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3. Dove si costruisce la coesione

3.5 Luoghi di culto: moschee e chiese etniche

Se i parchi urbani, e altri spazi pubblici della città quali strade e piazze, rappresentano delle realtà importanti per la vita sociale degli immigrati, ne esistono però degli altri altrettanto importanti ma forse meno considerati dalla letteratura urbanistica perché meno visibili, come ad esempio i luoghi del culto.

Come fa notare Pispisa (2002, p.59), il tema dell’immigrazione viene generalmente affrontato con un taglio economico - che eventualmente evidenzia i problemi a livello occupazionale e di sicurezza pubblica – mentre altri aspetti del fenomeno quali quelli psicologici, antropologici e religiosi vengono lasciati in secondo piano. In effetti la religione viene normalmente considerata nei paesi occidentali secolarizzati come qualcosa di proprio alla dimensione individuale, e dunque si tende a non soppesare il suo ruolo all’interno di più ampie dinamiche sociali. In realtà la maggior parte degli immigrati in occidente proviene da paesi in via di sviluppo che ancora hanno una struttura arcaica e in cui “il legame è etnico e non politico” e “la visione del mondo è religiosa e non secolare” (Di Riso, Salvatore in Pispisa, p. 60). Proprio per questo all’interno dei processi migratori, gli aspetti etnici e quelli religiosi sono strettamente interconnessi; ciò è particolarmente evidente nel caso dell’islam, per cui i migranti musulmani rivendicano un’identità che è al contempo etnica e religiosa, ma come vedremo in seguito questo è vero anche per altre comunità di migranti dai cattolici zairesi ai sikh del Panjab. All’interno di questa prospettiva il luogo dove professare il proprio culto assume una rilevanza particolare per la definizione delle identità di determinate comunità etniche all’estero.

Innanzitutto sembra opportuno chiarire di quali luoghi di culto si sta parlando. È possibile a questo proposito individuare alcuni macro gruppi. Il primo è costituito dalle chiese ovvero dalle “comunità

di cristiani della stessa confessione religiosa” (G. Devoto e G.G. Oli, 1987 in Pispisa, 2002, p.63) sia questa cattolica, ortodossa, protestante o evangelista, i cui frequentanti fanno riferimento ad una medesima etnia: si parla in tal caso di ‘chiese etniche’. In Italia le chiese etniche sono molto numerose, anche considerando che il cattolicesimo ha costituito un importante pull factor per le prime ondate di immigrazione. Il secondo gruppo è costituito dalle moschee, luoghi di culto per i musulmani che rappresentano tra gli immigrati il secondo gruppo religioso più rilevante accanto ai cristiani. Infine vi sono i luoghi di culto delle confessioni ‘minori’nel contesto italiano, come gli ebrei, ma anche induisti buddhisti e animisti. Di seguito si prenderanno in considerazione degli esempi trattati in letteratura appartenenti a ciascuno dei tre macro gruppi.

Luoghi di culto tra segregazione e integrazione

La religione nel contesto dell’immigrazione può agire sia come un mezzo di conflitto che di cooperazione. Come sostiene Cesari (2000) parlando in particolare del credo musulmano, si tratta di:

“Conflict where the security of borders, especially in Europe, is one of the main political issues; cooperation where Islam is an element of integration into different European societies. The tension arises because mosques or associations can both have an integrative function and, in certain cases, receive fundamentalists” (p. 91)26.

La sfida dunque delle moschee, come degli altri luoghi di culto è quella di permettere un integrazione ‘dolce’ come la definisce Ottavia Schmidt (in Pispisa, p.61) che se da un lato contribuisce a conservare l’identità dell’immigrato, dall’altro promuove un inserimento non conflittuale nella società ospitante. Tenuto conto di questa cornice, vediamo più in dettaglio quale ruolo giocano i luoghi di culto nel percorso di inserimento dell’immigrato.

