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4. Lo spazio rientra in gioco

4.3 L’approccio discontinuo: reti

Forme spazio-temporali

In tutti gli approcci fino ad ora citati sembra esserci una visione prevalentemente fissa del luogo, il luogo cioè viene visto come un spazio continuo, delimitato da confini precisi. Tale visione oggettiva dello spazio non sembra tenere conto della categoria del tempo nel considerare lo spazio, e di conseguenza non tiene conto di un ulteriore categoria che nasce dalla considerazione simultanea di tempo e spazio ovvero la mobilità.

Un autore che aiuta a comprendere e categorizzare le forme spazio-temporali è Montulet (1998, 2001). Secondo Montulet spazio e tempo vanno concepiti come fenomeni culturali e in tal senso entrambe le categorie per noi hanno senso solo in quanto percepite una in funzione dell’altra: il

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“Strade, marciapiedi, parchi e altri spazi pubblici ben fatti fanno uscire il meglio della natura umana e forniscono lo scenario per una società civile e cortese. Tutto andrà bene se riusciamo a fare un buon disegno urbanistico” (traduzione personale).

tempo sarà allora inteso in quanto “cambiamento” che investe un determinato spazio, mentre lo spazio può essere colto solo se esplorato in un determinato tempo (Mela, 2006). Ogni forma spazio- temporale sarà dunque collocata entro le due polarità dello spazio “puro” (atemporale, trascurando i cambiamenti) e della temporalità “pura” (aspaziale, in quanto cambiamento incessante). A queste due polarità corrispondono rispettivamente la forma-limite, ovvero un luogo, una frontiera con un identità fissa, e la forma-organizzante ovvero una forma spaziale priva di confini, in continua trasformazione, alla ricerca degli spazi opportuni. Oggi, sotto l’impulso della globalizzazione si assiste nei fenomeni spazio-temporali concreti ad una prevalenza della forma organizzante.

Montulet ritiene che “le categorie analitiche delle scienze sociali dovrebbero arricchirsi in modo tale da poter essere in grado di rappresentare configurazioni spazio-temporali diverse da quelle basate sulla fissità dei confini. (…) Vi è il rischio di limitare il campo dell’analisi spaziale solo a fenomeni dotati di una spazialità di tipo continuo – ossia areale, in quanto compresi in una superficie delimitata - lasciando fuori di esso quelli che hanno un carattere discontinuo – ossia reticolare, vale a dire presenti contemporaneamente in punti diversi dello spazio” (Mela p. 272- 273).

La considerazione delle forme spaziali discontinue e reticolari permette di superare la coincidenza limitante tra comunità e quartiere. Detto in altre parole le trasformazioni dell’epoca moderna e di quella contemporanea non hanno comportato la fine dei legami sociali spazializzati all’interno delle realtà urbane, ma piuttosto una loro trasformazione e complessificazione. Il paradigma della rete permette così di riconcettualizzare il carattere urbano delle relazioni sociali, riaffermando la rilevanza della strutturazione spaziale dei comportamenti e dell’esperienza urbana (Tosi, 2001). Inoltre la rete permette di descrivere i fenomeni sociali con una spazialità discontinua (oltre i confini locali e nazionali) propri dell’epoca della globalizzazione, come la localizzazione di un determinato gruppo etnico a seguito di una diaspora.

Box 4.1 L’analisi spazio-temporale35

Storicamente gli scienziati sociali hanno studiato l’effetto dello spazio sui comportamenti umani trattando il tempo solo come un fattore esterno, qualcosa rilevante per capire un determinato fenomeno, ma non necessariamente essenziale. Tuttavia a partire dalla seconda metà del novecento alcuni tra geografi, urbanisti e sociologi urbani iniziano a porre sempre più attenzione a quello che

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Note tratte dal paper non pubblicato “Riflessioni su tempo e movimento nella realtà urbana” scritto con Claudia Faraone nell’ambito dei moduli formativi tenuti dalla prof.ssa Anna Laura Palazzo e Simone Ombuen al corso di dottorato in Politiche territoriali e progetto locale, Università Roma Tre.

è il tempo nell’osservazione dei fenomeni spaziali.

