IL LIBERO ARBITRIO E IL MALE
CAPITOLO 2. LA DECLINAZIONE MORALE DEL MALE ONTOLOGICO: IL PECCATO
2.1. La Quaestio Secunda del De Malo: I peccat
2.1.5. L’articolo 6 della Quaestio Secunda: utrum circumstantia det speciem peccato aut variet
ipsam transferendo in aliud genius peccati
L’articolo 6 della Quaestio Secunda titola: “Se la circostanza dia la specie al peccato o se lo cambi facendolo passare in un altro genere di peccato”.
Mentre l’opponens sostiene che la circostanza non dia la specie al peccato, l’Aquinate propende invece per una risposta positiva.
Nel Sed Contra, diversamente dal solito, Tommaso non si rifà alle auctoritates, bensì espone delle riflessioni personali.
2. Il luogo è una certa circostanza. Lo stesso luogo poi, dà la specie al peccato, infatti, nel momento in cui uno – per esempio – ruba in un luogo sacro, il peccato assume la valenza di un sacrilegio. Perciò la circostanza dà la specie al peccato.
3. L’adulterio, che è una determinata specie di peccato, è indotto da una circostanza specifica, che prevede che la donna, con cui un uomo si unisce, sia sposata e non nubile. Dunque, la circostanza dà la specie al peccato.
Alla luce di quanto affermato nel Sed Contra, Tommaso inizia il suo Respondeo ponendo tre questioni: anzitutto, da che cosa il peccato riceva la specie; secondariamente, che cosa sia la circostanza; e, da ultimo, in che modo la circostanza dia la specie al peccato.
Come abbiamo appurato dall’analisi degli articoli precedenti, l’atto morale procede sempre dalla ragione (in particolare dalla ragion pratica); per questo motivo l’atto viene specificato dall’oggetto, che a sua volta deve risultare conformato all’ordine della ragione: in caso contrario l’atto si configura come una contraddizione pratica, ovvero come un atto peccaminoso.
L’Aquinate ricorda inoltre che, nel momento in cui l’oggetto non si conforma alla ragione, accade che il peccato acquisti una certa specie; questo avviene sempre secondo due modalità: l’una materiale, e l’altra formale.
Tommaso spiega infatti che la virtù (l’habitus opposto al peccato) si differenzia dalle altre virtù prima che formalmente, materialmente; troviamo infatti che la virtù ci è data dalla ragione formale, che media tra l’eccesso e il difetto presenti nella specifica materia: per esempio, nella materia concupiscibile, la temperanza si configura come l’aspetto formale e ragionato, che media tra l’eccesso e il difetto (e, in questo caso, propende per il difetto, che più tiene a bada la pulsione sessuale). Dunque, il peccato viene specificato sia dal punto di vista materiale che formale, poiché nella sua virtù concorrono entrambe queste dimensioni.
Perciò il peccato, che si oppone alla virtù, è specificato inizialmente dalla materia, successivamente dalla forma. Infatti, per una sola materia esistono peccati di diversa specie (se pensiamo, per esempio, alla materia concupiscibile, esiste il peccato di adulterio, ma anche quello di sodomia, ecc.); sarà solo in un secondo momento, quando interviene la modalità formale, che il peccato riceverà una piena specificazione.
La forma infatti specifica ulteriormente il peccato secondo tre modi: per eccesso, per difetto, o per le diverse circostanze.
Dopo questa prima analisi, il Doctor Angelicus si focalizza sulla terza tipologia di specificazione dell’atto peccaminoso, ovvero la circostanza.
Tommaso definisce la circostanza come «ciò che sta attorno all’atto, considerato come estrinseco, esternamente alla sostanza dell’atto»254.
