p. 63 e ss.

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messa al patrocinio a spese dello Stato le spese sono anticipate dall’erario o pre-notate a debito, secondo le previsioni del presente testo unico.

Nel processo tributario, l’art. 15 D.Lgs. n. 546 nella versione originaria del 1992 applicava un principio generale acquisito “in toto” dal processo civile: il principio di soccombenza codificato nell’articolo 91 c.p.c. che rappresenta la norma fondamentale in tema di disciplina delle spese di lite, insieme al disposto del successivo art. 92: la parte è tenuta ad anticipare le spese di lite, ma il vincito-re, in linea di principio, ripete quanto anticipato dal soccombente, salvo la ripeti-zione non sia esclusa per particolari ragioni. La norma pone così il principio della soccombenza, il quale risponderebbe alla regola tradizionale victus victori.

Se dunque la parte alla quale il giudice dà ragione deve essere, con la senten-za, sollevata dal carico delle sue spese, ossia se deve aver riconosciuto il diritto di rimborso di tali spese, ciò significa che tale rimborso deve essere posto a cari-co della parte cari-cosiddetta soccari-combente: la quale dovrà, oltre che subire definiti-vamente il carico delle proprie spese, rimborsare anche alla parte vittoriosa le spese che queste ha sostenuto.21

Sennonché, se questa soluzione è logicamente ineccepibile e palesemente giusta rispetto alla parte vittoriosa, non appare altrettanto evidente, almeno nel suo fondamento giuridico e logico, dal punto di vista della parte soccombente.

Se, infatti, ci si domanda quale sia la ragione per la quale quest’ultima deve subire, oltre che il carico delle spese proprie, anche quelle della parte vittoriosa; e se, nel porsi questa domanda, si parte dal rilievo che il rimborso delle spese alla parte vittoriosa ha in sostanza, la portata oggettiva di un risarcimento, ci si deve                                                                                                                

21 La soccombenza, per se stessa, è una situazione obiettiva in quanto emergente dalla pura e

semplice disformità tra la domanda e la pronuncia ( disformità che sussiste anche nel caso di pronuncia sul processo: Cass. 28 marzo 1981 n.1802) oppure dalla conformità tra quest’ultima e la domanda della controparte, anche se non fatta oggetto di effettiva resistenza o contestazione. Può anche sussistere soccombenza indipendentemente da una domanda, come ad esempio a fa-vore del terzo chiamato in causa, ma non reso destinatario di domanda. (Cass. 11 novembre 1988 n. 6081, in Giur.it., 1990, I, 1, 488). Tuttavia la dottrina, a cominciare da Chiovenda si è sforzata di inserire nello stesso concetto di soccombenza taluni elementi di natura soggettiva, tra i quali specialmente quello del cosiddetto principio di causalità imperniato sul quesito se la par-te avrebbe o meno potuto evitare la lipar-te o se viceversa l’ha resa necessaria col suo comporta-mento preprocessuale.

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nell’istituto del risarcimento dei danni il fondamento del rimborso di cui trattasi. Ci si deve arrestare di fronte al rilievo fondamentale che il risarcimento dei danni presuppone l’illiceità del fatto che ha causato i danni, mentre in nessun ca-so i principi che ca-soprassiedono la tutela giurisdizionale, di cui parleremo avanti, consentono di qualificare illecito il comportamento di colui che ha agito o resisti-to in giudizio aspirando ad un provvedimenresisti-to favorevole, per il solo fatresisti-to che l’esito del giudizio non è stato conforme a questa aspirazione. Al contrario, si è veduto che nella stessa nozione dell’azione è implicito che l’agire o il resistere in giudizio quando ancora non si sa se il giudice darà ragione o torto, costituisce né più né meno che l’esercizio di un diritto, che ovviamente rimane tale anche se successivamente il giudice avrà dato torto.22