Alla fine degli anni ’60, ad esempio, il geografo svedese Torsten Hägerstrand pone le basi per quella che più avanti verrà riconosciuta con il termine di time geography; a partire dai suoi studi sulle migrazioni Hägerstrand sottolinea l’importanza del tempo nelle attività umane e sviluppa un primo modello spazio-temporale che mostra come entrambi gli elementi condizionano l’individuo (Hägerstrand, 1967); tale modello sarà alla base delle riflessioni attorno ai problemi di trasporto e accessibilità nella società moderna e verrà anche ripreso da altri noti geografi e sociologi quali Nigel Thrift e Antony Giddens.

Approccio completamente diverso quello di un’altro teorico attento al tempo nello studio dello spazio, e forse più in particolare attento a quelli che soni i ritmi della vita urbana. Si tratta di Henri Lefebvre il cui studio della città è incentrato sul quotidiano, descritto come una condizione esistenziale o fenomenologica, e la quotidianità, intesa come: “uno spazio-tempo unico e illimitato per vivere” (Seigworth, in Amin &Thrift, 2002, pg. 27). Lefebvre sviluppa un’analisi dei ritmi che tramite l’osservazione (da un punto sopraelevato, la finestra) e l’astrazione permette di cogliere come i ritmi della città si dissolvono, si sovrappongono e infine si ricombinano. Tra gli altri teorici dell’urbanesimo del quotidiano vale la pena nominare Walter Benjamin e Michel De Certeau. Infine come ultimo esempio si cita il lavoro di William H. Whyte urbanista e giornalista americano convinto che il successo degli spazi pubblici non dipenda solo da caratteristiche fisiche formali, ma anche sociali. Ne deriva la sua analisi di come le persone usano gli spazi urbani, in cui la variabile tempo diventa fondamentale. In A Day in the Life of the North Front Ledge at Seagram’s Whyte sviluppa uno studio minuto per minuto del comportamento delle persone in una piazza: “From a rooftop across the street we focused two lapse-time cameras on the ledge and at 10-second intervals recorded what went on from early morning to dusk” (Whyte, 1980, pg. 68). La telecamera e i diagrammi temporali diventano nuovi strumenti di analisi dello spazio.

La networked analysis applicata agli studi urbani

La network analysis applicata agli studi urbani (vedi Mela, 2006, pp. 277-283) considera i singoli punti di una rete - i nodi - come individui o gruppi di individui e le linee di collegamento - gli archi - le relazioni tra tali soggetti o quantomeno i flussi di scambio. In quanto strumento di analisi sociale la rete va delimitata in base a determinati criteri analitici, dando luogo a reti principalmente di tre tipi: ego centrate, parziali o ego centrate parziali; a seconda che la delimitazione venga fatta a partire da un particolare nodo o soggetto, o dalla natura delle relazioni considerate o a partire da entrambi i criteri.

Le reti possono avere alcune proprietà come ad esempio la densità cioè il rapporto tra le relazioni effettivamente stabilite tra i soggetti e le relazioni che sarebbero teoricamente possibili, qualora ciascun nodo fosse collegato con gli altri. Qualora la densità fosse massima si parlerebbe di “cricca” o clique. Anche i nodi hanno delle proprietà, così la degree centrality (punteggio di centralità locale) è data dal numero di relazioni dirette di un nodo con altri nodi, rapportato al massimo numero di relazioni possibili.

Infine le relazioni stesse hanno delle proprietà che le qualificano come legami forti, ovvero dove c’è un forte impegno emozionale, un’ampia condivisione degli interessi e una stabilità delle relazioni, e i legami deboli, che al contrario implicano un basso impegno relazionale, condivisione di interessi specifici e temporaneità della relazione. Esistono nessi tra la densità di una rete e l’intensità delle relazioni: una rete unicamente di legami forti tenderà verso la cricca, mentre una di legami deboli tenderà ad estendersi verso l’esterno. A partire da questo principio Granovetter (1973) sancisce la forza dei legami deboli, che corrisponde all’apertura e alla dinamicità delle reti che costituiscono. Similmente Putnam (2000) differenzia tra bridging ties (concettualmente simili ai legami deboli) e bonding ties (simili a quelli forti). Il prevalere di bonding ties ha l’effetto di segmentare e densificare la rete, mentre bridging ties tendono a spalmare una densità media tra tutte le parti della rete. Sono dunque questi ultimi che permettono l’apertura e l’avanzamento sociale.