Procedendo dalla definizione tommasiana, apprendiamo che la circostanza sta attorno all’atto in più modi. Essa infatti si ha dalla parte della causa, sia efficiente (riguardo chi è l’agente) che finale (riguardo il perché l’individuo agisce); inoltre, la circostanza si ha in merito alla misura (in che luogo o tempo avviene l’atto), e in merito allo stesso atto, ovvero al modo di agire, sia rispetto alla materia (per esempio il colpire una persona, e l’effetto che questo atto provoca), sia rispetto all’oggetto (per esempio, colpire un estraneo e colpire il proprio padre sono due circostanze che specificano differentemente lo stesso atto).
Detto ciò, Tommaso ci pone un’ulteriore elaborazione della questione, attraverso l’uso di un’analogia. Il nostro filosofo ci ricorda infatti che, solitamente, ciò che risulta estrinseco nelle realtà da lui definite «superiori» (che stanno a indicare le realtà più generali), risulta poi intrinseco alle cosiddette realtà «inferiori» (ovvero gli enti che hanno maggiore specificazione); un esempio di ciò è il concetto di “razionale”, che risulta estrinseco alla realtà (generale) di animale, mentre è intrinseco nella realtà (specificata) dell’uomo.
Allo stesso modo avviene con la circostanza: una cosa che risulta essere una circostanza rispetto a un atto più generale, non può essere definita come tale rispetto a un atto più specifico. Per esempio, nell’atto generale di prendere una cosa d’altri, la circostanza per cui la cosa è “di altri”, sta attorno all’atto del prendere una cosa e conferisce ad esso una specificazione; al contrario, nell’atto specifico del furto, il fatto che questo avvenga prendendo una cosa di altri è una prerogativa essenziale all’atto stesso, per cui non si tratta più di circostanza, ma fa già parte della cosiddetta “sostanza dell’atto”.
Dopo aver esplicitato quest’analogia, Tommaso fa tuttavia una precisazione: non tutto ciò che sta al di fuori di una realtà superiore appartiene a una realtà inferiore (per esempio il bianco è estrinseco alla nozione di animale, ciononostante non rientra nella nozione di uomo, ma è, in entrambi i casi, accidentale).
Similmente, non è necessario che tutto ciò che si configura come una circostanza dell’atto più generale sia una certa specie negli atti. È infatti specie solo ciò che, di per sé, appartiene all’atto stesso. Per questo motivo, essendo che all’atto morale appartiene solo ciò che risulta conforme (o difforme) alla ragione, allora, nel momento in cui una circostanza non apporti alcun cambiamento all’ordine della ratio, questa non può specificare l’atto, né buono, né tantomeno peccaminoso. Tommaso in merito a ciò fa un esempio: «Servirsi di un oggetto bianco non aggiunge nulla che abbia attinenza con la ragione, cosicché il bianco non costituisce una specie dell’atto morale; ma far uso di una cosa altrui aggiunge qualcosa che ha attinenza con la ragione: perciò costituisce una specie dell’atto morale»255.
Infine, c’è da dire che la circostanza che si aggiunge all’atto, costituisce una nuova specie di peccato in due modi. Anzitutto, quando la circostanza specifica un determinato atto peccaminoso, che prima era considerato più generalmente; per esempio, “far uso di una cosa d’altri” specifica un atto più generale, mentre “far uso della moglie d’altri” specifica l’adulterio. Questa nuova circostanza si dà sia nella forma dell’atto (come, per l’appunto, far uso della “moglie” di un altro), sia nella materia, ovvero nello spazio e tempo particolari (per esempio, l’appropriarsi di una cosa d’altri in un luogo sacro va oltre latto del furto, e si specifica come un sacrilegio).
Secondariamente, la circostanza dà adito ad una nuova specie di peccato nel momento in cui la causa dell’atto peccaminoso (ovvero il perché si agisce in modo contrario alla ragione) è da individuare in un fine che sia esteriore allo stesso atto (o meglio, un fine che sia ulteriore all’atto): per esempio, rubare per poter poi commettere un omicidio. La circostanza che si aggiunge in questo caso è dunque di per sé divisiva dell’atto cui si aggiunge. Essa costituisce perciò una nuova specie di peccato.