BENE E MALE NEL TOMISMO DI MARITAIN
CAPITOLO 3. IL MALE NEL PENSIERO DI MARITAIN
Come abbiamo già accennato precedentemente, Maritain si qualifica come uno dei pochi pensatori contemporanei a riportare in auge il concetto di bonum honestum, e di privatio boni. Il suo modo tomista di intendere il bene e, di conseguenza, il male, si impatta con le teorie di buona parte dei suoi contemporanei, i quali tendevano a cogliere nel male una negatio, anziché una privatio345, rielaborando tale concetto alla luce di sofisticate metafisiche.
Maritain, ne il Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente ritiene che il male consista di per sé in una privazione del bene. Egli infatti distingue accuratamente la dimensione della negazione, da quella della privazione: il male deriva anzitutto dalla negatio, ovvero da quel momento che Tommaso d’Aquino definisce come la “non considerazione della regola morale”, ovvero un’assenza di misura che, pur qualificandosi come un atto volontario, non si configura ancora come male, finché non interviene la dimensione della scelta, scaturiente dal giudizio pratico346.
Nel momento in cui non considero la regola morale, infatti, non sto ancora peccando, ma, quando pratico una electio sulla base della non-considerazione attuale della regola, finisco per agire privandomi del bene dovuto, ovvero non attenendomi alla legge morale. Maritain sostiene per l’appunto che il male sia, a livello ontologico, la “privazione di un certo bene dovuto a una cosa”, mentre, a livello morale, il male rappresenta “la privazione di regolazione e di forma, che vizia l’uso della libertà”347. La scelta umana rientra infatti a pieno titolo nella dimensione della libertas:
la negatio rappresenta già un atto libero, poiché “dipende dalla libertà il mio voler guardare (la regola) o non guardare”348, tanto che, nella Quaestio Prima del De Malo, Tommaso afferma che «di
questo non far uso della predetta regola non bisogna cercare qualche causa, poiché a ciò è sufficiente la libertà della volontà, per mezzo della quale essa può agire o non agire»349. Dunque la causa prima del male, secondo Maritain, consiste anzitutto in una negazione, in una frattura con l’essere, o meglio, in una “nientificazione” che introduce un vuoto nello stesso essere. La causa
345 Rispetto a questo argomento, cfr. la nostra II Parte, par. 2.2.3:“Privatio” versus “Negatio”.
346 La negazione, in questo caso, corrisponde perciò all’aristotelico agnoón, ovvero all’agire non considerando la regola
morale, quindi ponendo, tra sé e l’azione, una negatio, che, nel momento della scelta peccaminosa, genera una privatio, una “sterilizzazione” dell’azione stessa.
347 Cfr. Maritain, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente (tit. or. Court Traité de l’existence et de l’existant, 1947),
tr. it. di L. Vigone, Morcelliana, Brescia 1965.
348 Ivi, p. 73.
prima del male è perciò da ritrovare nella volontà, che nega a sé l’accesso al riferimento morale adeguato.
Nella sua opera Dio e la permissione del male Maritain sostiene che «questa non-considerazione della regola è qualche cosa di reale, dato che è la causa del peccato; ed è anche qualche cosa di libero; quindi è un’iniziativa libera della volontà. Ed essa è causa del male dell’atto di scelta solo in quanto l’atto di scelta ha luogo in un momento di tempo in cui anch’essa è presente. E ciononostante, essendo causa del male, essa lo precede, perlomeno di una priorità di natura»350. La negatio è perciò, secondo una scansione naturale dell’agire umano, un momento antecedente, che consiste nel non considerare la regola, dunque in una pura sottrazione di essere; mentre la
privatio rappresenta un secondo momento, ossia l’agire all’interno di questa assenza, che diventa,
nella dinamica dell’azione, la mancanza di un bene dovuto: questo secondo momento fa deviare l’operazione, e va a qualificare non più la causa del male (che ritroviamo nella negatio), bensì lo stesso male causato.
Nelle Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, Maritain sostiene che la privazione che occorre nella scelta peccaminosa è una sorta di “deicidio”; infatti, per quanto sia impossibile uccidere Dio, accade che, peccando, “qualcosa che Dio ha voluto ed amato non sarà in eterno”351.
