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La ragionevole durata del processo

Come è noto, la principale critica che si muove alla giustizia italiana da parte dell'opinione pubblica e nelle sedi internazionali è rappresentato dalla lentezza dei procedimenti, che spinge a considerare con particolare attenzione quel profilo di responsabilità dello Stato che si concretizza nella previsione di un’equa ripara- zione per la lesione del diritto alla durata ragionevole dei processi.

Il punto di partenza nello svolgimento della seguente trattazione sarà quello di prendere in considerazione il rimedio interno apprestato dal nostro ordinamen- to con la Legge 24 marzo 2001, n. 89, c.d. legge Pinto, che riconosce il diritto ad un’equa riparazione in favore di chi ha subito un danno patrimoniale o non per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uo- mo e delle libertà fondamentali, Cedu, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole del processo.

Tale legge è stata recentemente modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n.83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, con la quale si sono introdotte notevoli modifiche sia sul piano procedurale che sul piano dei parametri volti a valutare sussistenza ed entità del risarcimento, con l’intento di ridurre i costi derivanti dai                                                                                                                

244 L.P.Comoglio, Abuso del processo e garanzie costituzionali, cit. pag. 349 e seg

risarcimenti dovuti in conseguenza della L. n. 89/2001245.

La legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità per l’anno 2016, è ulte- riormente intervenuta con modifiche legislative sostanziali di cui si darà conto nel prosieguo della trattazione.

Con la Legge 89/2001 il legislatore ha cercato, in un certo senso, di “nazio- nalizzare” il diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata delle procedure giuridiziarie, ponendosi in linea, da un lato con le indicazioni convenzionali, provenienti dall'art. 6, par. 1, della Cedu, nonché dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e dall’altro con le disposizioni costituzionali, derivanti dall’allora nuovo art. 111 della Cost., come riformato dalla legge costi- tuzionale n. 2 del 23 novembre 1999. In realtà, lo strumento introdotto nel 2001 si è reso necessario dopo che la riforma sul “giusto processo”, che si rivolgeva al legislatore medesimo ed evocava il suo impegno ad assicurare la durata ragione- vole dei procedimenti, non ha attribuito ai cittadini “alcuna garanzia nuova, diret- tamente azionabile, a tutela della loro aspirazione ad una sollecita risoluzione delle controversie”, così rivelandosi, sostanzialmente, incapace di porre rimedio alle ripetute di condanne che, specie a partire dagli anni ottanta, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha rivolto nei confronti dello Stato italiano per l’eccessiva durata delle procedure e per l’assenza, all’interno dell'ordinamento, di un rimedio effettivo avverso la violazione del diritto in questione.

Peraltro, la finalità della Legge 89/2001 di deflazionare il contenzioso dinan- zi alla Corte originato dalla lentezza dei processi italiani, si collegava col caratte- re prioritario della tutela nazionale rispetto a quella sopranazionale, così come emerge dal principio di sussidiarietà, efficacemente sancito dall'art. 35 Cedu che,                                                                                                                

245  Iannello, Le modifiche alla legge Pinto tra esigenze di deflazione del contenzioso e conte-

nimento della spesa pubblica e giurisprudenza di Strasburgo, in Giur. mer., 2013, 13; Mazzeo, Risarcimento per irragionevole durata dei processi: cambia la legge Pinto, in Resp. civ., 2012, 634. In questo senso, una riforma della legge Pinto, proprio a causa della sua onerosità per lo Stato, era auspicata da Consolo, La improcrastinabile radicale riforma della Legge-Pinto, la nuova mediazione ex d.lgs. n. 28 del 2010 e l’esigenza del dialogo con il Consiglio d’Europa sul rapporto fra Repubblica italiana e art. 6 Cedu, in Corr. giur., 2010, 425.

appunto, prevede il previo esaurimento delle vie di ricorso interne quale condi- zione di ricevibilità del ricorso a Strasburgo. Per questo motivo il sistema di pro- tezione dei diritti a livello europeo poteva essere attivato solo in seconda battuta, a condizione che la pretesa violazione del diritto sia fatta valere all'interno dell'ordinamento nazionale nelle forme ivi previste; pertanto, la responsabilità in- ternazionale dello Stato sorgeva proprio nel momento in cui esso non predispo- neva alcun meccanismo adatto a riparare alla violazione all'interno del proprio ordinamento giuridico.

Per quanto attiene la natura dell’equa riparazione che consegue al danno pa- trimoniale e non patrimoniale è dibattuta, pur risultando oggi la giurisprudenza saldamente orientata verso il riconoscimento della sua natura indennitaria.