La conclusione che da tutto ciò si dovrebbe trarre, sarebbe allora nel senso che, da un lato, la parte vittoriosa dovrebbe essere rimborsata delle spese, mentre, dall’altro lato, quest’onere del rimborso non dovrebbe gravare neppure sulla par-te soccombenpar-te. Ma di fronpar-te all’obiettiva irrealizzabilità di questa soluzione ap-parentemente ottimale, perché c’è da evidenziare di come si potrebbe presentare l’effetto collaterale di un aumento di litigiosità tra le parti che va oltre l’esigenza stessa di giustizia, l’ordinamento è costretto a ripiegare su un espediente fondato su un ragionamento per esclusione: poiché le spese della parte vittoriosa devono pur gravare su qualcuno, che non può essere la parte vittoriosa, non resta che ad-dossarle alla parte soccombente, ma semplicemente perché non vi è altra solu-zione e quindi non a titolo di risarcimento del danno per un comportamento ille-cito, ma solo come conseguenza obiettiva della soccombenza e senza natura san-zionatoria.

Recentemente, anche la Cassazione ha affermato il concetto appena esposto con la sentenza n. 17432, 19 agosto 2011, in cui si è precisato che la condanna alle spese processuali, a norma dell’art. 91 c.p.c., ha il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto                                                                                                                

22 Per questi fondamentali rilievi, v. specialmente CHIOVENDA, Istituzioni, I, cit., p. 147; II

cit., p. 516 e ss. Contra G. MONTELEONE, Dir. Proc. Civ., I, cit., p. 163, secondo cui la soc-combenza sarebbe comunque rivelatrice di un abuso del diritto alla tutela giurisdizionale.

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vittorioso, poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto.

Questa, dunque, è la soluzione più oggettiva che ispira l’art. 91 del nostro co-dice di procedura civile.

Al riguardo è opportuno dare atto dell’evoluzione normativa in tema di spese nel processo civile diretta ad assicurare l’ottimizzazione del processo in vista dell’abbreviazione dei tempi di giustizia da fornire ai cittadini.

L’incapacità degli uffici giudiziari di assicurare giustizia in tempi ragionevoli è diretta conseguenza soprattutto dell’eccessivo carico di lavoro degli stessi, de-terminato a propria volta, specie negli ultimi decenni, nella maggior parte dei si-stemi processuali da alcuni fattori economici e sociali che hanno provocato una crisi strutturale della giustizia civile.

Il diritto di accesso al giudice per la tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive è, tuttavia, un diritto fondamentale di ciascun individuo, oggi ricono-sciuto come tale non soltanto dalla nostra e da altre Costituzioni nazionali, ma anche dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Sussiste, pertanto, l’esigenza di contemperare il diritto di ciascun individuo ad adire un Tribunale per far valere le proprie posizioni giuridiche soggettive con quella di evitare che l’eccessivo carico del ruolo rispetto alle risorse spesso esi-gue messe a disposizione metta a repentaglio la possibilità di assicurare giustizia in tempi accettabili. In altri termini, è necessario bilanciare il disposto dell’art. 24 Cost., che riconosce il diritto di ciascuno ad agire e difendersi in giudizio per la tutela dei propri diritti e quello dell’art. 111 Cost., che individua tra i canoni dell’equo processo anche la ragionevole durata dello stesso. In tale prospettiva è necessario che tutti gli attori del processo cooperino tra loro affinché lo stesso non divenga, la sede per lo svolgimento di attività meramente defatigatorie, fina-lizzate ad allontanare il più possibile il momento della decisione finale.

In quest’ottica, la legge di riforma del diritto processuale civile del 2009 ha affrontato il tema delle spese processuali intervenendo sull’art. 91, che come

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af-delle spese di lite, e sul successivo art. 92 c.p.c. Si può affermare che tale legge di riforma, pur fra le tante incongruenze, ha avuto, se non altro, il merito di atti-rare l’attenzione generale proprio sulle spese di lite, facendole uscire dal limbo nel quale la dottrina e soprattutto la giurisprudenza le avevano relegate23, raffor-zando il principio della soccombenza, a tenore del quale, salvo contenute ecce-zioni, colui che risulta vittorioso non deve sopportare il costo delle spese di lite e sanzionando l’abuso del processo, colpendo con la leva delle spese di lite i com-portamenti temerari di chi ha agito o resistito in giudizio senza adeguata ponde-razione, ovvero ha rifiutato una ragionevole ipotesi transattiva, perseguendo così quella che è stata definita una “moralizzazione del processo”.

