• Non ci sono risultati.

Approfondimento sui demon

Nel documento Il male e la scelta umana in S. Tommaso (pagine 147-151)

IL LIBERO ARBITRIO E IL MALE

CAPITOLO 2. LA DECLINAZIONE MORALE DEL MALE ONTOLOGICO: IL PECCATO

2.2. La Quaestio Tertia del De Malo: “La causa del peccato”.

2.2.6. Approfondimento sui demon

La Quaestio Sexta-Decima del De Malo può essere considerata come un piccolo trattato di demonologia296. In questo luogo Tommaso, attraverso dodici articoli, delinea una panoramica sull’ontologia del diavolo, e su come questi agisca nell’uomo.

Nel corso dell’analisi della Quaestio Tertia – riguardante la causa del peccato –, abbiamo visto come il tema del demonio sia di fondamentale importanza, per definire quale sia la causa del peccato umano297. Abbiamo appurato infatti che il diavolo, non essendo l’incarnazione del male in un’entità ontologicamente sussistente, non ha la facoltà di causare volontariamente, tramite la sua azione, il peccato. Il male morale può essere, d’altro canto, causato dal demonio in modo indiretto, ovvero tramite una persuasione interiore.

295 Gennadio, De ecclesiasticis dogmatibus, cap. 82.

296 Pasquale Porro sostiene infatti che la Quaestio 16 del De Malo rappresenti un vero e proprio trattato di demonologia,

elaborato in uno stile assolutamente razionale. Rifacendosi a Russell, egli ritiene infatti che la filosofia scolastica sia certamente quella che ha concesso meno in assoluto a ogni forma di demonologia superstiziosa o esoterica (cfr. a tal riguardo J. B. Russell, Il diavolo nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1987).

Ora, riprendendo queste conclusioni, possiamo tentare di mettere in atto una breve analisi filosofica della figura del demonio.

Anzitutto, constatiamo che Tommaso si rifà in modo preminente ad Agostino, quando intende il male come privatio boni, e, di conseguenza, il diavolo come un angelo che si è allontanato estremamente da Dio. Agostino, infatti, fu probabilmente il primo teologo a sostenere che nemmeno Satana è da intendere come un’entità di per sé malvagia298. Il diavolo è infatti un angelo caduto, il

quale si è macchiato del peccato più grave, la superbia. Tommaso reputa quest’ultima come “la regina di tutti i peccati”, poiché ogni peccato consiste nel non voler sottomettersi a una regola superiore, dunque contiene implicitamente un atto di superbia. Questa tesi presenta dei chiari echi agostiniani; leggiamo infatti nel De libero arbitrio: «Inizio di ogni peccato è la superbia, e ancora: Inizio dell'umana superbia è distaccarsi da Dio. Il diavolo aggiunge alla superbia l'invidia piena di tanta malevolenza da indurlo ad istigare l'uomo alla superbia, per cui egli capiva di essere stato condannato. Ne conseguì che una pena di emendamento anziché di condanna a morte risollevò l'uomo, sicché mentre il diavolo gli si era offerto come esempio di superbia, il Signore gli si è offerto come esempio di umiltà»299.

Dunque il demonio pecca per superbia, ma non è cattivo per natura. Egli è creato buono da Dio, al pari delle altre intelligenze angeliche. Essendo che il male si configura come una privatio boni, infatti, il diavolo non può mai tendere al male nemmeno nell’inclinazione, la quale tende sempre al bene300. Pertanto, appuriamo con Tommaso, che il demonio pecca attraverso un atto volontario. Il male subentra in lui infatti nel momento in cui la conoscenza (che porta poi ad indirizzarsi al bene conosciuto come conveniente) contrasta con una regola superiore.