Alcuni orientamenti, infatti, riconducono il risarcimento previsto dalla L. n. 89/2001 all’area della responsabilità da illecito246, mentre altra dottrina riconduce tale fattispecie, in forza di indici formali e sistematici, all’area delle obbligazioni ex lege, in ciò supportata, come detto, dalla giurisprudenza247, nel qual caso l’equa riparazione avrebbe natura indennitaria.

V’è poi chi ritiene che si possa considerare avente natura risarcitoria                                                                                                                

246 A favore di tale ipotesi depone il fatto che il risarcimento è limitato alla parte eccedente la

giusta durata del processo, il rilievo dato all’elemento del danno, la necessaria presenza di un rapporto di causalità tra durata del processo e danno, il richiamo che viene fatto all’art. 2056 c.c., anche se altra parte della dottrina ritiene che tale richiamo, del tutto superfluo ove si tratti di responsabilità da illecito, implichi che il risarcimento trova la sua fonte nell’art. 1173. Si deve inoltre rilevare come oggi, sia ai fini della determinazione dell’an che del quantum, la legge dia rilievo a profili soggettivi. In generale, per i termini del dibattito, Genovese, Contributo allo studio del danno da irragionevole durata del processo, Milano, 2012, 111; Ponzanelli, “Equa ri- parazione” per i processi troppo lenti, cit., 569; Loccisano, Equa riparazione per irragionevole durata del giudizio ed illecito civile, in Resp. civ., 2008, 251; Franzoni, Il danno non patrimo- niale della legge Pinto, in Resp. civ., 2009, 485; Azzalini, La legge Pinto al vaglio della consul- ta: un faticoso percorso tra questioni “sommerse”, incertezze categoriali e defaillances interpre- tative, in Resp. civ. prev., 2015, 782.

247 Si rilevava, in sostegno alla tesi della natura indennitaria della riparazione, il fatto che il pro-

cesso ed in generale il legittimo esercizio dell’attività giurisdizionale non potrebbero mai confi- gurarsi come illecito ed il fatto che la stessa legge parla di “equa riparazione” e di “indennizzo”. In giurisprudenza, a favore di tale ricostruzione, ex multis, Cass. 26 luglio 2002, n. 11046, in questa Rivista, 2002, 1114, con nota di Ponzanelli, L’“equa riparazione” del danno secondo la legge Pinto: l’intervento della Cassazione e della Corte d’appello di Milano sulla vicenda Saevecke; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2248, in Rep. Foro it., 2007, v. Diritti politici e civili, n. 205; Cass. 25 novembre 2011, n. 24962, in Rep. Foro it., 2011, v. Diritti politici e civili, n. 254.

l’obbligazione derivante dal danno patrimoniale, e di natura sanzionatoria l’indennità da corrispondere a titolo di riparazione conseguente al danno non pa- trimoniale248.

Al di là di tali dubbi ricostruttivi, la giustificazione dell’introduzione della ci- tata legge Pinto sta nel disporre uno strumento celere e, ancor più con l’adozione della prospettiva indennitaria, per certi versi “automatico”, volto a ristorare i pre- giudizi di chi avesse subito dei danni derivanti dalla lunga durata del processo: ciò non vale tanto per i danni patrimoniali, la cui dimostrabilità è subordinata ad un onere probatorio particolarmente rigoroso249, quanto per i danni non patrimo- niali, più facilmente dimostrabili sulla base del fatto che il processo, come detto, è fonte di stress e ansia, e, nel prolungarsi oltre quanto fisiologico, provoca un danno che, se non in re ipsa, è comunque “conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria” che non deve essere provata dal danneggiato, pur es- sendo suscettibile di prova contraria, per quanto difficoltosa250. Dovrà allora, se del caso, essere il resistente a dimostrare che in concreto vi siano circostanze che inducano a non ritenere sussistente il danno, venendosi a realizzare una sorta di automatismo risarcitorio.

In particolare, si faceva riferimento, al fine di escludere il diritto al risarci- mento, al caso in cui l’eccessiva durata del processo fosse voluta dalla parte in

                                                                                                               

248 Genovese, Contributo, cit., 148; Venturelli, La responsabilità dello Stato per irragionevole

durata del processo, in Resp. civ., 2009, 249, 260.

249  In particolare, si ritiene che il danno indennizzabile sia soltanto “quello che costituisce con-

seguenza immediata e diretta

del fatto causativo, in quanto sia collegabile al superamento del termine ragionevole e trovi ap- punto causa nel non ragionevole ritardo della definizione del processo presupposto”. Così Cass. 19 luglio 2010, n. 16837, in Rep. Foro it., 2010, v. Diritti politici e civili, n. 266.