Il sistema delle spese indicato dall’art. 91, comma 1, c.p.c. ha in sé una digni-tà, non solo meramente processuale, giacché cristallizza l’atto finale dell’attività del giudice. Si tratta dell’esplicazione del principio chiovendiano, secondo il qua-le il processo deve dare a chi ha un diritto praticamente tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire24. Se la parte vittoriosa non riuscisse a re-cuperare le spese di lite al termine del processo, non sarebbe in grado di ottenere la soddisfazione completa del suo diritto e finirebbe per soffrire un danno, pur avendo ragione. Da ciò l’obbligo per il giudice di rispettare, in linea di principio, il criterio della soccombenza25, come del resto è previsto nei sistemi processuali degli altri paesi europei26.

                                                                                                               

23 Non a caso A. Proto Pisani, La riforma del processo civile: ancora una legge a costo zero, in

Foro it. 2009, V, 221 e ss. pone la condanna alle spese tra le linee portanti della riforma.

24 G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli 1934, I, 41. Anche la Suprema

Corte ha richiamato un analogo principio, ritenendo che la condanna alle spese processuali a norma dell’art. 91 c.p.c. abbia il suo fondamento nell’esigenza di evitare una diminuzione pa-trimoniale per la parte che ha dovuto svolgere un’attività processuale per ottenere il riconosci-mento e l’attuazione di un suo diritto: pertanto non potrebbe essere pronunziata in favore del contumace vittorioso poiché questi, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto (Cass. 7 gennaio 1999, n. 43).

25 G. Chiovenda, La condanna nelle spese giudiziali, Roma 1935; V. Andrioli Diritto

processua-le civiprocessua-le, Napoli 1979, 430. La teoria chiovendiana in tema di spese è oggetto di una puntuaprocessua-le critica da parte di F. Cordopatri, Un principio in crisi: victus victori, in questa Rivista 2011, 2, 265 e ss.

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sull’esito globale del processo e non rispetto ai diversi gradi del giudizio ed al lo-ro risultato. La suprema corte, nel caso di specie, assegna la giudice del rinvio il compito di attenersi al seguente presupposto: “egli si deve attenere al principio

della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai di-versi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma in relazione al risultato finale della lite, con la conseguenza che può legittimamente pervenire ad un provvedi-mento di compensazione delle dette spese, totale o parziale, ovvero condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione e, tuttavia, complessivamente soc-combente”.

L’analisi dell’art. 91, comma 1, sembrerebbe autorizzare la conclusione che il giudice possa liquidare le spese solo con la sentenza e solo nel giudizio ordinario di cognizione. Ma questo non è sempre vero. In realtà, dopo la legge n. 89 del 2009, che ha abrogato l’inciso finale del primo comma in tema di sentenza rego-latrice della competenza, sono sottratte al regime delle spese solo le sentenze non definitive, le quali non a caso sono autorevolmente distinte da quelle parziali an-che in funzione della mancata delibazione sulle spese, ritenute un elemento sin-tomatico della differenza28. Quanto alle ordinanze, l’inammissibilità della pro-nunzia sulle spese è stata ritenuta conseguente alla natura ordinatoria e sostan-zialmente amministrativa del provvedimento di accoglimento o di rigetto, allor-quando non siano ad esso riconducibili i presupposti richiesti dall’art. 91 c.p.c., che hanno riferimento, per una pronuncia di condanna sulle spese, ad un proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  proce-  