Il filosofo francese farà poi un’ulteriore constatazione. Nessuna causa creata, secondo Maritain, agisce se non in virtù della sovracausalità dell’Ipsum esse per se subsistens; d’altra parte, come sappiamo, la libertà di scelta consiste «nell’indeterminazione attiva e dominatrice della volontà, alla quale spetta rendere efficace il motivo che la determina»352. Dati questi presupposti, è chiaro che la libertà dell’esistente creato può esercitarsi solo se è mossa o attivata dalla causalità trascendente di Dio. La Libertà Creatrice infatti muove ad agire ogni ente secondo le determinazioni che gli sono proprie: attiva l’azione contingente negli enti contingenti, muove ad agire liberamente gli enti dotati di libero arbitrio.
La Libertà creatrice detiene perciò l’iniziativa prima del bene, mentre la creatura libera possiede l’iniziativa seconda. Maritain sostiene che «la metafisica non si troverebbe di fronte ad alcuna
350 J. Maritain, Dio e la permissione del male (tit. or. Dieu et la permission du mal, 1963) tr. it. di A. Ceccato,
Morcelliana, Brescia 1977.
351 J. Maritain, Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, pag. 229. 352 J. Maritain, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, pag. 71.
difficoltà se l’esistente creato esercitasse sempre la sua libertà nella linea del bene. Però sappiamo che non è così»353.
Essendo che il male avviene a causa della libertà dell’uomo, occorre dunque che l’autore della stessa volontà umana, ovvero Dio, faccia in modo che l’uomo sia libero di peccare. In questo frangente si pone dunque, secondo Maritain, una permissione del male da parte dello stesso Creatore.
Al fine di giustificare questa tesi, Maritain parla di “mozioni divine frangibili”, con le quali Dio orienterebbe la volontà umana al bonum honestum. Egli ritiene infatti che l’esistente creato sia percorso e attivato da tutti gli influssi d’essere derivanti dall’Ipsum esse subsistens, ed è proprio l’insieme di tali influssi che va a costituire le cosiddette “mozioni divine frangibili”, le quali implicano a priori in sé la permissione, ossia la possibilità di essere rese sterili, qualora l’uomo, nella sua piena liberà, decida di agire non considerando la regola morale, sottraendosi perciò ad esse.
Ora, accade che, se la mozione frangibile non è infranta, questa darà luogo a una fioritura. Al contrario, se questa verrà infranta, cesserà di esistere. Tuttavia Dio, che ci ha creati liberi e inseriti in un ordine naturale, non toglierà totalmente all’uomo la possibilità di riscattarsi; la mozione frangibile verso il bene morale cesserà infatti di esistere, come cessa di esistere la tendenza del fiore verso il frutto: tuttavia, questa verrà sostituita dalla mozione mediante la quale Dio muove tutte le cose, a seconda delle loro potenzialità (quindi una mozione “comune”, sebbene non indifferenziata). Leggiamo infatti: «Possiamo dire che essendo soppressa ogni ordinazione al bene morale a causa della nientificazione della creatura, la mozione frangibile verso il bene morale da luogo a una semplice premozione a tutto quanto vi è di ontologico nell’atto di elezione – peccaminoso – che sta per essere compiuto»354.
Secondo Maritain, Dio permette il male tramite un “decreto permissivo conseguente” (conseguente alla non-considerazione della regola morale). Dio quindi, attraverso un decreto permissivo, concede all’uomo, una volta creata la causa del male (ovvero dopo il momento della negatio), la possibilità di infrangere la mozione. Se Dio non permettesse all’uomo, in piena libertà, di peccare, significherebbe che il Creatore pone già, all’inizio di ogni atto peccaminoso, una mozione infrangibile. Maritain scrive: «L’atto d’elezione cattivo ha luogo soltanto se permesso da Dio, I, per
353 Ibidem.
la permissione indifferenziata del male inclusa nella mozione frangibile; II, per il decreto permissivo conseguente all’iniziativa creata di non-considerazione della regola»355.