Innanzi tutto i luoghi di culto aiutano l’immigrato a superare lo shock che spesso può emergere dall’impatto con la società ospitante. Così, ad esempio, la chiesa zairese a Roma aiuta gli immigrati congolesi a superare lo smarrimento dovuto all’incongruenza tra l’immagine idealizzata di Roma come culla del cristianesimo con cui arrivano e la realtà individualista e poco spirituale della società italiana di cui fanno esperienza in seguito (Pispisa, pp.88-89). Questo succede anche per altre confessioni religiose i cui membri provengono da realtà non occidentali. Così ad esempio i templi

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“Il conflitto dove la sicurezza dei confini, specialmente in Europa, è una delle questioni più importanti; la cooperazione dove l’Islam è un elemento di integrazione nelle diverse società europee. La tensione si ha perché le moschee o le associazioni possono avere sia una funzione integrativa sia, in certi casi, ricevere i fondamentalisti” (traduzione personale).

sikh o gurdwara nel Lazio vengono descritti dall’Osservatorio Romano sulle Migrazioni come “un’ancora di salvezza soprattutto per i migranti spaesati e ‘scollegati’ da reti di sostegno e un concreto strumento di prevenzione dei problemi di ‘straniamento’ e shock culturale” (Speranza, 2010, p.106).

In effetti il luogo di culto, o più in generale la religione funge primariamente da rete: sia a livello locale perché contribuisce a creare e mantenere vivi i legami tra i migranti costituendoli in comunità, sia a livello globale, perché costruisce identità collettive che travalicano i confini nazionali degli stati. Questo è particolarmente vero ed evidente per le religioni che agiscono come diaspore. Secondo Cesari (2000) aldilà delle definizioni, per avere una diaspora devono verificarsi i seguenti fattori: la coscienza collettiva del gruppo, grazie a mediatori che tengono insieme luoghi, culture e realtà sociali diverse; la triangolazione tra il gruppo, la società ospitante e quella di partenza; la permanenza del gruppo e della memoria della diaspora in diversi luoghi. Così sempre secondo Cesari, l’Islam nei paesi di recente immigrazione come l’Italia assume le caratteristiche di una diaspora dormiente (dormant diaspora), mentre in quelli con una storia di immigrazione più lunga quali la Francia o il Belgio, si può parlare di diaspora incipiente (incipient diaspora). Quello che caratterizza la diaspora è il riferimento a un’identificazione volontaria con un comune gruppo d’origine, anche qualora il legame con il paese natale non esista più: “It thus implies the perception of extra-territoriality, which is a specific form of spatial self-representation” (ibidem p. 95)27. Anche per i sikh si può parlare di diaspora e anche nel loro caso la perpetuazione della comunità trascende i legami territoriali:

“L’espressione Desh Pardesh, comune a molte lingue sud-asiatiche, è la più appropriata per indicare tale processo creativo; traducibile come ‘a casa lontano da casa’, indica la tendenza a creare un ambiente culturale, linguistico, familiare altrove: vivere lontano da casa ma “come a casa” (Speranza, 2010, p.111).

Il luogo di culto aiuta dunque il migrante a mantenere vivo il legame con la propria cultura, e ad evitare che la comunità si disgreghi col venir meno del legame territoriale. In questo senso serve più che semplicemente a preservare l’identità della comunità, a reinventarla nel nuovo contesto territoriale:

“Il tempio è la chiave di volta attorno alla quale si ri-costituisce e si re-interpreta la cultura sikh nella nuova realtà sociale: la religione assume così un ruolo nuovo e ancora più importante nella creazione di un senso di identità condiviso” (Speranza, 2010, p.110).

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“(La diaspora) implica dunque la percezione dell’extraterritorialità, che è una forma specifica di auto- rappresentazione spaziale” (traduzione personale).

Nel caso di fenomeni più consistenti come per l’Islam la contaminazione è reciproca:

“This question needs to be viewed from a dynamic perspective that takes the new context into account: being a minority in Europe itself implies deep changes in Muslim identities and practices, especially among new generation born in the West. The analysis should consider changes that concern not only the Muslim groups but the host societies as well. From this perspective, multiculturalism becomes a real issue because it implies competition between different sets of values” (Cesari, 2000, p.89)28.

Oltre al valore spirituale e simbolico i luoghi di culto asserviscono ad una funzione sociale più concreta: sono essenzialmente dei luoghi di ritrovo, in cui si può parlare la propria lingua, in cui si possono incontrare amici e familiari che non si riescono a vedere durante la settimana per motivi di lavoro, per la distanza delle residenze. Così la preghiera, in molti casi è accompagnata da attività collaterali, legate ad esempio al rito del mangiare. Nel caso della comunità malgascia cattolica: “Solitamente dopo la funzione si segue il costume tradizionale del pasto collettivo con cibi preparati da ogni famiglia e scambiati tra i presenti; dopo il pranzo si canta e si balla tutti insieme. Tutto ciò ha un valore comunitario molto sentito dai malgasci e rappresenta simbolicamente il rafforzamento del fihavanana, la relazione umana, un valore che per tutti i malgasci è di primaria importanza” (Fusciardi, 2010, p.154).

