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Il quadro teorico

2.2 Intelligenza connettiva

2.2.2 Apprendimento e conoscenza

Driscoll (2000) definisce l’apprendimento come “un cambiamento persistente nelle prestazioni e azioni umane o potenziale performante… [che] deve avvenire a seguito dell’esperienza del discente e dall’interazione con il mondo” (p. 11). Questa definizione comprende molti degli attributi comunemente associati con il comportamentismo, cognitivismo, e costruttivismo, cioè l’apprendimento come un duraturo stato di cambiamento, come risultato di esperienze e di interazioni con altri contenuti o persone.

Driscoll (2000, pp. 14-17) esplora alcuni delle complessità delle definizioni di apprendimento. Il dibattito è centrato su:

Valide fonti di conoscenze - Dobbiamo acquisire conoscenze attraverso le

esperienze? Sono innate (presenti alla nascita)? Possiamo acquisire attraverso il pensiero e il ragionamento?

Contenuto della conoscenza - è la conoscenza effettivamente conoscibile? È

Per rispondere a quest’ultima domanda l’autore si concentra su tre tradizioni epistemologiche in relazione all’apprendimento: oggettivismo, pragmatismo, e interpretivismo:

- l’oggettivismo (tradizione epistemologica alla base del comportamentismo) afferma che è la realtà esterna è oggettiva e le conoscenze sono acquisite attraverso le esperienze;

- pragmatismo (tradizione epistemologica alla base del cognitivismo) afferma che la realtà è interpretata, e la conoscenza è negoziata attraverso l’esperienza e il pensiero;

- interpretivismo (tradizione epistemologica alla base del costruttivismo) afferma che la realtà è interna, e la conoscenza viene costruita. Un quarto modello epistemologico è quello introdotto da Downes (2006), il modello della cosiddetta ‘conoscenza distribuita’.

Partendo da queste basi, Siemens (2008) ha disegnato una griglia di corrispondenza tra modelli epistemologici e teorie dell’apprendimento.

Figura 9 Corrispondenze tra modelli epistemologici e teorie dell’apprendimento

OGGETTIVISMO PRAGMATISMO INTERPRETIVISMO CONOSCENZA

DISTRIBUITA

Comportamentismo Cognitivismo Costruttivismo Connettivismo

Fonte: Siemens, 2008

Secondo Siemens (2008), “… la conoscenza è composta di connessioni ed entità di rete ... è distribuita e adattiva”.

Le teorie precedenti al connettivismo si basavano sul concetto che la conoscenza è uno stato che è raggiungibile (se non già innato) tramite il ragionamento o le esperienze.

2.2 Intelligenza connettiva

Il comportamentismo afferma che l’apprendimento è in gran parte inconoscibile, cioè che non si può comprendere ciò che avviene all’interno di una persona (la cosiddetta ‘teoria della scatola nera’). Gredler (2005) spiega che il comportamentismo è composto da varie teorie e fa tre ipotesi riguardanti l’apprendimento:

- il comportamento osservabile è più importante della comprensione dell’attività interna;

- il comportamento deve essere concentrato su semplici elementi: specifici stimoli e risposte;

- l’apprendimento è il cambiamento nel comportamento.

Il cognitivismo prende spesso a modello un computer per l’elaborazione delle informazioni. L’apprendimento è visto come un processo di fattori produttivi, gestiti in memoria a breve termine e codificati a lungo termine per la memorizzazione.

Il costruttivismo suggerisce che gli studenti creano conoscenza in quanto tentano di capire le loro esperienze (Driscoll, 2000, p. 376). Il comportamentismo e il cognitivismo vedono la conoscenza come esterna al discente e il processo di apprendimento come l’atto di interiorizzazione delle conoscenze. Il costruttivismo assume che gli studenti non sono vasi vuoti da riempire con la conoscenza, ma tentano attivamente di creare significato. Spesso sono gli studenti a selezionare e perseguire il proprio apprendimento. I principi costruttivisti riconoscono che l’apprendimento nella vita reale è disordinato e complesso. Le classi che emulano l’apprendimento ‘caotico/disordinato’ saranno più efficaci nel preparare gli studenti all’apprendimento permanente (life-long learning).