Un altro concetto che si trova in Putnam (1996) è quello di capitale sociale che lui definisce come “features of social organization such as networks, norms, and social trust that facilitate coordination and cooperation for mutual benefit” (p.67)36. D’altra parte il capitale sociale è visto anche nel suo valore strumentale individuale come per l’appunto il mezzo che permette di avanzare socialmente grazie alla mobilitazione di risorse all’interno alla propria rete di appartenenza (Blockland e Savage, 2008). Per Putnam i legami informali (schmoozing) di amicizia e vicinato sono importanti per la creazione di fiducia e dunque di capitale sociale.

Networked urbanism

Blockland e Savage (2008) riprendono il concetto di capitale sociale e di rete già emerso in Putnam ma per superare la sua posizione. Secondo questi autori è proprio la visione di Putnam del capitale sociale creato sulla base di reti informali (schmoozing ties) che ha finito per far coincidere questo con i concetti di coesione sociale e di comunità. In Putnam inoltre si ritrova una difesa dei quartieri

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“Elementi di organizzazione sociale come reti, norme e organizzazioni sociali che facilitano il coordinamento e la cooperazione per il beneficio comune” (traduzione personale).

come i luoghi principe per lo sviluppo dei legami di comunità che implica ancora una volta una sovrapposizione tra questi due concetti (Blokcland e Savage, 2008, p.10).

Gli autori inoltre criticano la visione deterministica delle politiche sociali territorializzate secondo la quale i quartieri problematici sono privi di quella coesione e di quel senso di comunità di cui si nutrono i luoghi di successo, e che tale coesione può essere creata stimolando il capitale sociale di tali luoghi:

“Urban policy seems to have found that ‘fix’ in social capital. So inner city neighbourhoods that are not doing well on a number of statistical indicator need ‘social capital’, and new immigrants that are not upwardly mobile, need ‘week ties’ to get ahead” (p. 3)37.

Blokland e Savage si propongono di superare questa visione in due punti. Primo, il capitale sociale non è un passe-partout che può essere usato indistintamente per ‘risolvere’ i fenomeni di esclusione sociale, bensì è un concetto che reca in sé sia meccanismi di inclusione che di esclusione. Secondo, quando si parla di capitale sociale lo si associa ad una spazialità tipica dell’urbanesimo del primo ‘900 costituito da piccole comunità circoscritte, spazialmente delimitate con un inteso spazio pubblico. Se il tessuto urbano della città del primo novecento è venuto meno, questo non significa che le città e spazialità contemporanee siano prive di capitale sociale che deve essere in qualche modo ricostituito. Le collettività ricche di capitale sociale esistono tuttora, e non sono aspaziali, bensì assumono le forme del networked urbanism, un concetto che enfatizza “their decentralized, diffuse, and sprawling character which depend on multiple and myriad technological, informational, personal and organizational networks that link locations in complex ways” (p.5)38. E ancora “Only by recognising that we now live in a situation of ‘networked urbanism’ can we understand the contemporary prospects of social capital” (p. 24)39. Un capitale sociale che produce legami settorializzati e privatizzati.

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“Le politiche urbane sembrano aver trovato nel capitale sociale ‘la soluzione’. Così i quartieri delle inner cities che secondo diversi indicatori statistici non stanno andando bene hanno bisogno di ‘capitale sociale’, e i nuovi immigrati che non sono socialmente mobili, hanno bisogno di legami deboli per avanzare socialmente” (traduzione personale). 38

“Il loro carattere decentralizzato, diffuso e in espansione che dipende da una serie di reti tecnologiche, informative, personali e organizzative multiple che legano i luoghi in modi complessi” (traduzione personale).

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“Solo riconoscendo che ora stiamo vivendo in una situazione di ‘networked urbanism’ potremmo capire le prospettive contemporanee del capitale sociale” (traduzione personale).