27 Cassazione civile, Sez II, Sent., 16/06/2016 n. 12481

28 Cfr. Cass. 16 giugno 2008, n. 16216 in Riv. not. 2008, 6, II, 1428 con nota di G. Casu,

Postil-le in tema di certificato di agibilità; Cass. 15 apriPostil-le 2002, n. 5443. Le decisioni pronunziate su domande autonome introdotte con la stessa causa o su capi autonomi della domanda o che, in ogni caso, definiscono completamente singole posizioni costituiscono sentenze parziali (ad esempio, si accerta la simulazione di un atto di alienazione fatto dal de cuius e si rimette la cau-sa in istruttoria per la divisione ereditaria), mentre le decisioni pronunziate su questioni prelimi-nari alla decisione finale e non contenenti alcuna statuizione sulle spese o in ordine alla separa-zione dei giudizi, costituiscono sentenze non definitive. La distinsepara-zione va cioè operata sulla ba-se di elementi formali, ma è importante, giacché solo contro le ba-sentenze non definitive è am-messa la riserva di appello ai sensi dell’art. 340 c.p.c.

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tuttavia, il nostro ordinamento conosce numerose ipotesi in cui il giudice può li-quidare le spese, anche se pronunzia ordinanza ed anche se il processo continua davanti a lui: i casi più importanti sono quelli previsti nell’art. 186-quater c.p.c. (ordinanze post-istruttorie) e nell’art. 186-ter c.p.c. (ordinanze-ingiunzioni). Si configurano altresì casi eccezionali, nei quali la condanna alle spese può essere richiesta ad un giudice diverso da quello della statuizione di merito: ciò accade in relazione alla condanna generica alle spese processuali emessa da un giudice straniero, la quale costituisca applicazione di una regola processuale di quell’ordinamento. In tal caso, la domanda proposta innanzi al giudice italiano per ottenere la liquidazione delle stesse è ammissibile, atteso che non sia appli-cabile l’art. 91 c.p.c. ed il principio secondo cui la liquidazione delle spese pro-cessuali rientra nella competenza esclusiva del giudice della causa stessa.

La legge n. 69/2009 è intervenuta sull’art. 91 c.p.c. modificando il secondo periodo del primo comma, prevedendo che, se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa formulata dalla controparte, il Giudice condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della pro-posta, salvo il disposto del comma secondo dell’art. 92 c.p.c.

Come noto l’art. 5 D.Lgs. n. 28/2010 che ha introdotto quale condizione di procedibilità delle controversie in materia civile e commerciale indicate comma 1 della stessa previsione normativa incardinate successivamente alla data del 20 marzo 2011, il previo esperimento del procedimento dinanzi agli organismi di mediazione.

Il richiamato decreto legislativo n. 28/2010 introduce all’art. 13 in materia di spese processuali una disciplina finalizzata ad incentivare l’accettazione della proposta finalizzata dal mediatore. Di fondamentale rilevanza, a riguardo, appare soprattutto l’art. 13, primo comma, secondo cui “quando il provvedimento che

definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giu-dice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha

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L’esempio classico è il procedimento di correzione degli errori materiali, previsto dall’art. 287 c.p.c. Cfr. Cass. 28 marzo 2008, n. 8103.

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allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli artt. 92 e 96 c.p.c.. Le disposizioni di cui al pre-sente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al media-tore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8, comma quarto”.

La necessità di un espresso intervento del legislatore sull’art. 91 c.p.c. per consentire una condanna alle spese della parte la quale abbia rifiutato di aderire alla conciliazione è correlata proprio alla costante affermazione, in sede pretoria, del riferito principio, portata di quello più generale di soccombenza, in virtù del quale costituisce violazione di legge la condanna al pagamento delle spese di lite posta esclusivamente a carico della parte vittoriosa.

Mediante tale previsione perfettamente coerente, peraltro, con il disposto dell’art. 13 D.Lgs. n. 28/2010 sulla mediazione delle controversie civili, il legi-slatore cerca di indurre le parti, nelle controversie aventi ad oggetto diritti dispo-nibili, ad una serena conciliazione idonea a consentire una deflazione del conten-zioso giudiziario, attribuendo al Giudice il potere di condannare alle spese di lite, maturate successivamente alla formulazione della proposta, la parte che, sebbene sia risultata vittoriosa all’esito del processo, abbia rifiutato nel corso dello stesso una proposta conciliativa di portata equivalente o addirittura più soddisfacente rispetto alla misura nella quale la domanda della medesima parte abbia poi trova-to accoglimentrova-to con l’emanazione della sentenza di meritrova-to. In altre parole, il co-sto del processo che si è inutilmente protratto da un certo momento in poi a causa del rifiuto di una proposta conciliativa seria tanto da essere “confermata” dalla sentenza viene posto a carico della parte che quella proposta abbia ingiustificato rifiutato, in tal guisa facendo proseguire inutilmente il processo, anche in viola-zione dei generali doveri di lealtà e probità, con i correlativi oneri a carico della società.