Il costruttivismo – e le correnti da esso derivate – sembra più adatto a rispondere alla visione attuale dell’apprendimento. Tuttavia alcuni quesiti rimangono irrisolti anche nell’ambito di questa teoria, come per es.:

• come cambiano le teorie dell’apprendimento quando la conoscenza non è più acquisita in il modo lineare?

• quali adeguamenti bisogna fare nelle teorie di apprendimento quando la tecnologia svolge molte delle operazioni cognitive precedentemente

compiute dagli studenti (per esempio archiviazione e recupero delle informazioni)?

• come si può continuare a rimanere aggiornati in un’ecologia delle informazioni in rapida evoluzione?

• qual è l’impatto sull’apprendimento delle teorie delle reti e della complessità?

Secondo Karen Stephenson (2004): “A lungo si è considerata l’esperienza la miglior fonte di conoscenza. Ma, dal momento che non si può sperimentare tutto, le esperienze delle altre persone, e quindi le altre persone, sono diventate il surrogato della conoscenza. In un assioma: ‘io immagazzino le mie conoscenze nei miei amici’, ovvero incremento la conoscenza attraverso una ‘collezione’ di persone.”

La conoscenza è dunque assolutamente ‘mediata’, nel duplice senso di ‘intermediata’ – non più frutto dell’esperienza diretta propria ma acquisita attraverso altre persone o strumenti – e trasmessa dai media. In questo contesto diventa particolarmente difficile rappresentare l’apprendimento secondo i modelli proposti dalla teorie ‘tradizionali’ ma occorre trovare nuovi paradigmi, anche attingendo a discipline diverse dalla pedagogia e dalla psicologia. Una di queste è la ‘teoria del Caos’, che – per dirla in maniera semplice - riconosce la connessione di tutto con tutto. Gleick (1987) afferma: “Nel tempo, per esempio, questo si traduce in ciò che è solo in parte scherzosamente noto come ‘L’effetto farfalla’ - l’idea che una farfalla muovendo l’aria oggi a Pechino sia in grado di scatenare una tempesta il mese prossimo a New York” (p. 8). Questa analogia mette in evidenza una vera e propria sfida: ‘sensibili dipendenze nelle condizioni iniziali’ impattano profondamente su come impariamo e in base a ciò che abbiamo appreso. La capacità di riconoscere e adattarsi ai cambiamenti di schema è un’abilità fondamentale nell’apprendimento. In questo contesto si parla quindi di ‘auto-organizzazione’. Rocha (1998) definisce auto-organizzazione la “spontanea formazione di strutture ben organizzate, modelli o comportamenti, da condizioni iniziali casuali. “(p. 3).

L’apprendimento come processo di auto-organizzazione richiede che il sistema (sia a livello individuale sia a livello organizzativo) sia “informalmente

2.2 Intelligenza connettiva

aperto, sia cioè in grado di classificare la propria interazione con l’ambiente e di modificare la propria struttura…” (p. 4). Ne deriva che la capacità di formare le connessioni tra le fonti di informazioni, ovvero tra i vari sistemi auto-organizzantisi, e creare modelli di informazioni utili (organizzazione delle informazioni), è un’abilità assolutamente necessaria per apprendere nella nostra società, basata sulla cosiddetta ‘economia della conoscenza’. L’auto-organizzazione a livello individuale è un micro-processo di una più ampia auto-organizzazione delle conoscenze create all’interno di società o ambienti istituzionali. Da ciò il rilievo dato al modello reticolare che sotto-intende alla conoscenza individuale e a quella organizzativa.

Il presupposto di questo modello si basa sul fatto che studi di altri ricercatori (per es. Bereiter, 2002) hanno dimostrato che la nostra mente è una mente ‘modellizzante’, cioè che tendiamo, in situazioni ambientali complesse, a ritrovare schemi e modelli e a riorganizzare la nuova conoscenza in essi. Questa capacità è stata indagata, oltre che dai neurologi, anche dagli studiosi di intelligenza artificiale, che l’hanno però denominata ‘connessionismo’.