Sappiamo che nell’uomo c’è una duplice conoscenza: la sensibile, che deve essere diretta dalla ragione, e quella razionale, che deve essere diretta dalla legge divina. Dunque nell’uomo vige un doppio male: nell’appetito, che non si lascia dirigere dalla ratio, e nella ragione, che non si lascia

298 Agostino infatti sosteneva che il demonio fosse un “angelo ribelle”, tesi tuttora condivisa dalla dottrina cattolica. In

merito a ciò, leggiamo in De Genesi ad litteram: «Poiché per quanto in basso siano stati precipitati gli angeli ribelli dalla loro dimora celeste a causa della loro perversità e della loro superbia, tuttavia per la loro natura sono superiori a tutte le bestie a causa dell'eccellenza della loro ragione» (Agostino, De Genesi ad litteram, XI, 2.4).

299 Agostino, De libero arbitrio, III, 25, 76.

300 Infatti, scrive Tommaso, «l’inclinazione naturale non è se non verso un determinato bene» (Tommaso, De Malo, q.

guidare dalla legge divina301. Nelle sostanze separate, quali sono i demoni, c’è dunque una sola modalità di conoscenza, quella intellettuale: esiste perciò un solo male, che riguarda il non attenersi alla legge divina, e questo risiede nella volontà dei demoni.

Nell’articolo 3 della Quaestio Sexta-Decima, Tommaso offre una “fenomenologia” del peccato diabolico. L’Aquinate spiega per l’appunto che il diavolo, diversamente da quanto si crede, non peccò per il fatto di voler essere uguale a Dio. Questo per due motivazioni: anzitutto, perché, conscio del fatto che Dio è l’Ente Supremo che sussiste di per sé – e che gli altri esseri sono tali per partecipazione dello stesso – non ha voluto perseguire un fine impossibile, poiché nessuno tende a ciò che sa essere impossibile; inoltre, volendo il bene per sé, il diavolo non desidererebbe mai non essere più sottomesso ontologicamente a Dio, poiché ciò implicherebbe l’annullamento della sua esistenza (visto che l’essere ci è conferito da Dio stesso).

Gli angeli sono stati creati fin da subito come aventi già ciò che appartiene alla loro perfezione naturale, e, solo in potenza, i beni soprannaturali, che avrebbero potuto conseguire tramite la Grazia divina.

Il primo peccato del diavolo fu dunque il fatto che, per raggiungere la visio beatifica (il maggiore dei beni soprannaturali, consistente nella visione di Dio stesso), non lo fece innalzandosi a Dio, seguendo, al pari deli altri angeli, l’ordine della legge divina; egli volle invece perseguire la beatitudine soprannaturale attraverso la sua stessa natura: quindi peccò per il fatto di averla voluta conseguire a opera della propria potenza, ma senza Dio, che conferisce la Grazia. Il demonio, dunque, desiderò l’uguaglianza con Dio solo nel momento in cui volle perseguire la beatitudine attraverso la propria natura, facoltà che appartiene solamente a Dio. Egli quindi non desiderò il male di per sé, ma il bene (la beatitudo): tuttavia lo fece in modo disordinato e contrario alla legge divina.

Questa tesi è già nota in alcuni autori medievali, fra cui, in particolare, ritroviamo Anselmo d’Aosta. Quest’ultimo, nel De casu diaboli, scrive: «Anche se non volle essere del tutto pari a Dio, ma qualcosa di meno, tuttavia volle esserlo contro la volontà di Dio, perciò volle essere in modo disordinato simile a Dio, perché volle qualcosa di sua volontà, senza sottomettere a nessuno la sua volontà. Infatti, il volere qualcosa di propria volontà, senza obbedire a nessuna volontà superiore,

301 L’uomo perde la facoltà di dominare razionalmente le potenze inferiori, e quella di sottomettersi totalmente alla

legge divina, nel momento del peccato originale. Prima, infatti, Dio ci aveva concesso ai nostri progenitori la giustizia originale, e il pieno dominio sulle pulsioni. Adamo, allontanandosi da Dio, causò la perdita della giustizia originale; dopodiché, convertendosi ai beni mutevoli, provocò la perdita del controllo razionale sulle potenze inferiori (rispetto a questo argomento cfr. nella stessa III Parte, CAP. 2, par. 2.3).

deve essere prerogativa solo di Dio […] e non solo volle farsi uguale a Dio perché pretese di avere una sua volontà, ma volle anche essere superiore a Dio, volendo ciò che Dio non voleva che egli volesse, e ponendo la sua volontà al di sopra di quella di Dio»302.