Il monito legislativo appare, in effetti, rivolto anche agli avvocati poiché nella prassi è ricorrente che non si addivenga alla conciliazione giudiziale proprio a causa di un mancato accordo tra le parti in ordine alla determinazione degli

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ono-le rispettive pretese.

La proposta conciliativa, in assenza di precisazioni normative, potrà provenire sia dalla controparte sia dal giudice; peraltro, ai fini della condanna alle spese della parte vittoriosa la quale abbia rifiutato una ragionevole proposta conciliati-va deve ritenersi che tale proposta debba essere dettagliata e redatta in forma scritta, sicché la stessa dovrà essere contenuta sia negli scritti difensivi delle par-ti, sia nel verbale di causa. Nell’ipotesi in cui, invece, la proposta sia contenuta in un atto scritto diverso da quelli indicati, la stessa dovrà essere formalmente co-municata in udienza alla parte destinataria ovvero con atto notificato o mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

La proposta potrà essere formulata in ogni momento del giudizio, sino all’udienza di precisazione delle conclusioni atteso che, in sede di approvazione finale della recente riforma, è caduto l’inciso che alludeva alla tempestiva formu-lazione della proposta di conciliazione quale requisito per il dispiegarsi degli ef-fetti sanzionatori in punto di spesa.

Tuttavia il rifiuto della proposta conciliativa, per assumere rilevanza ai fini della condanna alle spese, della parte vittoriosa deve essere privo di “giustificato motivo”. In proposito il giudice potrà, a livello meramente esemplificativo, valu-tare la particolare complessità ed incertezza della fattispecie, anche alla luce dell’assetto normativo e/o delle interpretazioni giurisprudenziali, ovvero conside-rare legittimo il rifiuto qualora la proposta di conciliazione sia lontana dalla pro-spettiva della transazione, in cui le parti compiono reciproche rinunce e conces-sioni, in modo equilibrato.

L’art. 91 c.p.c. nel testo novellato fa comunque salva l’applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. ossia della norma che consente al giudice, oggi in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, di compensare in tutto o in parte le spese del giudizio.

Tale richiamo è stato da alcuni interpretato nel senso che, anche laddove non siano integrati compiutamente i presupposti normativi indicati dal secondo pe-riodo dell’art. 91 per la condanna alle spese della parte vittoriosa la quale abbia rifiutato una proposta conciliativa, magari perché formulata tardivamente o

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sol-pensazione delle spese del giudizio tra le parti maturate successivamente alla formulazione della proposta.

Secondo una distinta impostazione, l’espresso rinvio all’art. 92, comma se-condo, c.p.c. avrebbe codificato un’ipotesi di compensazione parziale delle spese di lite alla parte la cui domanda sia stata accolta ma si sia nondimeno fermamente opposta alla formalizzazione di un accordo con l’avversario: in tale prospettiva, la compensazione potrebbe operare anche con riguardo alle spese maturate prima della formulazione della proposta conciliativa così evitando una condanna alle spese di lite frazionata per segmenti processuali con alternanza di parti soccom-benti.

Una tesi ancora diversa sostiene che la clausola di salvezza costituita dal ri-chiamo al comma secondo dell’art. 92 c.p.c. è prevalentemente volta a regolare quelle fattispecie in cui l’ammontare delle spese sostenute dal soccombente dopo la formulazione della proposta transattiva e quelle sostenute dalla parte vittoriosa prima di tale momento siano di ammontare pressoché equivalente nel senso di consentire al giudice un’integrale compensazione delle spese del giudizio.

