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Approfondimento sul peccato originale.

Nel documento Il male e la scelta umana in S. Tommaso (pagine 162-166)

IL LIBERO ARBITRIO E IL MALE

CAPITOLO 2. LA DECLINAZIONE MORALE DEL MALE ONTOLOGICO: IL PECCATO

2.3. Approfondimento sul peccato originale.

Dopo aver delineato una panoramica sulla declinazione morale del male ontologico – ovvero il peccato – Tommaso focalizza l’esposizione delle Quaestiones 4 e 5 sul tema del peccato originale.

324 Ivi, 12, 31.

Nella nostra ricerca non ci soffermeremo in modo specifico sui singoli articoli delle questioni, ma cercheremo di trarre un sunto dell’argomento, tenendo conto altresì di ciò che L’Aquinate scrive al riguardo nella Grande Summa.

Anzitutto, per definire il peccato originale, ci rifaremo alla celebre frase di S. Paolo, che Tommaso spesse volte cita nel De Malo: «Per mezzo di un solo uomo in questo mondo entrò il peccato»326. Ora, sappiamo che il peccato originale è causato dal nostro progenitore, Adamo, il quale ha ceduto alla persuasione diabolica, venendo meno così all’ordine divino precostituito. Adamo, dal canto suo, non è da intendere come un singolo uomo finito, bensì come una personalità corporativa: egli rappresenta l’umanità, ed è per questo motivo che la sua colpa viene poi infusa nei singoli membri appartenenti alla comunità umana.

Dunque, il primo punto da tenere in considerazione in quest’ottica, è che il peccato originale appartiene ad ogni uomo, il quale lo contrae fin dalla nascita. Il battesimo, d’altro canto, ha la funzione di liberarci dalla responsabilità morale di questo peccato: al singolo uomo, una volta battezzato, sarà tolta la colpa del progenitore; tuttavia, egli non sarà del tutto liberato da questo male, poiché conserverà la pena del peccato originale, ovvero la predisposizione della sua natura spirituale a deviare e corrompersi, quindi a peccare. Nel momento in cui pecchiamo, da discendenti di Adamo, ci rendiamo contemporaneamente complici del peccato originale.

In merito a ciò, bisogna fare un breve accenno alla condizione umana che precede il peccato di Adamo.

Dio infatti, nello stato prelapsario (anteriore al peccato originale), donò all’uomo la giustizia originale e il dominio delle potenze inferiori, ottenuto grazie all’uso della ragione. Nel momento in cui Adamo ed Eva peccarono, il loro allontanamento da Dio provocò la perdita della giustizia originale, mentre, la loro conversione nei confronti di un bene mutevole, causò la perdita del dominio razionale sulle potenze inferiori. Dunque l’uomo, in seguito al peccato originale, si ritrovò da un lato con una ratio non più sottomessa alla legge divina, dall’altro con le stesse potenze inferiori (nonché le passioni) non più totalmente soggette al controllo della ragione. Questo è il motivo per cui la natura umana, che un tempo era perfetta, assume una predisposizione a corrompersi moralmente.

Al contempo, con il peccato di Adamo, vengono introdotti nel mondo sia la morte che i mali terreni. In particolare, i mali, sono da intendere come conseguenza della privazione della giustizia originale; questi consistono infatti in delle pene, che spesso sembrano ingiuste (come quando, per esempio, un

bimbo che è certamente privo di peccato attuale, nasce già cieco); tuttavia tali pene sono previste da Dio e rientrano in un certo ordine divino per noi inconoscibile. I mali della pena sono infatti attribuiti ai singoli uomini fondamentalmente per due motivi: in vista di ciò che la persona è tenuta a compiere in questa vita, oppure a seconda di ciò che essa deve scontare a causa del peccato dei genitori. Quest’ultimo punto è particolarmente interessante, perché sottolinea la visione tommasiana, per la quale il peccato si trasmette attraverso la carne, mai con l’anima (sebbene si punisca poi attraverso l’anima). Questa tesi è tipicamente agostiniana; il Vescovo di Ippona riteneva infatti che il peccato originale si trasmette biologicamente, attraverso il seme dell’uomo, e perciò alla nascita.

La morte, inoltre, è il secondo elemento inserito nella natura umana. Essa è, per l’appunto, “inserita” e non connaturata all’uomo; infatti, spiega Tommaso, la persona umana è principalmente anima, poiché l’anima si configura, aristotelicamente, come la forma del corpo, e quindi conferisce al corpo un’essenza. L’anima umana è immortale, perciò la natura precipua dell’uomo sarebbe quella di essere immortale. Nello stato prelapsario, Dio tutelava la natura mortale dell’uomo (quella materiale), di modo che questa non potesse corrompersi o intaccare la sostanza umana (quindi l’anima come elemento formale). Tuttavia, dopo il peccato originale, la morte, data dalla corruzione materiale, diventa effettiva327.

Leggiamo per l’appunto in De Malo: «Poiché Dio, che è il creatore dell’uomo, con la sua onnipotenza poteva impedire che questa necessità della materia passasse in atto, con la sua potenza concesse all’uomo, prima del peccato, di essere preservato dalla morte, finché non si rese indegno di questo dono mediante il peccato. […] E così, dunque, la morte e la corruzione naturale appartengono all’uomo in ragione della necessità della materia; però, in ragione della natura della forma, gli converrebbe l’immortalità. Tuttavia, i principi della sua natura non sono in grado di procurargliela, invece un’attitudine naturale verso di essa conviene all’uomo in ragione dell’anima, però il suo compimento dipende da una potenza soprannaturale»328.