L’importanza del luogo di culto come luogo di ritrovo è forte anche nella tradizione musulmana, per cui la moschea ospita al suo interno o nelle vicinanze spazi per il commercio di prodotti tipici: “la moschea, dunque, con le attività commerciali che la circondano e dirette dalla comunità – dalla macelleria islamica, all’alimentare etnico marocchino, piuttosto che il mercatino vero e proprio che troviamo nel piazzale della grande moschea di Roma -, diviene il luogo di ritrovo per eccellenza” (Moual, 2010, p.257).

Ma le attività non si limitano a quelle commerciali, bensì hanno una centralità anche attività culturali, (molti centri islamici hanno una piccola biblioteca, o promuovono corsi di lingua araba e italiana) e quelle sociali. In una recente ricerca in corso di pubblicazione sulle moschee di Roma Banfi (Banfi e Caragiuli,2010) sottolinea come il principale motivo di fondazione delle moschee sia “da ricercare in prevalenza nella necessità di fornire un sostegno “materiale e immateriale” al

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“Questa questione deve essere vista a partire da una prospettiva dinamica che prende in considerazione il nuovo contesto: l’essere in sé una minoranza in Europa implica dei profondi cambiamenti nelle pratiche e nelle identità musulmane, in particolare per le nuove generazioni nate in occidente. L’analisi dovrebbe considerare i cambiamenti che riguardano non solo i gruppi musulmani ma anche le società ospitanti. Da questa prospettiva, il multiculturalismo diventa una questione reale, perché implica la competizione tra diverse scale di valori” (traduzione personale).

musulmano che si confronta con tutte le problematiche legate alla propria condizione di migrante” (p.127). Di conseguenza la moschea fornisce servizi di vitale importanza per il nuovo arrivato, dando contributi sociali, ascolto psicologico e consiglio giuridico. Nonostante l’importanza di tali attività non cultuali per il migrante, queste costituiscono un motivo di “preoccupazione” all’interno della legislazione italiana che si occupa della realizzazione degli edifici di culto (Ferrari, 2009 p. 231).

I luoghi di culto nella legislazione italiana

Attualmente in Italia sono le regioni che legiferano in materia di edilizia di culto. In generale le leggi regionali: “prevedono che i Comuni individuino nei propri piani urbanistici – sulla base delle esigenze della popolazione locale e delle istanze delle comunità religiose – aree da destinare ad edifici di culto ed attrezzature per i servizi religiosi. Queste aree sono assegnate alle comunità che ne abbiano fatto richiesta in proporzione alla loro consistenza” (ibidem, p. 221).

Secondo Ferrari, nonostante i criteri per l’individuazione delle confessioni religiose che possono avvalersi delle disposizioni a sostegno dell’edilizia di culto siano oggettivi e chiaramente definiti, i Comuni detengono una certa discrezionalità e spesso finiscono per applicare le regole con più o meno rigidità a seconda delle pressioni ricevute dalla cittadinanza, in particolare quando si tratta di prendere delle decisioni in merito alle moschee. Così Ferrari raccoglie alcuni casi nel nord Italia in cui la sorte delle moschee non è dipesa solo dalla programmazione dell’amministrazione comunale ma è rimasta in balia delle pressioni delle comunità locali e dall’opinione pubblica.

Il risultato è che in tutt’ Italia i luoghi di culto di molte confessioni religiose versano in uno stato di precarietà e provvisorietà, ospitati in luoghi spesso non idonei e insostenibili, tant’è che lo scorso giugno a Roma fedeli delle confessioni indù, buddhista e evangelica sono scesi in piazza per rivendicare il diritto alla preghiera, invocando l’intervento del Comune per trovare gli spazi idonei. Secondo Ferrari se il rischio di un uso strumentale e discriminatorio della legislazione urbanistica è reale, una riforma legislativa sembra poco attuabile, piuttosto:

“Sembra più realistico concentrare l’attenzione sulla corretta applicazione della normativa vigente, da un lato, e sulla ricerca di strumenti che, senza richiedere la promulgazione di nuove norme, favoriscano un’utilizzazione migliore di quelle esistenti” (ibidem, p.235)

Figura 3.1 Titoli di giornali che riportano il caso delle rivendicazioni fatte lo scorso giugno dalle confessioni religiose

minori a Roma