Il riferimento all’art. 92, comma 2, c.p.c. potrebbe peraltro anche intendersi nel senso che l’accollo delle spese non potrà, altresì, operare per il caso in cui il giudice ritenga opportuno procedere alla compensazione delle spese. In tal caso, infatti, prevalgono le ragioni che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., giustificano l’eccezione all’ordinario regime delle spese.

L’art. 92 c.p.c., espressamente richiamato dall’art. 91 c.p.c., completa sotto diversi aspetti la disciplina generale posta in tema di soccombenza dall’art. 91 c.p.c. e sarà oggetto di successiva ed autonoma trattazione.

In questa sede è opportuno ricordare che la legge n. 69/2009 ha modificato anche l’art. 92 comma 2 c.p.c., tramite la previsione per la quale la compensazione del-le spese di lite è possibidel-le non più per “giusti motivi”, bensì per “gravi ed

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tuito per decenni dalla previsione che, secondo la giurisprudenza dell’epoca, con-sentiva al giudice, pressoché indiscriminatamente, di disapplicare il principio della soccombenza, facendo sì che le spese rimanessero a carico di ciascuna delle parti, in considerazione delle più disparate ragioni, che non v’era obbligo neppu-re di esplicitaneppu-re. Sicché il legislatoneppu-re è intervenuto neppu-reiteratamente, in modo da ri-durre la discrezionalità della compensazione, fino, da ultimo, a tipizzare rigida-mente i casi in cui la compensazione può essere disposta.

Si rinvia ai paragrafi successivi per un’autonoma ed approfondita trattazione dell’articolo in oggetto.

1.4 Il nuovo articolo 15 del D.lgs. 546/92 come modificato dal D.lgs.156/2015

L’art. 10 della L. 11 marzo 2014, n. 2330, al comma 1, lettera a) e b), ha dele-gato il Governo all’introduzione di “norme per il rafforzamento della tutela giuri-sdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo giudicante”. A ta-le scopo, ta-le predette disposizioni ta-legislative hanno fissato alcuni principi e criteri direttivi, tra i quali:

a) rafforzamento e razionalizzazione dell’istituto della conciliazione nel processo tributario, anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l’amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contri-buenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità; b) incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria”, da realizzare

at-traverso interventi riguardanti, tra l’altro: l’eventuale composizione monocra-tica dell’organo giudicante in relazione a controversie di modica entità e co-munque non attinenti a fattispecie connotate da particolare complessità o rile-vanza economico-sociale;

                                                                                                               

30 La L. n. 23 del 2014 è rubricata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema

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rappresentare i contribuenti dinanzi alle commissioni tributarie;

d) il massimo ampliamento dell’utilizzazione della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni;

e) l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel pro-cesso tributario;

f) la previsione dell’immediata esecutorietà, estesa a tutte le parti in causa, delle sentenze delle commissioni tributarie;

g) l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca.

In attuazione della suddetta delega, il Titolo II del decreto legislativo 24 set-tembre 2015, n. 15631 (di seguito: decreto di riforma), pubblicato sul supplemen-to ordinario n. 55/L alla Gazzetta Ufficiale del 7 otsupplemen-tobre 2015, ha apportasupplemen-to rile-vanti modifiche ad alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 31 di-cembre 1992, n. 546 (di seguito: decreto n. 546), concernente la disciplina del processo tributario.

In sintesi, le più importanti modifiche relative al decreto n. 546 riguardano: • L’estensione dell’ambito di applicazione della conciliazione al giudizio di

appello e alle controversie soggette a reclamo/mediazione;

• L’estensione dell’ambito di operatività del reclamo/mediazione alle con-troversie dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, a quelle degli enti lo-cali, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 44632, nonché

alle controversie catastali33;                                                                                                                

31 Il Titolo I del decreto di riforma ha attuato la delega contenuta nell’art. 6, comma 6, della L.

23/2014, relativamente alla revisione generale della disciplina degli interpelli.

32 Si tratta di soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei

tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni.