327 Riguardo questo argomento Porro scrive: «La morte, pertanto, non è qualcosa di naturale per l’uomo, o, per meglio

dire, è naturale rispetto alla materia del composto umano (il corpo organico è composto di elementi diversi, ed è perciò soggetto alla contrarietà delle forme e dunque alla corruzione) […] nello stato prelapsario, cioè prima del peccato originale, Dio aveva fatto in modo che tale potenza, insita nella materia, non passasse mai in atto: dopo la caduta, la morte è diventata una realtà effettiva (la morte è cioè passata dallo stato potenziale a quello attuale). In linea generale, rimane tuttavia vero che l’immortalità ci è naturale, mentre la morte e la corruzione sono per noi contro natura (dal momento che la forma, secondo cui ci conviene l’immortalità, esprime meglio la nostra natura)» (in P. Porro, Tommaso d’Aquino. Un profilo storico-filosofico, Carocci, Roma 2012).

La preminenza dell’anima sul corpo è inoltre fondamentale per cogliere il luogo dove risiede il peccato originale. Quest’ultimo infatti, come abbiamo specificato poc’anzi, viene trasmesso dal seme dell’uomo329, che rappresenta dunque la sua causa strumentale330. Nell’anima, invece,

ritroviamo il soggetto del peccato, e, in particolar modo, nella potenza dell’anima da cui si generano tutte le mozioni, ovvero la volontà. È infatti dalla volontà di Adamo che deriva il peccato originale, mentre dal suo seme questo si trasmette ai posteri. Leggiamo infatti in De Malo: «bisogna dire che ciò che è razionale è di per sé il primo soggetto della virtù. Per individuare dunque, nelle potenze dell’anima il soggetto primo del peccato originale, bisogna esaminare quale sia quella potenza in virtù della quale tutte sono suscettibili di peccato. Infatti è necessario che il peccato originale pervenga per prima dall’essenza dell’anima a quella potenza. Ora, è evidente che il peccato, nei termini in cui ora ne stiamo parlando, è ciò cui è dovuta una pena. Ma i nostri atti meritano la pena e il biasimo per il fatto che sono volontari. Perciò, dalla volontà deriva alle altre potenze dell’anima il fatto che siano suscettibili di peccato. È manifesto, quindi, che fra tutte le potenze dell’anima, il peccato originale esiste per prima nella volontà»331.

329 Tant’è che Tommaso afferma che l’umanità sia investita del peccato originale per il fatto che discende dal seme di

Adamo, mentre, se ipotizzassimo una nuova creazione, che prenda piede dalla terra e non dal nostro progenitore, la stirpe che ne deriva sarebbe senz’altro libera dal peccato originale. Ritroviamo questa tesi sia in De Malo (q. 4, a. 7 resp.), sia in Summa Theologiae (I-IIae, q. 81, a. 4 resp.), dove leggiamo: «Il peccato originale si trasmette dal nostro progenitore ai discendenti in quanto questi in forza della generazione ne sentono l’influsso: come le membra subiscono l’influsso dell’anima nel peccato attuale. Ora, l’influsso causale si esercita sulla generazione solo mediante la virtù attiva del generante. Per cui contraggono il peccato originale solo quanti discendono da Adamo mediante questa virtù attiva, che originariamente deriva da Adamo; e ciò significa discendere da lui secondo la ragione seminale: infatti la ragione seminale non è altro che la virtù attiva nella generazione. Ora, se uno venisse formato da un corpo umano per virtù divina, manifestamente la virtù attiva non deriverebbe da Adamo. Quindi costui non contrarrebbe il peccato originale: come non sarebbe un peccato umano l’atto delle mani se queste fossero mosse non dalla volontà dell’uomo, ma da un agente estrinseco»

330 In merito a ciò leggiamo in Summa Theologiae: «Una cosa può trovarsi in un’altra in due modi, primo, come nella

sua causa, o principale o strumentale; secondo, come nel suo soggetto. Il peccato originale del genere umano fu dunque in Adamo stesso come nella sua causa strumentale: poiché, come dice Paolo in Rm: «In lui tutti peccarono». Tale peccato è ionvece nel seme come nella sua causa strumentale: poiché dalla virtù attiva del seme esso viene trasmesso alla sua prole insieme con la natura umana. Tuttavia il peccato originale non può risiedere in alcun modo nel corpo come nel proprio soggetto, ma soltanto nell’anima. E la ragione, come si è spiegato in precedenza, è che il peccato originale viene trasmesso ai posteri dalla volontà del nostro progenitore mediante il moto generativo nello stesso modo in cui dalla volontà di un uomo si propaga il peccato attuale alle altre sue parti. […] così dunque, siccome l’anima può essere sede o soggetto della colpa, a differenza del corpo, che di per sé non può esserlo, tutto ciò che di corrotto deriva all’anima dal primo peccato ha natura di colpa; quanto invece deriva al corpo, non ha natura di colpa ma di pena. Quindi la sede del peccato originale è l’anima, non il corpo» (Summa Theologiae, I-IIae, q. 83, a. 1 resp.).

Nel documento Il male e la scelta umana in S. Tommaso (pagine 162-166)