250 Un primo conflitto giurisprudenziale tra chi riteneva sussistente il danno in re ipsa per

l’irragionevole durata del processo, configurandosi dunque una sorta di danno evento, e chi in- vece riteneva che il danno dovesse essere rigorosamente provato dagli istanti, quantomeno fa- cendo ricorso a presunzioni, veniva sciolto nel senso indicato nel testo da Cass. 26 gennaio 2004, n. 1338, in questa Rivista, 2004, 499, con nota di Venturelli, Legge Pinto: per le Sezioni Unite la prova del danno non patrimoniale è in re ipsa. Critico su tale facilità probatoria del danno non patrimoniale è Chindemi, “Legge Pinto”: questioni processuali, sostanziali e di “etica del diritto”, in Resp. civ. prev., 2008, 690, in quanto dà spazio a condotte abusive da parte dei soggetti lesi.

quanto consapevole del proprio torto251.

La fissazione di precisi parametri valutativi al fine di decidere se concedere l’indennizzo, attesa la considerazione del danno come “conseguenza normale”, non diminuiva la portata del descritto automatismo e non pareva particolarmente incisiva ai fini di una valutazione più in concreto sulla sussistenza del danno 252.

Con la novella del 2012 il legislatore ha effettuato alcuni cambiamenti di ri- lievo alla L. n. 89/2001. Innanzitutto, si è aggiunto agli indici da valutare per ac- certare il danno anche “l’oggetto del procedimento”. Ciò schiude forse le porte alla possibilità di escludere la risarcibilità dei ritardi per insussistenza del danno in controversie meramente pretestuose o in cui la “posta in gioco” sia di scarso valore253, il che apparirebbe critico in quanto potrebbe indurre a superare il prin- cipio per cui il criterio della posta in gioco assume rilievo solo ai fini della valu- tazione del quantum254.

                                                                                                               

251 Cass. 5 novembre 2002, n. 15449, in questa Rivista. 2003, 266, con nota di Ponzanelli, Prova

del danno non patrimoniale ed irrilevanza del danno esistenziale; Cass. 7 marzo 2003, n. 3410, in Giust. civ., 2003, 905; Va inoltre considerato che il mero fatto di essere consapevole della debolezza della all’interpropria posizione, la manifesta infondatezza della domanda o il risultare perdente nella controversia non giustificano il non indennizzo. In tema, ex multis, Cass. 9 gen- naio 2012, n. 35, in Rep. Foro. it., 2012, v. Diritti politici e civili, n. 199; Cass. 23 settembre 2015, n. 18834, in Rep. Foro it., 2015, v. Diritti politici e civili, n. 101.

252 Salvato, La disciplina dell’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo nella

morsa della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e delle specificità del nostro ordinamento, in Corr. giur., 2012, 993, 997. Si fa riferimento ai parametri previsti dal secondo comma: com- plessità del caso, oggetto del procedimento (introdotto nel 2012), comportamento delle parti, del giudice e di altri soggetti chiamati a contribuire alla definizione del procedimento all’interno dello stesso.

253 In questo senso Ghirga, Considerazioni critiche sulle recenti modifiche della c.d. legge Pinto,

in Riv. dir. proc., 2013, 1021, 1034 e Mocci, La nuova Legge Pinto: prime applicazioni, in Riv. dir. proc., 2013, 1066, 1071. Genovese, Contributo, cit., 74, nel ricondurre il riferimento al pa- rametro “oggetto della controversia” come ricollegabile alla “posta in gioco” ne dà invece una lettura potenzialmente più favorevole al danneggiato, in quanto indicherebbe la possibilità di considerare più breve il termine del giusto processo dinanzi a controversie particolarmente rile- vanti.

254 Affermato da Cass. 29 settembre 2005, n. 19029, in Rep. Foro it., 2005,v. Diritti politici e

civili, n. 255; Cass. 7 gennaio 2009, n. 88, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 533, con nota di Venturelli, Struttura risarcitoria e funzione indennitaria dell’equariparazione per l’irragionevole durata del processo. Già prima della riforma del 2012 sosteneva la possibilità di valutare l’elemento della posta in gioco ai fini della valutazione dell’an Ranieri Bianchi, Il danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, in Navarretta (a cura di), Il danno non patri- moniale, Milano, 2010, 401. Sembrano supportare questa interpretazione del comma 2 Mocci, La nuova Legge Pinto, cit., 1071.