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tutte le fasi del processo, codificando in tal modo i principi stabiliti in ma-teria dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità;

• L’esecutività immediata delle sentenze non definitive concernenti i giudizi promossi avverso gli atti relativi alle operazioni catastali e di quelle, sem-pre non definitive, recanti condanna al pagamento di somme a favore dei contribuenti, eventualmente subordinato alla prestazione di idonea garan-zia in caso di somme di importo superiore a 10.000 euro;

• Il mantenimento del criterio della riscossione frazionata del tributo in pendenza di giudizio34;

• La previsione del giudizio di ottemperanza come unico meccanismo pro-cessuale di esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o meno, esclu-dendo la possibilità di ricorso all’ordinaria procedura esecutiva, contem-plata dal vigente testo del decreto n. 546;

• L’affidamento alla commissione tributaria, in composizione monocratica, della cognizione dei giudizi di ottemperanza instaurati per il pagamento di somme di importo non superiore a 20.000 euro e, in ogni caso, per il pa-gamento delle spese di giudizio;

• L’innalzamento del valore dei giudizi in cui i contribuenti possono stare personalmente, senza l’assistenza di un difensore abilitato, che viene por-tato, dagli attuali 2.582,28 euro, a 3.000,00 euro;

• L’ampliamento della categoria dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica, nella quale sono stati inseriti i dipendenti dei CAF, in relazione alle con-troversie che derivano da adempimenti posti in essere dagli stessi CAF nei confronti dei propri assistiti.

Ai sensi dell’articolo 12 del decreto di riforma, le nuove disposizioni entre-ranno in vigore il 1° gennaio 2016, ad eccezione dei nuovi articoli 67-bis “esecu-zione provvisoria delle sentenze delle commissioni tributarie” e 69 “esecu“esecu-zione                                                                                                                

34 Il mantenimento del meccanismo della riscossione frazionata del tipo di tributo in pendenza

di giudizio consente di non aggravare gli obblighi di versamento da parte dei contribuenti, a fronte di atti impositivi non ancora definitivi.

(32)

“esecuzione delle sentenze sugli atti relativi alle operazioni catastali” del mede-simo decreto n. 54635, per le quali l’entrata in vigore è stata fissata al 1° giugno 2016.

Le nuove norme processuali opereranno in relazione a tutti i giudizi pendenti alla data della loro entrata in vigore, “non essendo stata ritenuta opportuna una

previsione di applicabilità limitata ai soli nuovi giudizi. Un tale sistema infatti verrebbe a creare un nuovo rito, che coesisterebbe con il vecchio per le cause anteriori generando confusione ed incertezze” (relazione illustrativa al decreto di

riforma).

Per quanto riguarda l’oggetto della presente trattazione, l’articolo 10, comma 1, lettera b), n. 10 della legge n. 23 del 2014 ha demandato al legislatore delegato l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini della condanna al rimborso delle spese del giudizio.

In attuazione del predetto mandato, l’articolo 9, comma 1, lettera f) del decre-to di riforma ha modificadecre-to l’articolo 15 del decredecre-to n. 546 in materia di spese di giudizio, ora composto dal comma 1, comma 2, comma da 2-bis a 2-octies.

Di seguito si riporta il testo del nuovo articolo 15 e una breve descrizione dei singoli commi che lo compongono, riservandosi poi svilupparli e di approfondirli nei successivi paragrafi.

Art. 15 - Spese del giudizio

1. “La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza.

2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espres-samente motivate.

                                                                                                               

35 L’art. 69-bis del decreto 546 è stato abrogato dall’art. 9, comma 1, lettera h) del decreto di

(33)

2-bis. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96, commi primo e terzo, del codice di procedura civile.

2-ter. Le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contribu-to previdenziale e l’imposta sul valore aggiuncontribu-to, se dovuti.

2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva effi-cacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statui-zione espressa nella sentenza di merito.

2-quinquies. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sul-la base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Agli iscritti negli elenchi di cui all’articolo 12, comma 4, si applicano i parametri previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili.

2-sexies. Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applica-no le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscos-sione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.