Detto ciò, l’Aquinate riprende alcune questioni che potremmo definire più teologiche che morali. Il diavolo, in seguito alla caduta angelica, non può ritornare sui suoi passi, né scegliere il bene anziché il male. Questo accade perché, secondo Tommaso, l’angelo, che ha una conoscenza in atto, non può mutare ciò che ha in potenza: egli può mutare soltanto in merito alla sua conversione (gli angeli) o al suo allontanamento da Dio (i demoni); al contrario l’uomo, pur tendendo alla beatitudo al pari dell’angelo, può mutare la sua volizione (dirigendola a più beni particolari), poiché la mutevolezza riguarda le cose in potenza, dunque i beni particolari.

Il Doctor Angelicus fa poi un’ulteriore constatazione: il diavolo non può conoscere il futuro: egli può conoscere solo ciò che è in atto, e le cose contingenti nel futuro sono per lui inconoscibili; mentre quelle necessarie sono da lui conoscibili con certezza, più che dall’uomo. Inoltre, i demoni non possono conoscere i pensieri dei nostri cuori. Infatti solo Dio e l’uomo possono conoscere ciò che l’uomo pensa in atto; questo deriva dalla mozione della sua voluntas, e solo Dio, il quale ne è l’artefice, può conoscerla (infatti l’angelo o il diavolo, essendo esseri inferiori a Dio, non possono conoscere ciò che cade sotto un ordine di ciò che è loro superiore).

Infine, l’Aquinate si sofferma sui modi della persuasione diabolica. Secondo Tommaso, per l’appunto, il diavolo può modificare la parte conoscitiva dell’anima umana quanto al suo potere sensitivo interiore, attraverso l’immaginazione (anche se ciò vale soprattutto per le immagini delle cose esistenti in natura). Questo avviene in quanto i demoni hanno la facoltà di muovere l’intelletto dell’uomo, perché conosca il male e il falso. Gli angeli buoni aiutano gli uomini ad avere intuizioni intellettuali positive, mentre i demoni dispongono le rappresentazioni affinché l’uomo sia tratto in inganno; il demonio può infatti modificare gli umori e le impressioni del nostro corpo, così da modificare le immagini sensibili da cui trae origine il processo intellettuale, orientandolo così in una direzione errata.

In merito alla questione diabolica, Pasquale Porro sostiene che: «Alle origini della caduta del diavolo c’è perciò un errore di autosufficienza – l’illusione di poter conseguire la felicità, o la beatitudine, non senza Dio, ma senza la Grazia, cioè nel solo ambito naturale»303.

Porro sostiene inoltre che, nell’esasperata volontà di autosufficienza diabolica, Tommaso abbia ritrovato un peccato essenzialmente filosofico della sua epoca; in quel periodo infatti, i maestri della

302 Anselmo d’Aosta, De casu diaboli, 4.

facoltà parigina delle Arti, e, in particolare, Boezio di Dacia nel suo De summo bono, prospettavano un ideale basato sull’autosufficienza della filosofia nel puro ambito naturale (solo il filosofo è naturalmente felice e non pecca). Questa nuova prospettiva filosofica, secondo Porro, potrebbe essere apparsa agli occhi di Tommaso come una tentazione, strictu sensu, luciferina.

Nel documento Il male e la scelta umana in S. Tommaso (pagine 147-151)