Inoltre, a partire da quanto ritenuto in giurisprudenza, il legislatore ha previ- sto, al comma 2quinquies dell’art. 2, alcune fattispecie che escludono ex se l’indennizzo, tendenzialmente ricollegabili a comportamenti abusivi della parte istante, ad esempio in caso di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.255

Sempre ai fini di valutare l’an dell’equa riparazione, la legge Pinto, successi- vamente alla citata novella legislativa, determina, ai commi 2bis, 2ter e 2quater dell’art. 2, quale sia la fisiologica durata dei procedimenti giudiziali, in assenza del superamento della quale non sarebbe concedibile alcun tipo di indennizzo256.

In materia di quantificazione del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo il nostro sistema ha visto notevoli evoluzioni. Se, in una pri- ma fase257, le liquidazioni non tenevano conto di quanto affermato dalla Corte Europea sul punto, se non indirettamente, con esiti notevolmente incerti in ordine al quantum da liquidare, in una seconda fase la Cassazione mutava indirizzo258, nel senso di utilizzare come necessario parametro per la quantificazione del dan- no la giurisprudenza della corte di Strasburgo, giungendo a stabilire un quantum tendenziale di un minimo di € 750 per i primi tre anni di ritardo e di € 1000 per i successivi tre anni259, peraltro sempre inferiore a quello di norma attribuito dalla Cedu, che si assestava tra €1000 ed € 1500.

                                                                                                               

255 Con le ultime novità legislative, oltre ad essersi modificate le ipotesi in cui non è riconoscibi-

le indennizzo alcuno di cui al comma 2quinquies, si è introdotto un comma 2 sexies che stabili- sce talune presunzioni relative di insussistenza del danno, tra cui anche un parametro simile alla citata posta in gioco, cioè l’“irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte”.

256 Anche tali soglie sono fissate in parte sulla scorta di quanto stabilito dalla giurisprudenza eu-

ropea ed in parte secondo la giurisprudenza maturata nell’applicazione della legge Pinto nel no- stro ordinamento. Critico sulla definizione di parametri precisi in materia, in quanto limitano la possibilità di un giudizio in concreto, è Azzalini, L’eccessiva durata del processo e il risarci- mento del danno: la legge Pinto tra stalli applicativi e interventi riformatori, in Resp. civ. prev., 2012, 1702.

257 Falcone, La ragionevolezza del processo, cit., 251

258 Si veda in particolare Cass. 26 gennaio 2004, n. 1340, in Giur. it., 2004, 1147, che ha stabili-

to l’obbligo di interpretazione conforme della legge italiana alle disposizioni della Convenzione per come essa vive nella giurisprudenza della Corte.

Con le modifiche del 2012, sulla scorta della giurisprudenza Cedu, all’art. 2bis della legge Pinto si determina un quantum minimo di € 500 ed un massimo di 1500 a partire dai quali il giudice decide quanto corrispondere al cittadino danneggiato dal ritardo nel processo, secondo quanto previsto dall’art. 2056, con l’ulteriore limite del fatto che il risarcimento non può superare il valore della causa. Per “muoversi” all’interno della cornice edittale così prevista, il giudice ha a disposizione i parametri previsti dal secondo comma dell’art. 2bis: l’esito del processo, il comportamento del giudice e delle parti, la rilevanza e il valore della controversia.

Nonostante dei parametri definiti in forza della giurisprudenza di matrice eu- ropea, si era sviluppata una tendenza a ritenere comunque tali somme derogabi- li260 sia in diminuzione che in aumento, in base a vari indici di quello che era il danno effettivamente arrecato dalla lunghezza eccessiva del processo. Invero, in un primo momento parte della giurisprudenza sembrava sostenere che il quantum potesse scendere, quanto al suo minimo, da € 1000 per anno fino a non oltre € 750 per anno, pur affermando che la soglia minima corrispondeva solo “di rego- la” ad € 750261. Valorizzando tale riferimento, si andava affermando una tenden- za ad erogare somme inferiori anche a tale ultima cifra, ritenendosi che non vi fosse un obbligo di stretta osservanza di quanto previsto a livello Cedu, a condi- zione che eventuali deroghe restassero ragionevoli262.