2-septies. Nelle controversie di cui all’articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento.

2-octies. Qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conci-liazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano di-versamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”

(34)

tributaria di compensare in tutto o in parte le medesime spese, traslata al comma 2 della norma in esame, è consentita solo “in caso di soccombenza reciproca o

qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamen-te motivaespressamen-te”. In altri espressamen-termini, in ossequio alla tuespressamen-tela del diritto di difesa di cui

all’articolo 24 della Costituzione, la regola generale deve essere che “la parte

in-teramente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quo-ta, al pagamento delle spese processuali”36, salvo le deroghe sopracitate che con-sentono, nei casi tassativamente indicati dalla norma, la compensazione delle spese del giudizio.

Con l’introduzione nel corpo dell’articolo 15 del nuovo comma 2-bis, il legi-slatore, al fine di scoraggiare le c.d. liti temerarie, richiama espressamente l’applicabilità dell’articolo 96, primo e terzo comma, c.p.c., in tema di condanna al risarcimento del danno per responsabilità aggravata, che si aggiunge alla con-danna alla rifusione delle spese di lite.

Al fine di rispettare sostanzialmente il principio di soccombenza e di tenere indenne la parte vittoriosa da tutte le spese sostenute nel giudizio, compresi i c.d. oneri accessori, il nuovo comma 2-ter dell’articolo 15 specifica che le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, agli onorari e ai diritti del di-fensore, alle spese generali e agli esborsi sostenuti, anche i contributi previden-ziali e l’imposta sul valore aggiunto eventualmente dovuti.

Il nuovo comma 2-quater risponde all’esigenza di evitare un uso strumentale del contenzioso e, in particolare, un abuso delle richieste di tutela cautelare. La predetta disposizione prevede, infatti, che la statuizione sulle spese di lite debba essere contenuta anche nell’ordinanza, non impugnabile, con cui il giudice deci-de sull’istanza di sospensione deci-dell’atto impugnato o di sospensione dell’esecutività provvisoria della sentenza impugnata con appello o con ricorso per cassazione ai sensi, rispettivamente, degli articoli 47, 52 e 62-bis.

Il nuovo comma 2-quinquies dell’articolo 15 conferma il principio recato dal-la precedente formudal-lazione del comma 2, secondo cui i compensi spettanti agli                                                                                                                

(35)

relative prestazioni professionali. Per i soggetti autorizzati all’assistenza tecnica dal Ministero dell’economia e delle finanze si applica, invece, la disciplina degli onorari, delle indennità e dei criteri di rimborso delle spese per le prestazioni pro-fessionali dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, attualmente recata dal decreto del Ministero della giustizia 2 settembre 2010, n. 169.

Il comma 2-sexies dell’articolo 15, nel quale è stato trasfuso, con alcune mo-difiche, il precedente comma 2-bis del medesimo articolo, disciplina la liquida-zione delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, degli altri enti impositori, degli agenti e dei concessionari privati della riscossione, per il caso in cui essi siano assistiti da propri dipendenti.

In particolare, si prevede l’applicazione della disciplina relativa ai compensi per la professione forense, attualmente contemplata dal decreto del Ministro della giustizia 10 marzo 2014, n. 55, con la riduzione del 20 per cento.

Con le disposizioni dei commi 2-septies e 2-octies, il legislatore ha disciplinato le spese riferite alle controversie oggetto di reclamo/mediazione e di conciliazio-ne giudiziale, con l’intento di incentivare l’utilizzo dei due istituti, potenziandoconciliazio-ne l’effetto deflattivo.

Dalla sommaria lettura dell’articolo in oggetto possiamo fin d’ora affermare e ribadire come detto in precedenza, che il legislatore delegato non ha fatto altro che recepire quanto già affermato in passato da dottrina e giurisprudenza limi-tandosi, pertanto, ad ampliare l’art. 15 facendo proprie tutte le interpretazioni e le integrazioni che nel tempo la stessa dottrina e giurisprudenza avevano dato dell’art. 15 nella sua versione originaria del ’92.

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