La motivazione è evidente: il danno cagionato dal ritardo nel definire una lite inerente una questione patrimoniale dal valore poco consistente rispetto al patri-                                                                                                                

260 Cass. 22 settembre 2014, n. 19897, in Rep. Foro it., 2014, v. Diritti politici e civili, n. 290 261 Cass. 14 ottobre 2009, n. 21840, in Rep. Foro it., 2009, v. Diritti politici e civili, n. 184;

Cass. 8 luglio 2009, n. 16086, in Giust. civ., 2010, 1711. In dottrina Iannello, Le modifiche alla legge Pinto, cit., 25 sembra invece ritenere che la somma minima di € 750 non fosse suscettibile di deroga.

262 Come si evince da Cedu 29 marzo 2006, 64886/01, Cocchiarella c. Italia e, 19 ottobre 2006,

68610/01, Gautieri c. Italia, entrambe in hudoc.echr.coe.int, a livello europeo si tendeva a tute- lare i cittadini italiani dinanzi a situazione di eccessiva riduzione dei risarcimenti, tanto da po- tersi ricostruire una soglia minima per il giudice italiano pari al 45% della liquidazione erogabi- le in sede europea. In questi termini Cass. 8 luglio 2009, n. 16086, in Giust. civ., 2010, 1711. In generale, dunque, la tendenza a scendere sotto la soglia minima pari ad € 750 era fondata anche sulla giurisprudenza Cedu, ed in particolare sulla sentenza della Cedu nel caso nel caso Falco c. Italia, 6 aprile 2010, 34375/02 e in Gaglione c. Italia, 21 dicembre 2010, 45867/07, entrambe in hudoc.echr.coe.int.

monio della vittima sarà minore rispetto al caso in cui il valore della controversia incida notevolmente sulle condizioni personali del danneggiato263.

Ciò implica evidentemente una maggiore personalizzazione della liquidazio- ne del risarcimento, che viene più direttamente ricollegato al pregiudizio effetti- vamente arrecato, ed è questa, si ritiene, una naturale evoluzione del criterio della “posta in gioco”264, che non può essere letta solo in senso assoluto ma va relati- vizzata nell’individuare il pregiudizio sofferto riportandolo alle condizioni sog- gettive del danneggiato. Tale personalizzazione si fonda ora su criteri di quantifi- cazione ben precisi e non può restare unicamente legata al criterio del valore del- la controversia dal punto di vista economico, relativizzato o meno, dato che non sempre il valore della causa da un punto di vista patrimoniale è ciò che più rileva (in questo senso va il nuovo art. 2bis). Ciò finisce per rendere più congruente il sistema delle legge Pinto con i principi in tema di risarcimento del danno non pa- trimoniale. D’altro canto, si mette in luce un conflitto tra due diverse esigenze dell’ordinamento: da un lato quella di adottare un sistema il più possibile, come detto, celere ed automatico nella definizione di controversie che sono peraltro fi- nalizzate a riparare un’ingiusta lunghezza di un precedente processo265; dall’altra quella di consentire l’esplicarsi di una giustizia del caso concreto, evitando, so- prattutto, che si verifichino fenomeni di sovra compensazione, in un’ottica di personalizzazione del danno.

Da qui il superamento del mero criterio oggettivo del valore della controver- sia, relativizzato facendo riferimento a vari indici quali, oltre la menzionata “po- sta in gioco”, le condizioni della parte o anche il suo comportamento processua- le266.

                                                                                                               

263 In questo senso Cass. 2 novembre 2007, n. 23048, in Rep. Foro it., 2007, v. Diritti Civili e

Politici, n. 219. Sono stati invece rigettati dalla giurisprudenza di legittimità altri parametri usati al fine di ridurre il quantum, come ad esempio quello del fatto che si trattasse di ricorso propo- sto da una pluralità di attori (Cass. 3 maggio 2012, n. 6697, in Guida dir., 2012, 23, 64).

264 In giurisprudenza sul tema della posta in gioco si veda la già citata Cass. 26 gennaio 2004, n.

1399 e Cass. 28 marzo 2006, n. 6999, in Rep. Foro it., 2006, v. Diritti civili e politici, n. 243, che definiscono l’ambito di rilevanza di tale parametro.

265 Si è posto, come noto, addirittura il problema dell’equa riparazione dovuta ad un ritardo pro-

prio nei giudizi ex lege Pinto, ed in tema Gasparrino, Illegittimo anche il “giudizio Pinto” se ha durata ragionevole, in Resp. civ. prev., 2013, 1155

Di conseguenza, si deve ritenere, il superamento verso il basso deve essere adeguatamente motivato da parte del giudice, e questa motivazione diviene sem- pre più complessa. In questo senso va anche la fissazione da parte del legislatore all’art. 2bis dei parametri in base ai quali il giudice determinerà, in base al suo